Vi è una norma nel nostro codice di procedura civile, ossia l'art. 61, che consente al giudice di farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica, individuati in base alla materia oggetto del giudizio.
Ciò può accadere anche in ambito di procedure di natura "familiare", in ipotesi in cui il giudice abbia necessità di ottenere una valutazione, da parte di un soggetto esperto da lui incaricato, della capacità genitoriale delle due persone parte del giudizio, al fine di determinare le modalità di affidamento ed i tempi di frequentazione con i loro figli.
Dovra', pertanto, essere il giudice a stabilire, prima di adottare qualsivoglia tipo di provvedimento afferente i figli, quanto ciascun genitore possa ritenersi un “genitore capace” e per fare cio' egli dovrà avvalersi di un Consulente Tecnico d'ufficio (uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra infantile).
Occorre, innanzi tutto, chiarire in cosa consiste la "valutazione della genitorialita'". Essa rappresenta, in base ad una puntuale definizione che qui riporto, " una complessa attivita' di diagnosi maturata in un'area di ricerca multidisciplinare, che deve tener conto di diversi parametri, che valorizza in contributi della psicologia clinica e dello sviluppo, della neuropsichiatria infantile, della psicologia della famiglia, della psicologia sociale e giuridica e della psichiatria forense". (Mara Giani, “Consulenza psichiatrica e psicologica nel processo civile”, Maggioli editore).
Il compito affidato dal giudice al consulente tecnico incaricato, come intuibile, non è di poco conto, stante soprattutto la complessità della valutazione che egli deve porre in essere, complessità derivante dal fatto che tale valutazione afferisce la sfera intima e psicologica dell'intero nucleo familiare che diverrà, a seguito del conferimento dell’incarico, oggetto di indagine approfondita.
All’avvocato che richieda la disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio di tale natura, deve essere chiaro che tale indagine non potra' mai riguardare un singolo soggetto parte del procedimento, ma dovrà coinvolgere necessariamente il nucleo familiare, al fine di fornire al giudice una valutazione complessiva ed esaustiva.
Pertanto, l’indagine non potrà tradursi in una valutazione della capacità genitoriale di un singolo soggetto (quindi uno dei due genitori) che, magari, con il suo comportamento di natura negativa generalizzato o riferito ad un unico episodio ha dato avvio alla richiesta di espletamento di una consulenza di tale delicata natura.
Il consulente incaricato dovrà, pertanto, procedere con competenza, perizia e scientificita', ben consapevole dell'incidenza che la sua valutazione avra' sulla decisone del giudice anche in termini di scelta, talvolta, fra applicazione del regime di affido esclusivo o condiviso.
La domanda che occorre porsi è quale natura abbia questo tipo di consulenza spesso richiesta dalla difesa di parte con una leggerezza che non le si addice stante la delicata natura ed il carattere "intrusivo" che essa riveste.
In ordine alla "natura" della consulenza tecnica in generale, dalla lettura di alcune massime giurisprudenziali in materia emerge la negazione assoluta di valore probatorio della consulenza tecnica d'ufficio disposta dal Giudice nel corso di un procedimento. Altre massime attribuiscono, di contro, un valore probatorio alla CTU, con cio' dando origine ad un apparente contrasto giurisprudenziale, contrasto, invero, inesistente in quanto, in effetti, in taluni casi il consulente viene convocato al solo fine di esprimere una valutazione tecnica rispetto a fatti già provati (CTU cosiddetta deducente), in altri casi, invece, egli è chiamato ad accertare il fatto (CTU cosiddetta percipiente).
La distinzione fra queste due tipologie di consulenza è ben espressa in un’importante pronuncia della Cassazione Civile a Sez. Un. del 4 novembre 1996, la n.9522.
In questa ottica di differenziazione fra consulenza tecnica di natura deducente da una parte e di natura percipiente dall'altra, il CTU incaricato viene dunque visto come un ausiliario tecnico del Giudice che lo assiste nei suoi compiti anche di vera e propria acquisizione oltre che di valutazione delle prove. Il Consulente incaricato metterà a disposizione del Giudice le sue particolari conoscenze tecniche al fine di assisterlo e consigliarlo in un campo nel quale, si ritiene, abbia massima esperienza.
Pertanto, è importante comprendere, anche in ordine ad eventuali eccezioni procedurali da sollevare, che il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti dalle parti (cio' avviene quando la consulenza è di natura deducente), ma anche quello di procedere con un vero e proprio accertamento dei fatti stessi (cio' accade, invece, quando la consulenza è di natura percipiente).
La domanda da porsi è quali differenze vi siano, al livello procedurale, fra le due consulenze ora descritte.
