Dipendenze e addebito della separazione

Dipendenze e addebito della separazione

Ogni dipendenza che sia causa diretta della violazione dei doveri coniugali di cui all’art. 143 e 144 codice civile, tale da determinare l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, potrà essere fatta valere in un giudizio separativo, ai fini di ottenere l’addebito ai sensi dell’art. 151 codice civile

Martedi 3 Gennaio 2017

Il protrarsi nel tempo dell’alcolismo accompagnato al rifiuto di cure può costituire la causa dell’intollerabilità della convivenza e come tale giustificare anche l’addebito della separazione: questo il principio recentemente espresso dalla Corte di Cassazione - Sezione VI Civile- sentenza n° 26883 del 2016.

Nel particolare, con ricorso ritualmente notificato una donna chiedeva venisse dichiarata la separazione dal proprio marito con addebito a quest’ultimo, affermando che la convivenza era divenuta intollerabile a causa  della mancata contribuzione morale e materiale alla vita familiare da parte del marito, dedito all’abuso di bevande alcoliche.

Il marito nel costituirsi in giudizio pur aderendo alla domanda di separazione si opponeva tra le altre a quella di addebito; il Tribunale adito, pur dichiarando la separazione dei coniugi, respingeva la domanda di addebito rilevando che l’abuso di bevande alcoliche era iniziata molti anni prima rispetto al ricorso per separazione e di conseguenza tale condizione non poteva costituire di per sé un presupposto sufficiente per attribuirgli l’addebito della separazione.

Diversamente dal giudice di prime cure, la Corte D’Appello adita dalla donna dichiarava l’addebito della separazione al marito: in maggior dettaglio la Corte territoriale adita ha ritenuto che ” l’abuso di bevande alcoliche, seppur risalente nel tempo, non merita di venir svalutato. Il fatto che la moglie, nonostante l’abuso di sostanze alcoliche da parte del marito, abbia atteso un considerevole lasso di tempo prima di presentare domanda di separazione non può privare tale patologia della sua valenza devastante sui rapporti coniugali”.

Il marito ricorreva in Cassazione contro la pronuncia emessa dalla Corte di Appello.

Secondo gli Ermellini di Piazza Cavour “il ricorso presentato dal marito alcolista avverso le conclusioni raggiunte nella sentenza di secondo grado deve reputarsi infondato, oltre che inammissibile: la valutazione in proposito richiesta attiene infatti al merito della controversia”.

Nel dettaglio la Suprema Corte ha ribadito il principio espresso dalla Corte territoriale “ .. è proprio il protrarsi nel tempo dell’alcolismo accompagnato al rifiuto di cure a costituire la causa dell’intollerabilità della convivenza per lo stress psicologico che la dipendenza dall’alcol provoca nelle persone conviventi, per la tendenza all’aggravamento dello stato di dipendenza e delle conseguenze sulla salute fisica e mentale, per il grave deterioramento delle relazioni personali, specie quelle più strette, che ne deriva. Si tratta di una presunzione che trova la sua conferma nell’esperienza medica e sociale”.

1) Una dipendenza tipicamente femminile: Lo shopping compulsivo.

Quanto sopra rilevato circa l’alcolismo, può ben valere per qualsiasi forma di dipendenza: dal sesso, allo shopping, dalle bugie, alle droghe ecc.: lo stesso shopping compulsivo può infatti essere causa di addebito della separazione.

A tutti noi piace rilassarci facendo shopping, certo è che, se poi il comprare si trasforma in ossessione e in una mania trasformandosi in shopping compulsivo le cose cambiano: la sindrome da acquisto compulsivo chiamata anche shopping-dipendenza, è un disturbo del controllo degli impulsi; non si ha la capacità di resistere all’impulso di comprare, il desiderio è talmente forte da diventare irrefrenabile.

E’ così, a ben vedere, per ogni dipendenza: è noto anche con il termine oniomania (dal greco onios  "in vendita," mania, follia) coniato dallo psichiatra tedesco Emil Kraepelin. Kraepelin, con lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler, che identificò per la prima volta i sintomi associati all'oniomania nel corso del tardo diciannovesimo secolo.

I soggetti che presentano questo disturbo, se inizialmente comprano per il piacere che si ricava da un nuovo acquisto, in seguito riportano uno stato di tensione crescente, ed il desiderio di comprare diventa un impulso irrefrenabile; acquistano oggetti di ogni tipo, che il più delle volte vengono messi da parte o regalati oppure buttati via.

Tale comportamento è diretto a gratificare il proprio io cercando nell’acquisto di colmare un vuoto e una mancanza interiore. È stata in particolare la studiosa statunitense S.L. McElroy ad occuparsi di questo fenomeno, proponendo i seguenti criteri per distinguere le persone che praticano lo shopping come una normale attività, da quelle per cui esso assume caratteristiche patologiche ( da State of mind 2015): la preoccupazione, l’impulso o il comportamento del comprare non adattivi esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati; comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità oggetti inutili (o di cui non si ha bisogno), per un periodo di tempo più lungo di quello stabilito.

