Nel dibattito, ormai quotidiano,tra la necessità di una pena da scontare in ambito carcerario e quella, opposta,di rafforzare le c.d. “misure alternative alla detenzione” al fine di favorire il reinserimento sociale del condannato,nell’ottica costituzionale,si trascura ogni riferimento alla normativa introdotta dalla Riforma Cartabia proprio allo scopo di favorire l’accesso alla seconda possibilità,specie nei casi meno gravi.
Venerdi 4 Ottobre 2024 |
Invero, la disciplina organica della Giustizia Riparativa,così come delineata dal Legislatore,ha innestato una nuova previsione,sin dalla fase di cognizione,nella struttura del processo penale in ogni suo «stato e grado»,con due linee direttrici tra loro alquanto divergenti(v. S. Carnevali,Potenzialità e insidie della giustizia riparativa nella fase di cognizione, Riv.Giappichelli )
Secondo tale opinione,“da un lato la Riforma introduce un modello puro,distaccato,etereo,di “restorative justice”,che persegue i suoi nobili fini di sutura delle ferite,cura del conflitto originato dalla vicenda penale,ripristino dei legami tra i suoi protagonisti e la Comunità, senza occuparsi di quanto accade nel parallelo mondo del processo e pretendendo dai suoi attori un’adesione altruistica,anelante solo all’incontro con l’altro”.
Per contro,”vi è la linea che scende a patti con la realtà e fa fortemente leva sul procedimento penale in corso,vi si appoggia,se ne avvale, lo sfrutta appieno come latore d’informazioni sulle nuove opportunità e s’insinua nelle sue pieghe per allettare,con ricadute sanzionatorie positive,l’imputato”.
Del resto,afferma l’Autore,”l’interesse dell’offender a pratiche riparative come forme di giustizia sorte e sviluppate indiscutibilmente a favore delle Vittime di reato,consiste,secondo il Consiglio d’Europa,nell’incoraggiamento del suo senso di responsabilità,nell’opportunità di riconoscere i propri torti,nel favorire la sua la rinuncia a delinquere”.
Si tratta,in sostanza,di un’enunciazione di principio che,se applicata all’imputato oltre a prospettarne un’assimilazione pressoché totale al colpevole,”confina l’adesione mossa da simili intenti all’empireo delle utopie”.
In pratica,ipotizzare l’avvio di un percorso concreto di autoconsapevolezza e resipiscenza sopravvenuta a poco tempo dai fatti e prima di una condanna,risulta di difficile attuazione.
Invero,ancor prima del recente intervento legislativo,,il settore penitenziario aveva provato a sperimentare, l'inserimento nell'ambito delle procedure di trattamento del condannato finalizzate ad attuare il principio rieducativo della pena,attraverso programmi di giustizia ripartiva (come ricorda A Diddi, Effetti sull'esecuzione penale e penitenziaria della Restorative Justice ,Riv Giappichelli)
Forte di queste esperienze che avevano,comunque,dato una risposta soddisfacente,il Legislatore ha espressamente previsto che questo diverso modello di giustizia debba trovare applicazione anche nella esecuzione penale..
Tuttavia,nonostante lo sforzo compiuto,molti ostacoli, non solo di tipo organizzativo, sembrano frapporsi ad un'effettiva e proficua applicazione del nuovo metodo riparativo nella fase esecutiva della pena con il rischio di far fallire, sul nascere, le aspettative riposte dal Legislatore sul nuovo Istituto processuale..
Affinché gli imputati aderiscano ai programmi riparativi occorre,quindi,introdurre uno incentivo concreto perché,in sostanza,.essi comporteranno obblighi econo mici,seppur concordati con le Vittime o i loro familiari..
Pertanto,per invogliarele persone sottoposte a un procedimento penale ad accetta re i confronti facilitati dai Mediatori,per i reati minori il Legislatore ha previsto una versione più vantaggiosa della sospensione condizionale della condanna,nuove possibilità di rientrare nella tenuità del fatto e, soprattutto, la possibilità d’ottenere la remissione tacita della querela,come emerge dalla lettura dell’art 129 bis CPP.
Invece,per le condotte criminose più gravi,che sono la maggior parte, l’ingresso nella giustizia riparativa dell’art. 133 CP. e la possibile applicazione di un’atte nuante comune(art.62 n.6),risultano ben lontani dalle più vantaggiose soluzioni teorizzate de iure condendo,dalla fattispecie autonoma di reato assoggettata a un trattamento uguale o più mitigato del tentativo,alle circostanze ad effetto speciale .