Nel caso di consulenza deducente essa presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova ed ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati parzialmente se non completamente provati dalle parti. Nel caso di consulenza percipiente essa potrà costituire di per sè una fonte oggettiva di prova.
Ovviamente ciò non significa che le parti siano esonerate dall'onere probatorio e che abbiano facoltà di rimettere interamente l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente nominato dal Giudice, anche su loro specifica istanza.
Nella consulenza percipiente è necessario che la parte deduca in atti, quanto meno, il fatto o i fatti che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il fatto sia possibile, rilevante e tale da lasciare tracce accertabili o, comunque, da poter essere ricostruito dal consulente.
Nella CTU deducente, pertanto, la parte, tramite il suo difensore, dovra' in primo luogo allegare il fatto o i fatti (descrivendoli in dettaglio e circostanziandoli) sulla base dei quali egli avanza la propria richiesta entro i termini fissati per la definizione dell’oggetto della decisione, dopo di che dovrà provare il fatto o i fatti con i mezzi di prova normativamente previsti.
Solo nel momento in cui i fatti descritti vengano provati e solo allora, il giudice potrà nominare un consulente al fine di compiere la valutazione tecnica dei fatti stessi.
In linea di massima e come regola di partenza, la parte non potrà, certamente, affidare al CTU l’incarico di ricercare e provare i fatti ritenuti rilevanti per la decisione della causa.
Ma tale principio di base, per giurisprudenza ormai costante, è soggetto ad un’importante eccezione ossia sarà possibile ricorrere ad una CTU di natura percipiente tutte le volte in cui per la parte sia impossibile o estremamente difficile accertare autonomamente un fatto, come chiarisce ampiamente la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite su citata.
Trattandosi di un importante eccezione al consueto valore che viene dato alla Consulenza tecnica d’ufficio, il giudice dovrà valutare con la massima accortezza la sussistenza dei presupposti per poter procedere con la disposizione di una CTU di natura percipiente, stante l’oggettiva impossibilità o estrema difficoltà della parte di provare il fatto diversamente.
Di prassi, possiamo affermare che il consulente incaricato dal giudice all’interno di un procedimento deduce e solo in casi eccezionali percepisce, chiara la distinzione fra CTU deducente che non rappresenta in alcun caso un mezzo di prova, ma solamente il mezzo atto a valutare sotto il profilo squisitamente tecnico fatti che sono stati già provati dalla parte che li ha dedotti e CTU percipiente considerata vero e proprio mezzo di prova volto ad accertare e poi valutare fatti che per chi li ha dedotti sarebbe impossibile o estremamente difficile provare con i mezzi di prova messi a disposizione dal nostro codice.
Riportando l’attenzione sulla consulenza tecnica volta a valutare la capacità genitoriale delle parti, considerando il fatto che essa viene spesso disposta dal Giudice anche a semplice richiesta di una parte la quale, magari, ha posto a fondamento della richiesta stessa uno o più fatti connotati da una sorta di gravità posti in essere da uno dei genitori, non possiamo che attribuire a questo tipo di valutazione che il “tecnico” incaricato andrà a svolgere, natura di consulenza percipiente.
Il Giudice, sarà, pertanto, meno limitato nella sua facoltà di disporla in quanto una valutazione di tale natura, comportando una approfondito esame psicologico del nucleo familiare, sarà l’unico mezzo con il quale i fatti potranno essere accertati e valutati dal Consulente incaricato.
Ma ciò, a mio avviso, non potrà divenire un pretesto che autorizzi il difensore a richiedere una consulenza tecnica sulla capacità genitoriale anche qualora la stessa non appaia fortemente necessaria.
Occorre sempre rammentare che quando, in termini di difesa, si avanza una richiesta di questo tipo, qualora essa venga accolta dal Giudice, comporterà una vera e propria “intrusione” di un soggetto estraneo all’interno del nucleo familiare, composto talvolta anche da minori di tenera età, un nucleo, con ogni probabilità, già fortemente destabilizzato dall’evento separativo che verrà sottoposto ad una pesante indagine di natura psicologica.
Il monito dovrà essere solo uno. Valutare con coscienza quando tale indagine si palesi realmente necessaria per la tutela degli interessi in gioco, primi fra tutti quelli dei minori, e quando, invece, essa diventi uno strumento “aggressivo” e come tale assolutamente da scongiurare, dando la possibilità al nucleo familiare, una volta adottati gli adeguati provvedimenti in sede giudiziaria, di ritrovare, naturalmente, un proprio equilibrio in un’irreversibile condizione separativa già di per sè estremamente dolorosa per le persone che l’hanno dovuta, talvolta loro malgrado, vivere.
Fabiana Romano Avvocato del Foro di Velletri
Referente Sezione AIAF. di Velletri
Direttivo AIAF