Ai fini della validità della querela, non sono richieste formule sacramentali, essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della persona offesa che il responsabile del reato sia perseguito.
In tal senso si è espressa la Quarta Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza n. 16281/2022
Giovedi 5 Maggio 2022 |
Il caso: Il Giudice di pace dichiarava non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di Tizio, imputato del reato di cui all'art. 590 cod. pen.: secondo l'ipotesi accusatoria, lasciando libero senza museruola il proprio cane sulla spiaggia, Tizio avrebbe provocato al minore Caio, inseguito e morsicato al gluteo dall'animale, lesioni personali giudicate guaribili in giorni 5.
Trasmessi gli atti alla Corte di Cassazione, il Procuratore generale chiedeva l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata sottolineando che la denuncia era stata ratificata e ciò comportava espressa richiesta di punizione.
Per la Cassazione il ricorso è fondato; sul punto osserva che:
- da un lato, la querela è un atto a forma libera, dall'altro che, pur nella libertà della forma, essa deve contenere l'inequivoca manifestazione della volontà di perseguire penalmente i fatti denunciati;in questa manifestazione di volontà si sostanzia, infatti, la differenza tra una semplice denuncia e una querela;
- nell'escludere che la denuncia in atti abbia contenuto di querela, la sentenza impugnata si è limitata a osservare che essa non contiene un'espressa manifestazione della volontà di punizione; ha omesso, però, di esaminare in dettaglio il contenuto dell'atto: in particolare, ha omesso ogni valutazione sulla richiesta, aggiunta a penna in calce all'atto, di «essere avvisato» ai sensi degli artt. 406, 408 e 410 cod. proc. Pen.;
- la suddetta richiesta, che dà per scontata l'apertura di un procedimento penale, non avrebbe ragion d'essere senza una contestuale implicita richiesta di punizione dell'autore del reato e consente di attribuire alla denuncia contenuto di querela;
- alle medesime conclusioni la giurisprudenza di legittimità è pervenuta in casi analoghi: ha ritenuto, ad esempio, che la volontà di perseguire penalmente i fatti denunciati possa essere desunta dalla richiesta di essere «informato sugli sviluppi delle indagini», oppure dalla sollecitazione, rivolta alla autorità giudiziaria, di «voler prendere provvedimenti al più presto»;
- più in generale, si è ritenuto che, proprio perché non richiede formule particolari, la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa possa essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione e che, ove emergano situazioni di incertezza, tali atti debbano comunque essere interpretati alla luce del "favor querelae".