Con una pronuncia molto importante, la n. 278 del 18/11/2013, la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di adozione, e in particolare ha introdotto una significativa modifica nei rapporti tra l'adottato e la madre biologica.
Com'è noto, l'art. 30 comma 1 del D.P.R. 3/11/2000 n. 396 stabilisce che “La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata “, prevedendo quindi la possibilità per la madre naturale di non procedere al riconoscimento del figlio.
Ebbene, la Corte, anche a tutela del diritto dell'individuo alla propria identità personale e familiare, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dall'art. 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede - attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza - la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata – al fine di una eventuale revoca della suddetta dichiarazione.
La norma in commento, osserva la Corte, aveva una duplice finalità: da un lato era volta ad assicurare che il parto avvenisse nelle condizioni ottimali tanto per la madre che per il figlio, e, dall’altro lato, doveva “distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest’ultimo ben più gravi”: in tale prospettiva, l'anonimato poteva essere lo strumento per garantire il diritto alla vita e alla salute sia della della donna che del bambino, in un sistema teso a favorire la genitorialità naturale.
Di contro, il diritto della madre di mantenere il segreto sulla propria identità si scontra inevitabilmente con il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e la storia della sua famiglia, diritto, questo, che non può non essere ricondotto nel più generale principio costituzionale di tutela della persona nella sua più ampia accezione, come più volte enunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Del resto, prosegue la Corte, la disposizione in esame configura una sorta di “cristallizzazione“ o di “immobilizzazione“ nelle relative modalità di esercizio: una volta intervenuta la scelta per l’anonimato, infatti, la relativa manifestazione di volontà assume “connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad “espropriare” la persona titolare del diritto da qualsiasi ulteriore opzione”: se una tale scelta, però, può avere una sua legittimità nell'impedire l'insorgenza di una “genitorialità giuridica” con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, essa non appare ragionevole se preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”, in relazione alla quale la suddetta scelta potrebbe connotarsi come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio); ove così non fosse, d’altra parte, “risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost.”
Alla luce di tali considerazioni, per la Corte Costituzionale la disciplina all’esame è censurabile per la sua eccessiva rigidità, con conseguente declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. dell'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 .
Sarà poi cómpito del legislatore, precisa la Corte, introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo.