La Cassazione penale, Sez. 1^, con sentenza n. 41133/2024 del 9 luglio 2024,è intervenuta,per la prima volta sull’ammissibilità della Giustizia Riparativa in sede di Esecuzione Penale stabilendo che dal procedimento riparativo introdotto dalla Riforma Cartabia vanno esclusi i detenuti sottoposti al regime dell’art. 41bis .
Lunedi 18 Novembre 2024 |
Com’è noto,l’art. 44, comma 1 e 2, del D.lgs. n. 150/2022 prevede che
1. I programmi di giustizia riparativa disciplinati dal presente decreto sono accessibili senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità.
2. Ai programmi di cui al comma 1 si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis del codice di procedura penale, o per intervenuta causa estintiva del reato.
Nella Relazione redatta dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte si legge che “L’art. 44 d.lgs. n. 150 del 2022, nel disciplinare l’accesso ai programmi di giustizia riparativa,prevede,al comma 2,che “ai programmi di cui al comma 1 si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis del codice di procedura penale,o per intervenuta causa estintiva del reato.»,indicazione, questa, che non è contenuta all’articolo 42 del D.Lgs,al comma 1, lett. c), in cui non si fa menzione della persona che stia espiando o che abbia già espiato la pena.
Si può tuttavia ritenere che la definizione di “persona indicata come autore dell’offesa”,che risulti “condannata con pronuncia irrevocabile”, indicata all’art. 42 D.lgs. cit., possa includere anche la persona condannata che stia espiando o abbia già espiato la pena, in considerazione del carattere “autonomo” che la giustizia riparativa ha rispetto alla giustizia penale stricto sensu intesa, così come espresso all’art. 44, comma 2, D.lgs. cit.“.
Ciò posto,la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione derivante della autorizzazione,concessa dal Tribunale di Sorveglianza a un detenuto sottoposto al regime dell’art. 41-bis Ord. Pen., di fare accedere nel penitenziario in cui è ristretto i componenti di un’Associazione per l l’attuazione di un percorso di giustizia riparativa.
Avverso il provvedimento ricorreva il Ministero della Giustizia eccependo la violazione dell’art. 41-bis per “incompatibilità ontologica tra il regime detentivo speciale e la normativa in materia di giustizia riparativa poiché quest’ultima contrasta con le ragioni di ordine e sicurezza alla base della prima“.
Inoltre,per il ricorrente,il provvedimento impugnato sarebbe stato emanato in violazione degli artt. 4-bis e 15-bis, Ord. Pen. “poiché la partecipazione al programma di giustizia riparativa proficuamente concluso sarebbe valutabile per l’accesso ad alcuni benefici penitenziari che, però, sarebbero preclusi rispetto ai condannati per i delitti ricompresi nell’art. 4-bis Ord. Pen. salvo che vi sia stata collaborazione con la giustizia o in assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, quindi, con esclusione dei reclusi in regime differenziato di cui all’art. 41-bis“.
Infine,il Ministero ha ritenuto che siano stati violati,nel caso di specie,gli artt. 17 Ord. Pen. E gli artt. 61, 62, 63, 64 e 92 d.lgs. n. 150 del 2022 “poiché l’attuale mancata istituzione dei Centri di giustizia riparativa e il fatto che i referenti del progetto non siano stati ancora legittimati ad operare nell’Istituto non consenti rebbe l’esecuzione del provvedimento impugnato“(!!).
Per contro,il difensore dell’imputato ha sostenuto nelle proprie difese che i provvedimenti in materia di giustizia riparativa non sono impugnabili,come sancito dalla stessa Cassazione con la sentenza n.2377/2023(ma anche da altre successive-NdR),chiedendo,inoltre,un rinvio della decisione per poter eccepire la illegittimità costituzionale della modifica della normativa vigente introdotta dallo art.7 del D.L. n. 92/2024 che ha aggiunto al comma 2-quater dell’art.41 bis la lettera f-bis che preclude l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ai detenuti sottoposti a tale regime speciale di detenzione.
