Per la Suprema Corte poiché l'art. 4, comma terzo, della L. n. 40/2004 vieta il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita all'estero, da parte di coppie dello stesso sesso, limitando l'uso di siffatte tecniche solo per le ipotesi di infertilità patologica, non può essere accolta la richiesta di correzione dell'atto di nascita, registrato con l'indicazione della sola madre partoriente, nell'ufficio di stato civile.
Martedi 12 Aprile 2022 |
La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi, con l'ordinanza n. 10844 del 4 aprile 2022, sulla legittimità del diniego di iscrizione di due donne nello stato civile del bambino (due nel caso di specie), ribadendo che la L. n. 40/2004 – recante Norme in materia di procreazione medicalmente assistita – non consente un'interpretazione estensiva riguardo ai soggetti che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita essendone escluso il ricorso alle coppie dello stesso sesso.
Due donne, a seguito di p.m.a., in Danimarca, avevano avuto due figli, nati in Italia, e chiesto all'Ufficiale di stato civile di correggere i relativi atti di nascita che indicavano solo una delle due come madre partoriente, così da ottenere l'indicazione della genitorialità anche della compagna con la quale condivideva una stabile relazione affettiva. Al rifiuto dell'ufficiale di stato civile, entrambe proponevano ricorso che, tuttavia, il tribunale rigettava. A sua volta, anche il reclamo veniva rigettato dalla Corte d'appello e, perciò, le ricorrenti adivano la Suprema Corte affidando le doglianze a ben otto motivi di ricorso.
Per la parte che interessa il presente commento, prendiamo in considerazione il sesto e il settimo motivo.
Con il primo, le ricorrenti hanno eccepito la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt., 2, 3, 30 e 31 della Cost., e 8 e 9 della L. n. 40/2004, nella parte in cui il decreto impugnato non ha considerato la p.m.a., come una modalità alternativa di accesso alla filiazione del genitore intenzionale che ha prestato il consenso.
Con il secondo, hanno dedotto, in relazione agli artt., 117 e 11 Cost., e 8 e 14 Cedu, la lesione del diritto all'identità personale e del diritto alla vita familiare del minore nonché la discriminazione, per motivi di genere e per orientamento sessuale della donna convivente “che ha prestato il consenso alla fecondazione eterologa con donazione di gamete maschile, diversamente dall'uomo in una coppia eterosessuale che, prestando analogo consenso, è riconosciuto come genitore di intenzione”.
La Corte ha ritenuto tutti e due i motivi inammissibili ribadendo, attraverso il rinvio a due pronunce recenti (Cass. n. 7668 e 8029 del 2020 e n. 7413 del 2022) che non è ammissibile la rettifica dell'atto di nascita al fine di aggiungere il nome della madre intenzionale perchè in contrasto con l'art. 4, comma terzo, della L. n. 40 del 2004 il quale esclude il ricorso a queste tecniche da parte di coppie dello stesso sesso, “ non essendo consentite forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto”. La scelta operata dal legislatore con la L. n. 40, è stata orientata a limitare l'accesso a queste tecniche solo alle fattispecie di infertilità patologica, alle quali certamente non è equiparabile la condizione di infertilità della coppia omosessuale.
Ricordiamo che anche la Corte Costituzionale con la sentenza n 211 del 2019, ha confermato che “non vi è alcuna incongruenza interna alla disciplina legislativa della materia perché l'infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale – femminile – non è affatto omologabile all'infertilità – di tipo assoluto e irreversibile – della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l'infertilità “fisiologica” della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. L’esclusione dalla procreazione medicalmente assistita delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale”.
La Cassazione ha, infine, ribadito che alla base di richieste come queste non può invocarsi un'interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 40 e ciò in quanto “una diversa interpretazione delle norme relative alla formazione dell'atto di nascita non è imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela che richiede, in una materia eticamente sensibile, necessariamente l'intervento del legislatore (v. Cass. civ., sez. 25 febbraio 2022, n. 6383)”.