Il caso in esame è quello di una coppia di sposi, (lui cittadino italiano, lei cittadina ecuadoregna) che, in viaggio di nozze in Thailandia, vengono bloccati dall'Ufficio Immigrazione thailandese, che nega l'ingresso alla donna, le sequestrano il passaporto e il biglietto, in quanto non in possesso del visto di ingresso del Consolato, necessario per tutti i cittadini extracomunitari.
La coppia promuove una causa per il risarcimento dei danni nei confronti dell'agenzia di viaggi per avere omesso di informarli circa la necessità del visto, in violazione dei principi della Convenzione internazionale di Bruxelles del 1970 sui contratti di viaggio, ratificata in Italia con L. 27 dicembre 1977, n. 1084 (CCV) e del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111 sui contratti del turismo; la domanda però viene respinta sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale, in sede di gravame, e pertanto la questione viene sottoposta all'esame della Corte di Cassazione, che decide il ricorso con la sentenza n. 25410 del 12/11/2013.
I motivi di rigetto della domanda sono essenzialmente due: in primo luogo la moglie, cittadina dell'Ecuador, non poteva invocare a sua tutela le norme della CCV, perchè la Convenzione non era stata sottoscritta dal suo paese di appartenenza e neppure era protetta dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111, sui contratti del turismo, trattandosi di normativa applicabile solo ai cittadini Europei; in secondo luogo non vi era stata violazione del contratto di mandato e dei doveri di buona fede che ne derivano, poichè “gli obblighi a carico del mandatario vanno individuati con specifico riferimento alle prestazioni espressamente richieste dal mandante” e nel caso de quo non risultava che i due coniugi avessero chiesto informazioni sui visti, nè prestazioni diverse dalla consegna dei biglietti di viaggio da Genova a Bangkok.
La Suprema Corte ribalta il ragionamento seguito dai giudici di primo e secondo grado, e, nell'accogliere il ricorso, precisa tra l'altro quali siano gli obblighi di una agenzia di viaggio.
In primo luogo la Corte chiarisce che la tutela apprestata dalla CCV non è condizionata alla nazionalità del viaggiatore, ma copre chiunque concluda il contratto di viaggio all'interno di uno Stato contraente, così come disposto dall'art. 2, che così recita: “la Convenzione si applica "a qualunque contratto di viaggio concluso da un organizzatore o da un intermediario di viaggi, qualora la sua sede principale,.........o la sede di lavoro per tramite della quale il contratto di viaggio è stato concluso, si trovi in uno Stato contraente".
Quanto ai profili di responsabilità dell'Agenzia, che si difende sostenendo che essa, come mero intermediario, aveva il solo compito di vendere i biglietti, senza alcun obbligo in merito ai visti e ai documenti di ingresso, la Cassazione ne censura la condotta, alla luce di alcune disposizioni contenute nella stessa Convenzione.
In particolare, se è pur vero che “ l'art. 18 non menzioni espressamente, con riferimento al mero intermediario di viaggi, i doveri di informazione sui visti turistici, nè l'obbligo di procurarli ai viaggiatori”, l'art. 3 della Convenzione medesima dispone che anche l'intermediario, come l'organizzatore di viaggi, è tenuto a proteggere "... i diritti e gli interessi dei viaggiatori secondo i principi generali del diritto e i buoni usi in questo campo" e il successivo art. 22 prevede che"L'intermediario di viaggi risponde di qualsiasi inosservanza che commette nell'adempimento dei suoi obblighi, l'inosservanza venendo stabilita considerando i doveri che competono ad un intermediario di viaggi diligente".
Alla luce di tale combinato disposto, la Corte osserva che l'agenzia, facendo uso della normale diligenza e in base agli usi, ben avrebbe potuto rilevare alcuni aspetti peculiari del contratto di viaggio concluso con la coppia di sposi, come la nazionalità extracomunitaria della donna, (che si poteva evincere dal nome esotico) e quindi la stessa agenzia avrebbe dovuto quanto meno avvertire i clienti della possibile necessità del visto di ingresso: sulla agenzia, quindi, grava non un obbligo di procurare i visti, ma un più generale dovere di informazione, anche alla luce del fatto che “l'intermediario di viaggio, per la natura stessa della professione, è normalmente tenuto a sapere quali paesi stranieri e per quali viaggiatori richiedano il visto di ingresso”, anche perchè per l'agenzia è oggettivamente più semplice acquisire questo genere di informazioni, rispetto al cliente.
Sussiste quindi la responsabilità contrattuale dell'agenzia, anche in relazione a quelle prestazioni che vengono normalmente incluse nell'oggetto del contratto, anche se non sono espressamente menzionate (c.d. naturalia negotii) né richieste dal cliente.
Al riguardo, la Corte molto chiaramente sottolinea che “E' frequente (soprattutto in tema di mandato) che i contraenti enuncino solo lo scopo perseguito; non necessariamente le singole attività necessarie per raggiungerlo, ed è compito dell'interprete stabilire - anche in base ai principi in tema di buona fede nella conclusione, nell'interpretazione e nell'esecuzione del contratto (art. 1337, 1366 e 1375 cod. civ.) - se una determinata attività preparatoria o accessoria sia da ritenere compresa nella prestazione dovuta, pur se non espressamente menzionata, perchè ordinariamente richiesta o comunque strumentale al perseguimento dello scopo dichiarato: in particolar modo quando la relativa omissione vanifichi l'utilità della prestazione principale.”