La Cassazione,nella decisione in commento,ha ritenuto il ricorso del Ministero fondato e,come tale, meritevole di accoglimento sia pure per ragioni diverse da quelle illustrate affermando innanzitutto che la norma sospettata di illegittimità “non influisce in alcun modo sul quadro normativo all’interno del quale deve essere collocata la fattispecie in esame“.
Inoltre, anche la questione della impugnabilità delle Ordinanze di diniego della Giustizia Riparativa va ritenuta estranea alla discussione perché l’Ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza deve considerarsi,invece,ricorribile per cassazione per violazione di legge,come sancito dall’art.35-bis,comma 4-bis,delll’Ord.Pen..
Nella decisione,la Suprema Corte ha ritenuto che il provvedimento emesso dal Tribunale di Sorveglianza fosse viziato nella parte in cui non avrebbe considerato che,secondo l’art. 44,comma 2, D.lgs. n.150/2022,ai programmi di giustizia riparativa “si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza,dopo l’esecuzione delle stesse…”.(!!) e non anche durante la esecuzione, come precisato dall’Ufficio del Massimario della Cassazione nella Relazione innanzi citata..
Pertanto,poiché il richiedente dell’autorizzazione si trova ancora detenuto in esecu zione della pena,lo stesso non può essere ammesso ad alcun programma ripara tivo fino a quando la pena sarà in esecuzione,indipendentemente dal regime a cui lo stesso è sottoposto.
In conseguenza,secondo la,pur discutibile,decisione,”il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio insieme al precedente conforme emesso dal Magistrato di Sorveglianza“.
Le maggiori perplessità suscitate nei commenti alla sentenza riguardano l’interpretazione della norma dell’art.44 del D.Lgs 150/2022 da parte degli Ermellini atteso che la stessa Relazione dell’Ufficio del Massimario attribuisce una interpretazione ben diversa alla norma in questione affermando che ai programmi di giustizia riparativa “si può accedere anche durante e dopo l’esecuzione della pena e delle misure di sicurezza” e che “la definizione di “persona indicata come autore dell’offesa”, in capo a colei che risulti “condannata con pronuncia irrevocabile”,indicata all’art. 42 D.lgs. cit., possa includere anche la persona condannata che stia espiando o abbia già espiato la pena, in considerazione del carattere “autonomo”che la giustizia riparativa ha rispetto alla giustizia penale stricto sensu intesa,così come espresso all’art. 44, comma 2, D.lgs. cit.“.
Appare,quindi,evidente che la decisione in commento costituisca una “forzatura” della norma regolatrice dettata dalla necessità di sottrarre al detenuto,sottoposto al regime carcerario del 41 bis, la possibilità di ricorrere alla Giustizia Riparativa per poter usufruire dei benefici premiali della detenzione,così anticipando l' entrata in vigore delle modifiche apportate dal Governo all’art.41 bis con l’art.7 del DL n. 92/2024,che preclude l’accesso ai programmi riparatori, come sostenuto dal Ministero ricorrente..
Occorre anche evidenziare la questione che il correttivo apportato,in questo caso,dal Legislatore alla norma è intervenuto dopo che la Dottrina prevalente aveva lamentato la mancanza di una esclusione per i reati più gravi dai programmi riparativi di imputati e/o condannati per tali reati, com’é accaduto per il caso Maltesi,che è stato oggetto di commenti sfavorevoli alla decisione della CdA di Busto Arsizio anche da parte di chi scrive.
Inoltre,la decisione della Cassazione,rischia di influire,più in generale,sull’impianto normativo introdotto con la Riforma,attesa la critica di fondo rivolta al Governo dalla Corte per la mancata attivazione dei Centri di Giustizia Riparativa sul Territorio a cui inviare i detenuti richiedenti e, quindi, affondando,di fatto,una parte rilevante quanto essenziale della Riforma e le motivazioni alla base della introduzione della stessa.
