In tema di risoluzione del contratto con conseguente domanda di restituzione si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n. 15461/2016.
Martedi 13 Settembre 2016 |
In primo grado l'attore, previo riconoscimento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata con la quale egli aveva acquistato dal convenuto un terreno edificabile, chiedeva l'adempimento del preliminare e il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento del convenuto, che si era rifiutato di comparire dinanzi al notaio per il rogito.
In corso di causa l'attore modificava l’originaria domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c., comma 2, chiedendo la risoluzione del contratto preliminare in luogo dell’adempimento precedentemente richiesto.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea, mentre la Corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava la risoluzione -per inadempimento del convenuto - del contratto di compravendita stipulato tra le parti, ma dichiarava inammissibile la domanda di restituzione dell’acconto che l'attore, in sede di sottoscrizione della scrittura, aveva versato al convenuto, in quanto proposta per la prima volta con l’atto di appello.
L'istante propone quindi ricorso per Cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12 - 345 cod. proc. civ.,art. 1453 cod. civ., per avere la Corte di Appello ritenuto l’inammissibilità della domanda di restituzione dell’acconto: in realtà, assume il ricorrente, egli aveva proposto la domanda già in udienza dinanzi al Tribunale, quando aveva chiesto la risoluzione del contratto per grave inadempimento del convenuto "con tutte le conseguenze di legge”, ribadita in sede di memroie di replica.
Gli Ermellini respingono il ricorso, osservando che:
non può ritenersi che la domanda di restituzione sia stata proposta con la generica formula "con tutte le conseguenze di legge", essendo tale formula una clausola di stile, priva di reale petitum e insuscettibile di determinare un obbligo di pronuncia del giudice ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto rimette al giudice stesso la determinazione del contenuto della domanda, in violazione del principio di cui all’art. 99 cod. proc. civ. (c.d. "principio della domanda");
nei contratti a prestazioni corrispettive, l’efficacia retroattiva della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento (art. 1458 c.c., comma 1), collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta per ciascun contraente, indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, l’obbligo di restituire la prestazione ricevuta;
l' obbligo restitutorio scaturente dalla pronuncia di risoluzione, pur verificandosi sul piano sostanziale "di diritto", e’ soggetto, sotto il profilo processuale, all’onere della domanda di parte: rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, spettando ad esse soltanto decidere se chiedere, o meno, la restituzione delle prestazioni rimaste senza causa;
la facoltà di mutatio libelli prevista per la domanda di risoluzione del contratto si estende anche alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, a condizione che tale domanda sia proposta contestualmente e, comunque, nel medesimo grado di giudizio in cui e’ proposta la prima: il giudice d’appello quindi, non può prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova
naturalmente la parte potrà chiedere la restituzione delle prestazioni anzidette proponendo apposita domanda in separato autonomo giudizio.