Da questo quadro, emerge come solo nelle prime ipotesi e, sopratutto. nel campo dei reati perseguibili a querela,le pratiche di riparazione acquistino un significato più forte e convincente, perché fedele al tanto declamato intento di superare la giustizia punitiva tradizionale e sostituirla con una dal volto più mite sia pure ricorrendo ad Istituti processuali già adottati da tempo. ..
Negli altri casi,i programmi riparatori possono,forse,mitigarne la pena da irrogare, con effetti del tutto incerti,con la conseguenza che il rapporto tra potenzialità e insidie della giustizia ripartiva,nonostante la estensione della perseguibilità a querela in luogo della perseguibilità d’ufficio,non sembra deporre a favore delle prime.
Ne consegue che, al di là delle ipotesi in cui l’esito del percorso provoca l’estinzio- ne del reato come pure la sospensione della pena o la non punibilità dell’autore, la Riforma consegna non già un modello di “giustizia senza spada”,ma un sistema ancora animato da volontà punitiva.,
Vista da questa prospettiva,la Giustizia Riparativa s’inscrive,a pieno titolo,nella tendenza alla costante espansione dei reati sanzionabili da parte del Legislatore.
Ne costituisce riprova il recente Decreto Sicurezza,approvato dalla Camera ed in attesa del vaglio (e delle auspicabili modifiche) del Senato,alla luce delle critiche mosse da varie parti e dalla Dottrina prevalente che denuncia una sorta di “liberticidio” antidemocratico per alcune condotte sanzionate “contra legem”..
Tra le varie opinioni si segnala quella di E.Magni (v Inasprire le pene non disin centiva i reati, in merateonline.it del 30/9/2024) il quale sostiene che “il DDL “sicurezza”introduce una trentina di nuovi reati: aggravanti, sanzioni e amplia mento di pena. Sono passati più di cent’anni e la Patria di Cesare Beccaria è incapace di produrre un testo innovativo in grado di rispondere alla situazione attuale poiché si tratta di un testo che propone soltanto l’inasprimento di pene penali quando le carceri sono sovraffollate da una folla di disagiati..
Le carceri attuali non rispondono al principio rieducativo (Legge Gozzini 1986), ma a quello custodialistico e repressivo”..
La nuova legge per la “sicurezza”,conclude l’Autore,vuole far credere che “inasprendo le pene si disincentivino i reati. Tale scelta pone al centro di questa logica il Nomos,ma esso non tiene conto della complessità della realtà. Non basta una norma repressiva o preventiva per governare la complessità di una società”.
Le questioni derivanti dal reato, anche psicologiche ed esistenziali. sono rivolte solo all’imputato e non gli Organi statali che dovrebbero farsene carico e provvedere,con la conseguenza che l’autore di un reato,oltre a patire un processo e, se condannato, ad una pena,subisce anche l’onere di lenire il dolore o il disagio della Vittima o dei familiari oltre a chi si dichiari leso dal crimine commesso.
Si tratta di una tendenza in continuità con quanto riscontrabile da tempo nella fase della esecuzione penale in cui,da tempo, sono stati avviati introdotti progressivi incrementi del carico sanzionatorio gravante sulle persone detenute al fine di ottenere un trattamento punitivo alternativo come “conditio sine qua non “per l’accesso ai benefici premiali previsti dall’Ordinamento Penitenziario.
In particolare,se alla fine degli anni ottanta,per punire bastava il carcere e per accedere a misure alternative era sufficiente dimostrare costante serietà nei percorsi intramurari di recupero sociale,attualmente,per i ristretti,si esigono o si incoraggiano,per beneficiare di strumenti risocializzativi esterni,contrizione, collaborazione con la giustizia,lavoro gratuito per la Collettività, iniziative a favore dei danneggiati,e,da ultimo,dialoghi riparativi nell’ambito della Mediazione per la esecuzione penale, pure disciplinata dalla Riforma ex novo..
Risulta,quindi,evidente che il “prezzo del riscatto sociale” delle persone condannate sembra non bastare più.