La preoccupazione, l’impulso o l’atto del comprare causano stress marcato, fanno consumare tempo, interferiscono significativamente con il funzionamento sociale e lavorativo o determinano problemi finanziari (indebitamento o bancarotta); il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.

2) L’addebito della separazione.

Come noto la dichiarazione di addebito costituisce un accessorio della domanda di separazione e deve essere richiesta da uno dei due coniugi, non potendo il giudice dichiararla e accertarla d’ufficio.

Essa prevede non soltanto il riscontro di un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, ma anche l’accertamento che a tale comportamento sia casualmente ricollegabile la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza: pertanto il giudice dovrà analizzare i comportamenti di ciascuno dei coniugi, per verificare se il comportamento dell’uno non possa trovare piena giustificazione nelle provocazioni insite in quello dell’altro (Cfr. Cassazione, Sentt. n. 7817/97 e n. 12489/98).

In altre parole è necessario verificare l’effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza, perché deve riscontrarsi, ai fini dell’addebito, un rapporto di casualità diretta tra il comportamento e l’improseguibilità della convivenza (Cfr. Cassazione, sentt. N. 15279/2001, e n. 14840/2006).

Sull’argomento la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento con sentenza n. 25843/2013, con cui ha confermato la precedente decisione della Corte di Appello di Firenze che aveva pronunciato la separazione tra due coniugi, con addebito alla moglie, escludendo conseguentemente l’assegno di mantenimento in suo favore.

Nella specie la signora era affetta da comprovato shopping compulsivo, derivante da una nevrosi caratteriale repressa, con un impulso irrefrenabile e immediato ad acquistare e da una tensione crescente, allevata soltanto acquistando appunto beni mobili. “La stessa sottraeva denaro ai familiari e a terzi per soddisfare la propria esigenza di effettuare acquisti sempre più frequenti e dispendiosi di beni mobili, quali vestiti, gioielli, borse, spendendo somme di volta in volta più ingenti”: i Giudici della S.C.,  confermando la pronuncia di addebito con conseguente esclusione dell’assegno di mantenimento, hanno precisato come tali comportamenti (furti di denaro, acquisti frequenti e fuori misura di beni mobili) configurano violazione dei doveri matrimoniali ex art. 143 c.c.

Insomma, non solo l’infedeltà, ma ogni dipendenza che sia causa diretta della violazione dei doveri coniugali di cui all’art. 143 e 144 codice civile, tale da determinare l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, potrà essere fatta valere in un giudizio separativo, ai fini di ottenere l’addebito ai sensi dell’art. 151 codice civile.

Una sentenza di separazione giudiziale con pronuncia di addebito comporta conseguenze di tipo economico nei confronti del coniuge al quale la separazione è stata addebitata: questi, per l’effetto, perderà il diritto all'assegno di mantenimento, seppure ne avesse avuto diritto, conservando solo il diritto agli alimenti solo ove ne sussistano i presupposti.

Ove onerato di un assegno di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge, il coniuge soccombente viene solitamente condannato a pagare un congruo/maggiorato assegno in favore del coniuge vincitore, oltre al pagamento delle spese legali di causa, sempre che non vi sia anche una condanna al risarcimento del danno, dato che il mancato rispetto dei doveri coniugali può comportare conseguenze anche sul piano risarcitorio.  (Cfr. Cassazione, Sentt. N. 9801/2005 e n. 18853/2011); inoltre il soggetto nei cui confronti è stata pronunciata una separazione con addebito perderà i diritti successori nei confronti dell'ex coniuge eccezion fatta per il caso in cui godeva degli alimenti legali a carico del coniuge defunto, che consentirà il diritto ad un assegno vitalizio, da porre a carico dell'eredità, della medesima misura.

Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione, per contro, godrà degli stessi diritti successori del coniuge non separato, oltre che degli effetti positivi, in suo favore, della pronuncia giudiziale, sopra brevemente ricordati.

Prevenire tali problematiche, personali e di coppia, è possibile. In primo luogo è fondamentale mantenere aperta la comunicazione tra coniugi: nel momento in cui si presenta un problema di tale portata, come una dipendenza, è necessario riconoscerne l’esistenza e chiedere aiuto ad un esperto.

Chi sviluppa una dipendenza potrà infatti uscirne, se veramente lo vuole, ma avrà bisogno del sostegno vigile di chi ha vicino, e dell’aiuto di uno specialista e/o di un centro di riabilitazione, con il rischio di ricadute, nel tempo.

Allegato:

Cassazione civile Ordinanza n. 26883 del 22/12/2016

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