“E' illegittima la delibera di Giunta che introduce una disciplina differenziata per la procreazione medicalmente assistita eterologa, a carico del Servizio sanitario regionale, rispetto a quella omologa, essendo irragionevole e discriminante la previsione, per la prima, del limite del quaratatresimo anno di età e del limite massimo di tre cicli”.
Con sentenza n. 47343 del 24 novembre 2020, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la Regione non può imporre limiti di accesso, per le coppie che vogliano avvalersi della fecondazione di tipo eterologo, legati al requisito dell'età oltre che al limite massimo di cicli fruibili, in quanto, in tal modo, si viola sia il diritto alla salute (art. 32 Cost.,), sia il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.,).
In premessa della decisione si ribadisce, anzitutto, che si ha procreazione medicalmente assistita ( di seguito PMA), ogni volta in cui “il concepimento non è conseguenza naturale del rapporto tra un uomo e una donna ma l'effetto di un intervento di assistenza tecnica curato da sanitari specializzati”, attraverso l'ausilio di trattamenti mirati, in grado di aiutare le coppie con problemi di infertilità o di sterilità qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause (in base al principio di residualità della fecondazione, di cui all'art., 1 della l. n. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”).
Secondo quanto riportato nelle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, in caso di mancato concepimento, si può ricorrere alla procreazione assistita dopo 12/24 mesi di rapporti liberi e non protetti, limite che si riduce a 6 mesi per le donne ultra trentacinquenni ed anche in presenza di fattori di rischio, quali interventi sugli organi pelvici, infezioni utero ovariche, endometriosi ed altre patologie dell'apparato riproduttivo femminile. La PMA può essere omologa, se il materiale biologico utilizzato appartiene ai genitori del concepito oppure eterologa se lo stesso appartiene solo a uno o a nessuno dei due.
Quest'ultima è stata vietata nel nostro ordinamento fino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità del divieto di ricorrere a tecniche di PMA di tipo eterologo per i casi in cui sia stata diagnosticata alla coppia una patologia che sia causa di sterilità irreversibile. Incostituzionale, dunque, sia perchè lesivo dell'autodeterminazione delle coppie sterili ed infertili, sia perchè discriminatorio rispetto alle coppie con un grado di sterilità e di infertilità minore e che potevano accedere alle tecniche di tipo omologo; e ancora, incostituzionale, perchè lesivo del diritto alla salute, in quanto idoneo anche a generare una disparità di trattamento di tipo economico, tra coppie prive di risorse finanziarie sufficienti per sottoporsi al trattamento in uno Stato estero.
Nel caso sottoposto al Consiglio di Stato, una coppia intendeva accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, a carico del Servizio sanitario della Regione Lombardia. Tuttavia, la procedura veniva interrotta a causa dell'approvazione di una delibera regionale con la quale si statuiva che, fino alla definizione delle tariffe di riferimento a livello nazionale per le prestazioni di PMA eterologa, rimanevano inalterati i limiti di accesso contenuti nel documento approvato dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome del 4 settembre 2014: quarantatrè anni di età per la donna e tre cicli di trattamento effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche.
Il Tar Lombardia accoglieva il ricorso evidenziando che una disciplina differenziata delle due tecniche terapeutiche, eterologa ed omologa, “sarebbe irrazionale, in quanto non giustificata da alcuna valida ragione scientifica”. Parte avversa impugnava la sentenza sostenendo che il trattamento differenziato si fonda su studi scientifci i quali evidenziano le difficoltà maggiori che incontra una donna in età superiore ai 43 anni nell'ottenere risultati positivi dai trattamenti.
Il Consiglio di Stato rigetta l'appello, affermando che “ se ha una sua plausibilità logica l'affermazione di principio secondo cui i rischi connessi alla gravidanza aumentino con l'avanzare dell'età della donna e possano ragionevolmente incrementarsi nel caso di ovodonazione, allo stesso tempo non può dirsi qui sufficientemente dimostrato che il limite di età, fissato nel quarantatreesimo anno, costituisca la soglia limite oltre la quale le tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo perdano la loro efficacia ovvero si rivelino finanche pericolose sì da poter ancorare, in modo rigido, a tale soglia di età la previsione più elastica mutuabile dal dato normativo di riferimento che recepisce come criterio discretivo quello dell'età potenzialmente fertile dei soggetti”.
Nella delibera approvata dalla Giunta della Regione Lombardia, non vengono affatto rispettate le condizioni previste dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 2014, e ciò in quanto le condizioni di accesso previste in quest'ultimo, erano le stesse per entrambe le tecniche. La delibera, invece, si pone in contrasto con le indicazioni dettate, introducendo una differenziazione di regime non contemplata in alcun documento ufficiale. Le singole Regioni, prosegue il Consiglio di Stato, hanno adottato soluzioni differenziate per quanto riguarda il parametro dell'età della donna, con ciò dimostrando che non vi sono univoche evidenze scientifiche in grado di stabilire il limite di età di quarantatre anni indicato dalla Conferenza.
Sul tema è intervenuto il DPCM del 12.01.2017, (recante la “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 502”), il quale ha inserito tra le prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale deve garantire anche quelle relative alla fecondazione assistita di tipo eterologo stabilendo che le coppie che ad essa si sottopongono, contribuiscono ai costi delle attività nella misura fissata dalle Regioni e dalle Province autonomne. Questo Decreto, ha definito i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), vale a dire quelle prestazioni che devono essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale, uniformemente, su tutto il territorio nazionale e che sono erogate o a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa da parte delle coppie sottoposte al trattamento.
Fatta questa ulteriore precisazione, il Consiglio di Stato statuisce che il richiamo generico da parte della Regione Lombardia alla necessità di contenere la spesa non giustifica l'introduzione di limiti di accesso per chi vuole avvalersi della fecondazione eterologa perchè, in tal modo, si introduce una “significativa disparità di trattamento tra interventi che vanno considerati complementari sul piano dell'assistenza terapeutica quali species di un medesimo genus”.