Simili logiche sono state estese,con la Riforma,alla fase di cognizione del processo penale e prefigurano nuovi oneri per gli imputati a fonte di vantaggi sanzionatori a seconda della tipologia e la gravità del reato commesso nonché dei possibili esiti favorevoli per il condannato dei programmi riparatori..
Tuttavia,sempre secondo l’opinione innanzi citata,tali logiche evidenziano che “proprio la prospettiva di una mitigazione della pena a rendere i rapporti di convivenza tra il mondo del processo penale e quello della “restorative justice” più fitti e complicati e si delineano,in tal modo, problematici intrecci fra istituti normativi eterogenei che entrano in un rapporto simbiotico,sebbene sia tutto da dimostrare se apportino mutui vantaggi o reciproci danni (!!).
Così formulata, si tratterebbe,quindi,di un’opinione scettica sui risultati previsti dalle pratiche riparatorie che si va diffondendo tra gli avversori della Riforma che, nell’intento del Legislatore,è incentrata sulla tutela delle Vittime di reato, per lungo tempo trascurata,nonostante gli interventi della Unione Europea e della Corte di Giustizia che ha emesso varie sentenze di condanna del Nostro Paese per la mancata attuazione dei principi sanciti nelle Direttive emanate.
In tale contesto va,anche,annoverata un’analoga opinione della Dottrina che merita un breve commento (v L. Luparia,L’ascesa della Vittima ed il crepuscolo dell’Imputato,Riv.Sistema Penale)..
Secondo l’Autore,in sintesi,”il disequilibrio nella complessa architettura del processo penale,non porta mai a nulla di buono. Nel breve periodo è in grado di ledere singoli diritti fondamentali;nell’orizzonte temporale più esteso può provocare controreazioni altrettanto funeste.
Chi voglia trovare conferme alla verità di tale assunto, può volgere lo sguardo a quanto accaduto,nel giro di pochi decenni,in merito al posizionamento della Vittima e, di riflesso, dell’accusato nel nostro rito criminale”.
I codici di procedura penale italiani,lungo tutto lo scorso secolo, hanno messo al centro del rito penale il prevenuto, pur con livelli d’attenzione ai diritti fondamen tali assai diversi a seconda del momento storico vissuto..
Alle differenti sfumature garantistiche presenti nel trattamento dell’accusato,ha sempre però corrisposto un’uniforme e costante disattenzione per la posizione processuale (ed extraprocessuale)del presunto offeso,della vittima.
In particolare,troppo urgente era stato, per lungo periodo, lo sforzo di conquistare spazi di garanzia per l’imputato,soprattutto nel contesto di fasi congiunturali autoritarie o di modelli giudiziari non prettamente liberali.
Rispetto a tale esigenza,l’irrobustimento dei poteri e degli strumenti di protezione della Vittima appariva,spesso,come un punto programmatico con un basso grado di priorità nell’azione del Parlamento.
Ne costituisce riprova quanto accaduto per l’epocale riforma dell’art. 111 Cost.
Per riaffermare i capisaldi del modello accusatorio,di fronte al tentativo di una rabbiosa controriforma e di un progressivo depotenziamento del codice Vassalli,il legislatore tratteggiò il ritratto ideale del “Giusto Processo”in Costituzione come un “passo a due”tra accusa e difesa,senza prendere in considerazione,,quale possibile soggetto compartecipe della liturgia processuale, la persona offesa.
La scelta si spiega benissimo con il momento peculiare che stava vivendo la nazione poiché dovevano venire riaffermati,con fermezza,i principi cardine dell’archetipo di giurisdizione penale prescelto dal Legislatore con la Riforma del Rito penale e l’introduzione del nuovo rito accusatorio..
A tale forte disequilibrio,tra la posizione dell’imputato e quella subalterna,ma non emarginabile,della Vittima,si aggiungeva così un nuovo elemento che,per molti osservatori,avrebbe segnato la messa alla porta del soggetto passivo del nuovo processo penale.
Sulla questione occorre affrontare,succintamente,le storture interne al procedi mento determinate dagli esiti della stagione legislativa diretta a fornire protezione e poteri di impulso alla persona offesa, con la Riforma della Giustizia Riparativa..
Premettendo che i diritti della vittima si possono suddividere in quelli a “costo zero” per l’accusato non appare difficile individuare le direttrici perniciose verso cui il sistema sta muovendo..
La ricerca di una adeguata posizione della Vittima nel nostro sistema processuale, in linea con nuove sensibilità e obblighi sovranazionali,aveva prospettato, fin da subito,elementi di negatività.
