La necessaria tutela dell’orientamento sessuale del lavoratore 

La necessaria tutela dell’orientamento sessuale del lavoratore 

Secondo la suprema corte, è legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che irride il collega circa il suo orientamento sessuale.

Mercoledi 24 Gennaio 2024

La “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 c.c. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite l’analisi dei fattori esterni relativi alla coscienza generale installata in un determinato momento storico.

Per gli Ermellini è legittimo, in quanto connotato da giusta causa, il licenziamento di un lavoratore dipendente che abbia tenuto un comportamento evidentemente contrario ai principi del Codice Etico aziendale e delle regole di civile convivenza, per aver proferito frasi offensive ad alta voce, alla presenza di diversi utenti, nei confronti di una collega in relazione al suo orientamento sessuale.

Cassazione civile, Sez. lav., 9 marzo 2023, n. 7029 – Pres. Doronzo – Rel. Pagetta

1. Premessa 

2. La necessaria tutela dell’orientamento sessuale del lavoratore 

3. Conclusioni 

1. Premessa.

La decisione della Suprema Corte affronta la rilevante tematica giuridica concernente il thema del licenziamento per giusta causa comminato a fronte di un comprovato atteggiamento discriminante relativa all’orientamento sessuale, perpetrato da un collega in danno di un altro collega. Tale licenziamento è stato ritenuto pacificamente legittimo, stante la rilevanza del patrimonio umano leso (ossia la onorabilità e la dignità della persona) mediante la suddetta censurabile condotta.

Nello specifico, l’ordinanza della Suprema Corte trae origine da una vicenda di un lavoratore dipendente che, al momento del cambio del turno, rivolgeva nei confronti di una collega una serie di apprezzamenti dileggianti riguardo l’orientamento sessuale della stessa, senza curarsi né della presenza dell’utenza, né di essere in quel momento, in quel frangente, in servizio presso la società concessionaria del servizio pubblico in questione. La dipendente si sentiva offesa dalle frasi irriguardose pronunciate nei suoi riguardi, specie per le modalità con cui il collega le si era rivolto: pubblicamente, a voce alta e durante il servizio. Pertanto, la lavoratrice offesa decideva di segnalare quanto accaduto alla società datrice di lavoro, rivendicando il doveroso rispetto della propria sfera privata, significativamente lesa dall’atteggiamento del dipendete che, inequivocabilmente, non solo si poneva in contrasto con le comuni regole di civile convivenza, ma anche, con le previsioni del Codice Etico aziendale le quali assurgono a formali impegni contrattuali.

La società datrice di lavoro risolveva il rapporto di lavoro per giusta causa, reputando gli addebiti rivolti di gravità tale da giustificare il recesso immediato. Appresa la notizia del licenziamento ad nutum, il lavoratore procedeva ad impugnarlo. In primo grado, il Tribunale confermava la legittimità del recesso. Mentre in sede di gravame, la sanzione inflitta risultava sproporzionata rispetto al fatto commesso, in quanto la condotta posta in essere avrebbe in realtà costituito una mera “condotta inurbana”, consistente in apprezzamenti, se pur fuori luogo ed inappropriati, circa la sfera sessuale di una collega, considerabile, pertanto, di minore gravità rispetto alla fattispecie del “contegno inurbano o scorretto verso il pubblico", esplicitamente punito con sanzione del licenziamento.

2. La necessaria tutela dell’orientamento sessuale del lavoratore.

Come anticipato nelle premesse, l’intera vicenda afferisce alla regula iuris – affermata dalla Suprema Corte nel caso di specie – della legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti del dipendente che irride, insulta o schernisce il collega in ragione del suo orientamento sessuale.

Preme ricordare che, come noto, la giusta causa di licenziamento è quella che “non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, sicché la sua verificazione legittima l’estinzione immediata del rapporto di lavoro [ex art. 2119 c.c.]. A ciò deve aggiungersi che essa non riguarda soltanto i gravi inadempimenti contrattuali del dipendente, ma anche altri fatti che, pur essendo in sé estranei allo svolgimento del rapporto, incidono sul medesimo, eliminando l’interesse del datore di lavoro alla collaborazione con quel determinato prestatore di lavoro.

In ragione di tanto, per ciò che concerne l’aspetto relativo all’ordinanza in commento, quale l’accertamento nel concreto della giusta causa di recesso, deve dirsi che trattandosi dell’applicazione di un concetto indeterminato, salve le tipizzazioni legali o contrattuali, questo deve essere reso dal giudice, mediante una valutazione di gravità che tenga conto degli specifici elementi soggettivi e oggettivi della fattispecie concreta, quali ad esempio il tipo di mansioni affidate al lavoratore, eventuali precedenti disciplinari, il carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di reiterazione dell’illecito o il disvalore ambientale della condotta. A fronte di ciò, ne discende che l’astrattezza che contraddistingue la norma impone all’interprete uno sforzo volto ad individuare le caratteristiche atte a qualificare un determinato comportamento in termini di “giusta causa” di licenziamento, onde poter procedere, poi, al confronto tra il modello di riferimento risultante da tale opera ricostruttiva e la fattispecie concreta.

3. Conclusioni.

L’ordinanza in commento si pone nel solco di quella pluralità di pronunce a mezzo delle quali la Suprema Corte ha inteso consolidare i più importanti principi giurisprudenziali che hanno corollato la disciplina normativa in punto di legittimità del licenziamento per giusta causa, comminato a seguito di condotte discriminatorie per ragioni sessuali poste in essere nell’ambito dei contesti di lavoro, da un dipendente ai danni di un collega.

In particolare, la pronuncia è particolarmente rilevante, in quanto la Corte di Cassazione ha affermato che anche il mero utilizzo di espressioni riprovevoli e sconvenienti, anche poste con modalità di scherno, circa l’orientamento sessuale di un collega, giustifica il licenziamento del lavoratore. La pronuncia è certamente di notevole interesse in quanto favorisce una riflessione in merito al tema della corretta applicazione della disciplina della giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., oggi particolarmente attuale alla luce dei più recenti principi-guida sul tema, oltre che in relazione alle tipizzazioni che le fonti contrattualcollettive pongono in materia, dal momento che tale considerazioni potrebbe essere idonea a fare da monito o quantomeno favorire le parti sociali ad una maggiore precisione nei meccanismi di tipizzazione, al fine di ridurre il più possibile l’incertezza in fase applicativa.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 7029 2023


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