La Corte Costituzionale, con la sentenza n.132/2025,ha ritenute inammissibili le eccezioni di legittimità costituzionale dell'art.579 C.P.(«Omicidio del consenziente»), laddove la norma non esclude la punibilità di chi, in presenza delle condizioni di accesso al suicidio medicalmente assistito, attui in concreto la volontà del malato che, per impossibilità fisica e assenza di strumentazione idonea, non possa procedervi da solo.
Mercoledi 13 Agosto 2025 |
Pertanto la Consulta, nella decisione, ha escluso, in questi casi, il ricorso del malato alla c.d.”Eutanasia attiva”.
Le eccezioni erano state sollevate dal Tribunale di Firenze, con Ordinanza del 30 aprile 2025,con cui aveva trasmesso alla Consulta gli atti relativi al caso della Sigra M.S.(“Libera” per i massmedia), affetta da sclerosi multipla a decorso progressivo primario, per contrasto con gli artt. 2,3,13 e 32 Cost.
La ricorrente aveva richiesto al Giudice Fiorentino la emissione di un provvedimento d'urgenza, nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della salute, sulla base della dedotta illegittimità costituzionale dell'art. 579 C.P., per violazione del «diritto fondamentale ad autodeterminarsi nelle scelte terapeutiche in materia di Fine Vita, ossia il diritto di scegliere, in modo libero, consapevole e informato, di procedere alla somministrazione del farmaco letale in modalità eteronoma e dunque da parte del personale sanitario».
Il Tribunale adito, pertanto, aveva ritenuto rilevante la questione di legittimità della norma censurata, nella parte in essa cui non esclude la punibilità di chi, avvalendosi delle modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n.219,attui materialmente la volontà suicidaria, autonomamente e liberamente assunta, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ma affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollera bili, ma pienamente capace di assumere decisioni libere e consapevoli, purché tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del SSN e previo parere del Comitato Etico competente per territorio.
Si trattava, quindi, di uno di quei casi in cui l’ammalato, per impossibilità fisica e per l’assenza di modalità alternative di auto-somministrazione di farmaci disponibili, non possa attuare l’Eutanasia in base ad una scelta motivata non irragionevole, per contrasto con gli articoli della Costituzione innanzi citati.
A sostegno della vicenda, é stato ritenuto, nei commenti, che sussista, in tali casi, una sorta di barriera ingiusta tra il suicidio assistito e l’Eutanasia attiva, per cui ammettere il primonelle forme regolamentate dalla Corte Cost, senza poter accedere alla seconda, sarebbe arbitrario e discriminatorio.(v.il G Pellegrino sul Dubbio del 20/6/2025)
In particolare, tale discriminazione sarebbe odiosa perché aggiungerebbe una mancanza di rispetto della situazione penosa di chi vive la malattia in condizioni fiisicamente insopportabili.
Va ricordato che la Consulta, con due sentenze emanate, ha stabilito che il “suicidio assistito”non costituisce reato ove praticato da chi, dopo verifica del SSN e del Comitato Etico, risulti affetto da patologie irreversibili, sia in preda a sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili e tenuto in vita da trattamenti o altre cure mediche, sebbene cosciente e capace di decidere della propria esistenza in vita.
Tuttavia, tali decisioni non possono essere estese all’Eutanasia attiva, nei casi in cui il farmaco andrebbe somministrato da un medico quando il paziente non è in grado di farlo da solo.
Per contro, un paziente che non può assumere farmaci perché paralizzato dal collo in giù, avrebbe bisogno di un medico lo aiutasse nell’intento suicidario ma questo farebbe dello stesso un colpevole di omicidio del consenziente, mancando una norma specifica nella attuale legislazione sanitaria. .
Sempre a sostegno della tesi negazionista, è stato affermato che l’Eutanasia attiva vada contro la deontologia medica atteso che i medici “non possono uccidere” un paziente ma alleviarne le sofferenze che li abiliterebbe a praticare un accanimento terapeutico, ossia a infliggere sofferenze (anche non volute) ai pazienti pur di prolungarne anche di poco la vita.
Per contro, sui sanitari incombe il dovere principale di lenire le sofferenze dei pazienti anche quando l’unica maniera di farlo sia interromperne l’esistenza.