Pertanto,la giustizia riparativa nasce dalla constatazione che il reato è esercizio di potere,di sopraffazione sulla Vittima,è un’azione violenta che provoca una ferita molto spesso fisica ma anche materiale e morale
La giustizia avrebbe assunto,quindi,il compito di innescare un processo di guarigione e per questo motivo la giustizia riparativa viene affiancata alla giustizia tradizionale che si amministra nei tribunali e si manifesta nell’incontro tra le parti, che ne costituisce il punto cardine.
Un incontro che è liberamente accettato tra le Parti assistiti,in parte,dai difensori e con l’aiuto di un Mediatore in cui si affrontano domande molto semplici ma decisive per le persone coinvolte:
La giustizia riparativa non va, quindi, confusa con un atto di clemenza, perché essa richiede all’imputato di assumersi tutte le proprie responsabilità davanti alle Vittime e alla Comunità coinvolta.
Si tratta,quindi,di un procedimento che sollecita a non trascurare la sorte dell’im putato dando prevalenza alla Vittima, poiché “un modello orientato alla protezione della Vittima porta con sé il pericolo di una messa in discussione delle garanzie per l’imputato, storicamente apprestate” conclude l’Autore citato..,.
Sul punto va richiamata la collocazione della vittima del reato nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,firmata a Roma il 4 novembre 1950,resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e le aperture nella giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee di Strasburgo che ha riconosciuto specifici doveri di «penalizzazione» da parte dei singoli Stati e che hanno trovato una loro collocazione formale nella decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2001 sostituita, dalla più recen te Direttiva 2012/29 UE.
In questo documento si definisce con esattezza cosa debba intendersi per «vittima» di reato e le si garantisce la possibilità di essere sentita durante il procedimento (articolo 3); le si riconosce il diritto di accesso alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei suoi interessi, tra cui quella relativa al diritto al patrocinio gratuito, nonché del seguito riservato alla sua denuncia e ad essere informata, nei casi in cui esiste un pericolo per la vittima, al momento del rilascio dell’imputato o della persona condannata (articoli 4 e 6); il diritto al rimborso, alla vittima, sia essa parte civile o testimone, delle spese sostenute a causa della sua legittima partecipazione al processo penale (articolo 7); il diritto alla protezione sua ed a quella dei suoi familiari e persone ad essi assimilabili, ove si accerti l’esistenza di una seria minaccia di atti di ritorsione o di intromissione nella sfera della vita privata; ma anche il diritto ad una protezione appropriata della sfera privata e dell’immagine fotografica della vittima, dei suoi familiari e delle persone ad essi assimilabili, curando di evitare contatti tra vittima ed autori del reato negli edifici degli organi giurisdizionali, fornendo progressivamente tali edifici di luoghi d’attesa riservati alle vittime; garantendo tutela alle vittime più vulnerabili allorché devono rendere dichiarazioni in udienza pubblica, assicurando loro condizioni di sicurezza sulla base della decisione del giudice (articolo 8), e dettando una normativa che incoraggi l’autore del reato a prestare risarcimento alla vittima (articolo 9).
Tuttavia é mancata,dopo le varie Direttiva emanate dall’UE.in conformità dei principi innanzi enunciati,una norma a tutela della Vittima dei reati inserita nella Carta Costituzionale,nonostante si sia voluto accentuare il contenuto accusatorio del processo penale e dunque la sua natura di processo di Parti cui assegnare condizioni di parità. ai fini del c.d. Giusto Processo
E’stato,quindi,necessario colmare questa lacuna,n linea con i princìpi costituzionali di solidarietà e di uguaglianza,assicurando un’efficace tutela processuale alle Vittime del reato e introducendo meccanismi satisfattori delle legittime doglienze .
statuendo che,in caso di condanna,il Giudice disponga il risarcimento e le restitu zioni anche in difetto di costituzione di parte civile attraverso la Giustizia Riparativa..
Motori di questo nuovo approccio alla Giustizia sono i due presupposti fondamentali:
l’insoddisfazione verso i precedenti modelli di Gustizia (retributivo/riabilitativo)
la riconsiderazione del ruolo della Vittima
Il modello retributivo fa riferimento a categorie giuridiche storicamente ancorate all’elaborazione di un codice di leggi scritte che costituiscono per il reo garanzia di una pena certa e proporzionata alla gravità del reato, con conseguente effetto deterrente sul comportamento criminale futuro.