In tale direzione vanno segnalati i provvedimenti di diniego emessi da alcuni Tribunali Ordinari sulla scorta della mancata attivazione dei Centri
Sul punto va,infatti,ricordato che la ratio principale del provvedimento,secondo il Legislatore, è stata quella di garantire un possibile risarcimento dei danni subiti dalle Vittime dei reati,inteso come segno evidente del ravvedimento del detenuto in conformità a quanto sancito dall’art.27 della Costituzione.
Più di recente,la Dottrina ha ritenuto che l’accesso ai programmi riparativi possa costituire una soluzione per il sovraffollamento carcerario con la possibilità di usufruire dei benefici premiali alternativi alla detenzione,sia pure ricorrendo ai lavori socialmente utili in favore della collettività nel caso di insolvenza del condannato.
Appare,pure,evidente che la decisione assunta dalla Suprema Corte non sia neppure in linea con le finalità di deflazione dei procedimenti penali in corso o definitivi poste a base della Riforma introdotta.
A tanto aggiungasi che la vexata quaestio della non impugnabilità dei provvedimenti di diniego dell’accesso ai programmi,come sancito in varie sentenza dalla stessa Cassazione,costituisca un ulteriore impedimento all’attuazione della Riforma,benché la stessa Corte abbia affermato la più totale estraneità dei programmi riparatori ai procedimenti penali in corso e la loro piena autonomia.
Ne consegue un quadro confuso e discutibile che suscita le perplessità della Dottrina senza che emerga alcun chiarimento del Ministero di Giustizia in ordine alla attuale situazione né dei procedimenti in corso e tanto meno di quelli definiti e divenuti esecutivi.
La normativa istitutiva va,peraltro,chiarita anche nei suoi aspetti procedurali come sanciti dall’art 129-bis la cui illegittimità è statasollevata da più parti.
Nelle critiche alla sentenza in commento,è stato affermato,a buon diritto, che l’Avvocatura dello Stato ha imputato al Tribunale di Sorveglianza di avere violato la legge per avere autorizzato l’accesso di operatori non ancora autorizzati ma non scorge alcuna violazione ad opera di tutti coloro,il Ministero della Giustizia tra questi, per la mancata attivazione dei Centri previsti dal D.lgs. n. 150/2022 per rendere operativa e possibile la giustizia riparativa in ognuno dei 26 Distretti giudiziario a cui adibire i Mediatori Penali esperti della materia. .
Benchè nel nostro Paese siamo ancora agli albori della mediazione penale, tuttavia,sembrano esistere tutti gli ingredienti per lo sviluppo di questo strumento di gestione dei conflitti derivanti dai reati commessi.
I segnali più importanti in tale direzione sono stati quelli forniti dalle esperienze di mediazione penale minorile in alcune aree geografiche,nate su iniziativa di singoli soggetti che con il loro lavoro volontario hanno dato vita a delle prassi di mediazione penale molto efficienti ed i risultati delle attività di mediazione portate avanti dai diversi Centri sono stati positivi.
E’ utile anche ricordare, sull’argomento,quanto sostenuto sulla Rivista Ristretti.it dalla Dr.ssa Maria Pia Giuffrida(già Dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria e Presidente della Commissione di studio sulla "Mediazione Penale e Giustizia riparativa" secondo la quale:
“gli Stati membri della UE sono impegnati per la promozione del principio di legalità e per il potenziamento del sistema di giustizia penale, nonché per lo sviluppo ulteriore della cooperazione internazionale nella lotta alla criminalità transnazionale per una effettiva prevenzione della criminalità attraverso l’introduzione di "adeguati programmi di assistenza alle vittime del crimine,a livello nazionale,regionale ed internazionale,nonché per la mediazione e la giustizia riparatrice"
Essi sono consapevoli che i programmi di prevenzione e di riabilitazione sono fondamentali quali strategie di effettivo controllo della criminalità e che un’adeguata politica criminale rappresenta un fattore importante nella promo zione dello sviluppo socio-economico e della sicurezza dei cittadini”.
In tale direzione va, ancora una volta,riaffermata l’importanza dello sviluppo di forme di giustizia riparativa che tendano a ridurre la criminalità e promuovere la ricomposizione dei responsabili di reato con le Vittime e con le Comunità nell’interessse del Paese..