C.d.S.: l'assegnazione delle cause ai singoli giudici non è atto amministrativo

Sentenza n. 10/2017 Consiglio di Stato - Sezione V.
C.d.S.: l'assegnazione delle cause ai singoli giudici non è atto amministrativo

L'assegnazione presidenziale delle cause alle sezioni e ai giudici si esplica attraverso atti che non sono atti amministrativi, ma atti di amministrazione del singolo processo, oggettivamente inerenti alla giurisdizione e disciplinati dal codice di procedura civile.

Lunedi 20 Febbraio 2017

Il caso.

Una signora promuoveva una causa civile ereditaria, e il Tribunale adito si dichiarava incompetente; la causa veniva riassunta da altro Tribunale.

Il procedimento veniva poi sospeso a seguito dell'appello proposto dal convenuto, che contestava l'affermata giurisdizione italiana in luogo di quella svizzera.

Dopo aver proposto regolamento di competenza, il giudizio veniva proseguito e, giunto in fase istruttoria, il Presidente del Tribunale emetteva ordine di servizio con il quale ridistribuiva le cause pendenti.

La signora, temendo rischio di ulteriori ritardi, impugnava l'atto al Tribunale Amministrativo Regionale, chiedendo di accedere alle tabelle di organizzazione del Tribunale.

In assenza di riscontro, formulava al T.A.R. adito istanza di accesso agli atti ex art. 116, comma 2, del codice del processo amministrativo, ma alla successiva camera di consiglio il T.A.R. tratteneva in decisione e declinava la giurisdizione amministrativa, ritenendo che il provvedimento di riassegnazione delle cause non sia soggetto alla giurisdizione amministrativa.

La signora proponeva appello al Consiglio di Stato, che lo respinge.

La decisione.

Il Consiglio di Stato parte dalle argomentazioni del T.A.R. che ha emesso il provvedimento impugnato: «Il giudice di primo grado riteneva che il provvedimento di riassegnazione delle cause tra le sezioni civili del Tribunale, impugnato dalla sig.ra O., pur astrattamente adottato da una «pubblica autorità», si inserisce nondimeno in «una vicenda incardinata in un giudizio pendente». Pertanto - secondo il Tribunale amministrativo - le questioni hanno una diretta inerenza alle garanzie costituzionali della precostituzione del giudice naturale (art. 25, comma 1) e di indipendenza esterna e interna dei magistrati (artt. 101, 104 e 107), e sono affidate alla cura esclusiva del Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno di quell’ordine giurisdizionale. Essendo pertanto collocate in un ambito sottratto all’esercizio di qualsiasi potestà amministrativa discrezionale, secondo il giudice di primo grado l’assegnazione degli affari alle sezioni di tribunale e ai giudici ad essi assegnati è espressione di «una funzione che non sembra tollerare intromissioni da parte di altre giurisdizioni, quanto meno per quel che riguarda il singolo affare», per cui eventuali violazioni di legge verificatesi nel relativo esercizio possono essere fatte valere all’interno dell’ordinamento processuale civile, come motivo di nullità della sentenza di primo grado ex art. 161 del Codice di procedura civile».

Esaminando le censure mosse dalla ricorrente, il Collegio anzitutto rileva che «Per il principio di legalità in materia giurisdizionale, che vuole che il giudice eserciti i soli poteri che la legge gli conferisce, non può infatti il giudice che non ha - in ipotesi - giurisdizione, prendere alcun provvedimento, se non pronunciarsi in limine negativamente sulla giurisdizione medesima. E’ del resto regola generale dello Stato di diritto che ogni organo pubblico verifichi anzitutto l’esistenza del potere che va ad esercitare. Il che vale nei qui presenti termini dell’art. 9 Cod. proc. amm. sul difetto di giurisdizione».

Affrontando le lamentele dell'appellante, il Consiglio di Stato così riassume la questione: «L’appellante premette che oggetto della presente lite non è la sollecita definizione della propria causa civile, ma il rispetto del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e delle tabelle di organizzazione del Tribunale, i cui provvedimenti di attuazione non hanno natura giurisdizionale (non si sostanziano in uno ius dicere) ma amministrativa; a sostegno dei propri assunti richiama la sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato del 1° settembre 2015, n. 4098, a tenore della quale nel processo amministrativo la nomina del relatore di una causa non è un atto giurisdizionale e il principio fondamentale sull’assegnazione del lavoro ai magistrati è quello dell'art. 25, primo comma, Cost., sul giudice naturale, che implica che il giudice di ogni controversia sia precostituito o determinato in base a criteri generali con riferimento a situazioni astratte che non si siano ancora verificate e che si realizzeranno solo in futuro. La signora O. contesta inoltre l’affermazione della sentenza del Tribunale amministrativo secondo cui eventuali vizi nell’assegnazione delle controversie alle sezioni e ai giudici assegnati al Tribunale costituiscono causa di nullità ex art. 161 Cod. proc. civ. della sentenza, evidenziando in contrario che ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, ultimo periodo dell’Ordinamento giudiziario di cui al citato regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, la violazione delle tabelle di organizzazione del Tribunale commessa nell’assegnazione degli affari "non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati"».