Si afferma, inoltre, che legalizzare l’Eutanasia porterebbe ad abusi, sebbene non ci siano prove che, nei Paesi dove l’Eutanasia attiva è legale, essi siano aumentati mentre, per evitarli, occorrerebbe regolamentare la pur delicata materia con Leggi chiare.
Sul punto, va pure ricordato che il Legislatore sta lavorando ad un Disegno di Legge con cui cerca di limitare l’applicazione delle sentenze citate, insistendo sulle cure palliative e affidando a un Comitato Etico di nomina governativa, anziché al SSN, le decisioni per chi può accedere al suicidio assistito tra i malati che si trovano nelle condizioni stabilite dalla Consulta mentre se non possono suicidarsi, sarebbe meglio usare cure palliative aspettando che sopravvenga la morte naturale.
In definitiva, sta in questo la differenza che intercorre fra lasciare che una persona compia l’ultimo passo per darsi la morte, rispetto a quella di aiutarlo a compierlo, quando il consenso e l’autonomia siano autentici ed accertati oltre ogni ragionevole dubbio, in nome del principio di uguaglianza costituzionalmente protet to.
Ne deriva un malato terminale è costretto a continuare una vita di sofferenze insopportabili, solo perché gli è impossibile liberarsene e violando la sua dignità ed autonomia decisionale.
La possibilità di vivere con dignità, senza dolori insopportabili costituisce, invero, un diritto di ogni essere umano (!!), t uttavia.laddove lo stesso sia normato da una legge votata dal Parlamento e non prima di essa (NdR)
Secondo tale opinione, sarebbe auspicabile che la Corte delle Leggi riconoscesse questo principio basilare che aiuterebbe il Parlamento ad approvare una Legge civile ed organica sul Fine Vita nel nostro Paese, ivi compresa l’Eutanasia attiva, .
Invero, in un altro commento di Niccolò Nisivoccia (v.il Manifesto del 20 Giugno us), il dibattito in corso sul “Fine Vita”sembrerebbe attraversato da un grande equivoco, come se il punto fosse quello di dirimere il contrasto fra due diritti incompatibili fra loro, ossia il diritto alla vita e il diritto alla morte ovvero se questo, più semplicemente, comporti che una Legge stabilisca se, a dover prevalere sia, in assoluto, l’uno o l’altro di tali diritti.
Per contro, se esiste, e va tutelato, un diritto alla vita, sono le domande a cui la Corte ha giù risposto con le sentenze del 2019 e del 2024, a cui ora la Legge dovrebbe dare seguito.
Quello che può fare la Legge, allora, è riconoscere questo diritto a decidere in merito ed è su questo che risiede l’importanza delle decisioni emanate dalla Corte ossia nell’aver fissato dei princìpi rispettosi delle persone e, dunque, tanto dii un diritto alla vita quanto di un diritto alla morte, nella sacralità di entrambi.
La stessa Corte delle Leggi ha stabilito che il suicidio assistito, pur vietato dall’Ordinamento, può tuttavia essere ammesso a quattro condizioni precise:
- a condizione che la persona che chiede di essere aiutata a morire sia “affetta da una patologia irreversibile”(prima condizione),
- che sia “fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che trova assolutamente intollerabili”(seconda condizione)
- che e sia “tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale” (terza condizione),
- e“capace di prendere decisioni libere e consapevoli” (quarta condizione).
Afferma Giada Lonati, medico palliativista, in un libro pieno di sensibilità “L’ultima cosa bella” che“C’è un limite a quello che ciascuno di noi considera sopportabile e c’è una capacità di adattamento che consente talvolta di spostarlo oltre” e aggiunge, “ per qualcuno di noi c’è una soglia superata la quale non ha più senso tollerare alcuna sofferenza.È come se il peso sulla bilancia si spostasse: fin qui era ancora accettabile, da qui in avanti non lo è più. E il confine lo stabilisce ogni essere umano per sé steso”.
Orbene, a fronte del dibattito in corso, la Corte è stata chiamata a decidere sulla legittimità dell’art. 579 CP che sancisce “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni” e che vieta la “Eutanasia attiva”, anche se non citata dalla norma poiché risale al Codice Rocco.