Il modello riabilitativo sposta il fuoco di interesse dal delitto al delinquente, affidando alla giustizia penale il ruolo di individuare gli strumenti di conoscenza del reo per individuare dei mezzi scientifici in grado di arginare la recidiva. La sanzione conseguente non può consistere in una semplice retribuzione, ma essere un mezzo giuridico di difesa contro il delinquente,che non deve essere punito, ma riadattato, se possibile, alla vita sociale.
La Giustizia Riparativa si differenzia da questi due modelli perché ha come oggetto i danni provocati alla Vittima in quanto conseguenza del reato e come obiettivo l’eliminazione di tali conseguenze attraverso l’attività riparatrice intrapresa dall’autore del reato.
L’autore del reato non è più soggetto passivo destinatario di una sanzione ma soggetto attivo a cui è chiesto di rimediare agli errori fatti ed ai danni procurati con la sua condotta criminosa ma diviene parte essenziale del procedimento riparatorio a cui è ispirata la Riforma,traendone benefici “premial” consequenti ad una condotta processuale in linea con tale principi.
A livello di esecuzione, la riparazione è applicabile in diverse forme comprensive della restituzione in forma specifica,del risarcimento del danno, delle prestazioni in favore della Vittima e del lavoro di interesse generale.
Questo modello si avvale di due strumenti per essere efficace:
- la mediazione, che consente la contestualizzazione della riparazione
- la retribuzione,che può avveniree in assenza della mediazione.
Essa può essere di due tipi:
- alla vittima del reato,sotto forma di un servizio da svolgere per la vittima,
- alla comunità,sotto forma di un servizio utile per la comunità da prestare gratuitamente.
Il sistema giuridico italiano, prima della Riforma,si poneva obiettivi prevalentemente retributivi e riabilitativi mentre il ruolo della Vittima era solo funzionale ai processi penali e,quindi,gli interessi ed i bisogni della vittima non erano presi in considerazione e la persona offesa diventava solo un testimone fondamentale nel processo anziché esserne coinvolta in prima persona.
L’introduzione della Giustizia Riparativa ha tolto di mezzo questa impostazione rendendo la Vittima destinataria della stessa quanto protagonista a tutela dei propri interessi lesi.
Occorre sottolineare,tuttavia,che la Riforma,che, nelle intenzioni, dovrebbe evitare lungaggini processuali ma con evidenti riflessi sulle pene da irrogare,non è ancora divenuta operativa.
Orbene,appare chiaro come la concreta operatività, tanto della disciplina organica della giustizia ripartiva,delineata nel titolo IV del d.lgs. n.150/2022 (già formalmente vigente) quanto del regime transitorio,come previsto negli artt. 92,commi 1 e 2, e 93 dello stesso D Lgs,sia soggetta alla condizione della creazione ed attivazione delle nuove entità giuridiche,contemplate dalla normativa,quali “opere complementari” necessarie al funzionamento dei servizi di giustizia ripartiva, come sottolinea la Dottrina(v.G. D’arario Le pre-condizioni per la concreta operatività del sistema di restorative justice, Riv.Giappichelli) .
Pertanto,finché non verranno istituiti i Centri per la Giustizia Riparativa, a cui inviare, per l’avvio di un programma riparatorio,sia in pendenza dell’accertamento penale,l’imputato e la vittima del reato (art. 129-bis CPP) o, in executivis,un condannato o internato adulto (art. 15-bis l.n. 354/1975) o un condannato minorenne (art. 1-bis d.lgs. n. 121/2018) non vi sarà alcuno spazio fisico e giuridico per avviare una definizione bonaria delle conseguenze del crimine commesso dall’imputato.
Il favor rei che il Legislatore assegna a quest’ultimo trova,quindi,il suo fondamento logico-giuridico nell’adempimento degli obblighi a suo carico pure delineati nel documento normativo da cui discendono effetti favorevoli ai fini della pena.
In conseguenza,in caso di “esito riparativo” della Mediazione Penale,sarà lo stesso Giudice,sia nei reati punibili a querela di parte rimettibile sia nei casi più gravi, ad assumere le decisioni che tengano conto delle buone intenzioni dell’imputato ed irrogare una sanzione adeguata.