Quindi, il Collegio spiega, richiamandosi a precedenti decisioni, perché tali lamentele non possono essere condivise: «Anzitutto va rilevato che qui è impugnato, come accennato, un atto presidenziale di amministrazione del processo e non - come invece nell’invocato precedente Cons. Stato, IV, 1° settembre 2015, n. 4098 - un atto a carattere generale di un organo di autogoverno recante i criteri generali per l'assegnazione dei fascicoli di causa e gli atti a questa connessi (delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa 1° luglio 2004 e succ. modd.). La differenza è essenziale, perché un organo di autogoverno non è (salva e nei termini di legge la giurisdizione disciplinare) un organo giurisdizionale ma è un organo amministrativo e i suoi atti sono atti amministrativi, come tali sottoposti alla giurisdizione amministrativa (Corte cost., 14 maggio 1968, n. 44; 8 febbraio 1991, n. 72; 22 aprile 1992, n. 189; 19 novembre 2002, n. 457; Cons. Stato, IV, 27 dicembre 2004, n. 8210; 20 dicembre 2005, n. 7216; 10 luglio 2007, n. 3893; 27 giugno 2011, n. 3858; 2 settembre 2011, n. 4975; 1 febbraio 2012, n. 486); oggi in virtù dell’art. 7 Cod. proc. amm. che devolve alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti l’esercizio del potere amministrativo, riguardanti atti riconducibili all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni. Sicché non si pone a quel riguardo il tema che caratterizza il presente caso, vale a dire l’attinenza dell’atto impugnato alla funzione giurisdizionale. Al contrario, il presidente di un tribunale (come le corrispondenti figure per gli altri organi giudiziari) è il preposto con funzioni di direzione a un organo della giurisdizione e come tale nell’esercizio degli specifici poteri di legge emette vuoi atti monocratici di giurisdizione o inerenti alla giurisdizione vuoi - ad es., per quanto concerne il governo del personale - atti amministrativi in senso proprio».

E, più in dettaglio, così sintetizza la natura dell'ordine di servizio presidenziale: «Non si tratta quindi di un atto del processo, perché è un atto di amministrazione del processo. Ma è un atto comunque non amministrativo: non giurisdizionale in senso stretto (cioè processuale), ma comunque inerente alla giurisdizione. Non è infatti cura diretta di interessi pubblici, ma solo necessaria organizzazione della trattazione e della dichiarazione a opera del giudice della volontà di legge nel caso controverso. L’organo da cui emana è un organo giudiziario e non vi è soggetto a controlli esterni o gerarchie ministeriali. I suoi effetti naturali si dispiegano sulla gestione del singolo processo»

E ancora: «L’atto impugnato in via principale in realtà è, come detto, solo un atto di amministrazione del singolo processo, anche se contestualizzato in un atto plurimo (che riguarda cioè anche altri processi) e che proviene da un organo della giurisdizione; ed è oggettivamente inerente alla giurisdizione. Esso esaurisce i suoi effetti nel processo cui è accessorio e strumentale e non è un atto amministrativo. Non compete a questo giudice - che è altro rispetto a quello della controversia tra i privati, il solo se del caso competente al riguardo - valutare se l’atto produca effetti processuali riflessi sulla validità della costituzione del giudice così determinando nullità processuali (art. 158 Cod. proc. civ.) come si rileva in giurisprudenza civile circa l’affidamento di atti giudiziali a persona estranea all’ufficio e non investita della funzione; ovvero se non ne produca, come per principio consolidato è per la violazione delle regole sulla destinazione della persona del magistrato a una sezione e l’attribuzione dell’affare in conformità delle norme che ne disciplinano l’organizzazione, che ha rilevanza solo interna e la cui inosservanza non incide sulla validità degli atti processuali adottati da giudici irregolarmente investiti del caso (cfr. Cass., III, 18 gennaio 2000, n. 489; 22 maggio 2001, n. 6964; 8 febbraio 2007, n. 2745, che parlano di “mera irregolarità di carattere interno”)».

L'appello viene quindi respinto.

Osservazioni.

Il Collegio ha affermato la correttezza delle conclusioni del giudice di primo grado, ribadendo che in sede giurisdizionale amministrativa «non vi è luogo al sindacato di legittimità domandato, perché l’assegnazione presidenziale degli affari alle sezioni e ai giudici si esplica attraverso atti che - sebbene non concretizzantesi in ius dicere - nondimeno costituiscono atti di “amministrazione del processo civile”, oggetto di disciplina da parte del relativo Codice».


Disposizioni rilevanti.

DECRETO LEGISLATIVO 2 luglio 2010, n. 104

Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo.

Vigente al: 9-2-2017

Titolo II - Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi

Art. 116 - Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi

1. Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi , nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni.

2. In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1 può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all'amministrazione e agli eventuali controinteressati. L'istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio.

3. L'amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente a ciò autorizzato.

4. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità.

5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai giudizi di impugnazione.

Allegato:

Consiglio di Stato Sez. V, Sentenza del 04/01/2017 n.10

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