Il secondo quesito, sottoposto alla Consulta dal Giudice Fiorentino, era quello riguardante la condizione di assoluta impossibilità della paziente di ricorrere al suicidio assistito a causa della sua immobilità patologica optando per l’Eutanasia sulla scorta della dedotta illegittimità della norma regolatrice che è parso alla ricorrente, invero, la soluzione del grave problema derivante dalla patologia innanzi descritta a causa della immobilità sopravvenuta durante la malattia.
Tuttavia, la Consulta è stata di diverso avviso.
In sintesi, la sentenza ha dichiarato inammissibile l’intervento attivo di altre persone per la somministrazione dei farmaci letali, puntando sulla reperibilità di dispositivi di auto-somministrazione e sul “diritto ad avvalersene se reperiti in tempi ragionevoli rispetto allo stato del paziente”.
In conseguenza, la Consulta ha escluso che la somministrazione del farmaco, in caso di suicidio assistito, possa essere effettuata da un’altra persona dichiarando inammissibile ogni altro intervento attivo di una persona che non sia l’ammalato stesso respingendo le eccezioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze sul reato di omicidio del consenziente.
Secondo la Corte, “il Giudice a quo non avrebbe motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, l’Ordinanza di rimessione in merito alla reperibilità di un dispositivo di auto-somministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti” atteso che esso “si è espresso sul punto con esclusivo richiamo all’interlocuzione intercorsa con l’azienda sanitaria locale”, fermandosi ad una “presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale”, mentre avrebbe dovuto coinvolgere “Organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di Sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale”.
Inoltre, la sentenza precisa che dove questi “dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente” la stessa “avrebbe il diritto ad avvalersene”.
“Il servizio sanitario deve accompagnare i malati e l’ennesima sentenza della Corte sul Fine Vita mi pare chiuda il dibattito e ogni possibile dubbio sul ruolo del servizio sanitario nazionale, ha commentato il Sen.Alfredo Bazoli, atteso che la Corte ha detto con chiarezza che la persona ha il diritto di essere accompagnata dal servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio assistito”.
“Al diritto, secondo Bazoli, corrisponde un obbligo del servizio sanitario nazionale, nel “doveroso ruolo di garanzia che è innanzitutto presidio delle persone più fragili, come si legge nella sentenza, e pertanto il testo del DDL in discussione in Commissione dovrà essere necessariamente integrato con una espressa e chiara previsione del coinvolgimento del servizio sanitario nazionale”.
Secondo altri commentatori “la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità relativa al caso di una donna paralizzata che chiede l’intervento del medico per la somministrazione del farmaco, ma “avvisa” il Parlamento sul ruolo del SSN come rilevante “Presidio dei fragili”.
Con la sentenza in commento la svolta non c’è stata, ma non si tratta neanche di una chiusura netta atteso che la decisione sull’ipotesi della Eutanasia attiva è ancora una decisione “aperta” ove si consideri che anche se la Corte era chiamata ancora una volta ad esprimersi sul Fine vita, per la prima volta si è espressa sull’Eutanasia attiva, dopo la storica sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato/Dj Fabo.
Allora furono gli stessi Giudici ad aprire un varco sul suicidio assistito, scrivendo le regole del Fine Vita, per cui la sentenza emanata va letta su due livelli: per quello che dice e anche per quello che lascia intendere quando parla per la prima volta di “diritto” connesso a un ruolo di garanzia del Servizio sanitario nazionale
La Consulta sembra esserne consapevole, e non considera la questione “implausibile”, sebbene ritenga che il Tribunale non abbia “motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, l’Ordinanza in merito “alla reperibilità di un dispositivo di auto-somministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti”.
E questo sarebbe avvenuto perché il Giudice Toscano avrebbe dovuto consultare “organismi specializzati operanti, col necessario grado SSN di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale”.
Pertanto, a seguito del “sostanziale difetto di un’attività istruttoria amministrativa o giudiziale” la Corte invita il Giudice ad approfondire l’indagine dichiarando “prive di fondamento tutte le eccezioni sollevate dall’Avvocatura di Stato e dagli intervenuti”.
Fin qui il piano del diritto ma non manca nella decisione un passaggio politico, poiché i Giudici della Consulta affermano che “la persona rispetto alla quale siano state verificate le condizioni di accesso all’opzione di fine vita ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego”.
Spetta al SSN “un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili”(!!).