Lunedi 5 Novembre 2012 |
L’Art. 12, comma 10, del D.L. 78/2012, convertito nella L. 122/2010, ha esteso la disciplina del TFR a tutti i dipendenti pubblici, che sono stati in tal modo equiparati ai lavoratori del settore privato.
Con la sentenza n. 232/2012, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non escludeva l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (v. articolo pubblicato).
In pratica era stata accolta l'eccezione di incostituzionalità del comma 10 nella parte in cui non si escludeva espressamente l'applicazione della rivalsa del 2,5% a carico del dipendente, con la consueta formula di rito per indicare al legislatore che la norma risulta deficitaria di una parte ritenuta indispensabile per una sua corretta applicazione nel rispetto dei dettami Costituzionali.
La Corte aveva anche evidenziato la disparità di trattamento che si era venuta creare tra i dipendenti del settore pubblico e quelli del settore privato: in altre parole i dipendenti pubblici avrebbero percepito un TFR più basso rispetto a prima, ma nessun vantaggio nell’immediato a causa del mantenimento della rivalsa del 2,50% a loro carico.
Cosa avrebbe comportato l'applicazione di questa sentenza in termini economici è abbastanza chiaro: il governo avrebbe dovuto restituire quasi due anni di trattenute (si stimano 300 euro / anno per ciascun dipendente) ad oltre 3 milioni di dipendenti pubblici.
In realtà la trattenuta avrebbe già dovuto cessare nel momento in cui è entrato in vigore il D.L. 78/2010 ma l’Inpdap ha ritenuto di non dover ottemperare alle nuove disposizioni facendo nascere decine di migliaia di contenziosi tutt’ora in corso.
Queste ed altre argomentazioni non hanno tuttavia contribuito alla risoluzione della vicenda nel senso che tutti si attendevano.
Il governo infatti, trincerandosi dietro le ormai consuete politiche di bilancio finalizzate al contenimento della spesa, ha deciso di intraprendere la via più breve e sicuramente più vantaggiosa economicamente.
Interpretando in maniera estensiva la pronuncia della Corte, come se la stessa avesse dichiarato incostituzionale l’intero comma 10, ha deciso di abrogarlo integralmente con il decreto n. 185 del 29 ottobre 2012, e per giunta con effetto retroattivo, a partire cioè dal 1° gennaio 2011.
Ciò comporta la reintroduzione per tutti i dipendenti pubblici del regime del TFS (trattamento di fine servizio), quello della c.d. “buonuscita”, che a fronte di una liquidazione finale più vantaggiosa per il dipendente, prevede un versamento contributivo del 9,6% sull’80% delle retribuzione utile di cui 7,10% a carico del datore di lavoro e 2,50% a carico del dipendente.
Resta quindi la trattenuta incriminata e pertanto nulla è dovuto al dipendente dal 1° gennaio 2011 ad oggi con grande delusione di chi sperava, magari prima delle festività, in una boccata d’ossigeno per allentare la morsa soffocante della crisi.
Per quanto riguarda le liquidazioni già erogate in base al comma 10 dell’art. 12, l’Inps dovrà procedere al ricalcolo dei trattamenti di fine servizio già liquidati; per il periodo successivo al 1° gennaio 2011 il conteggio dovrà seguire le modalità precedenti. La nuova liquidazione avverrà d’ufficio entro un anno dall’entrata in vigore del decreto.
In caso di somme già liquidate in eccesso rispetto alla normativa del TFS le amministrazioni non potranno procedere in ogni caso al recupero delle stesse.
Una precisazione: le cifre indicate nel decreto (1 milione di euro per l'anno 2012, 7 milioni di euro per l'anno 2013, 13 milioni di euro per l'anno 2014 e 20 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015) si riferiscono ai maggiori oneri derivanti dalle riliquidazioni e dal maggior esborso per gli anni a venire, dal momento che il TFS è più vantaggioso per il dipendente e quindi più oneroso per le finanze pubbliche.
Inoltre il decreto 185 stabilisce che i processi pendenti aventi ad oggetto la restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento si estinguono di diritto; l'estinzione è dichiarata con decreto, anche d'ufficio; le sentenze eventualmente emesse, fatta eccezione per quelle passate in giudicato, restano prive di effetti.