Vittime del Terrorismo e della Criminalità Organizzata: benefici estesi ai parenti

Vittime del Terrorismo e della Criminalità Organizzata: benefici estesi ai parenti

Con una importante sentenza la Corte Costituzionale è intervenuta sulla risarcibilità dei parenti delle Vittime dichiarando la illegittimità delle norme regolatrici (v. in calce,sent.4 luglio 2024, n. 122).

Giovedi 25 Luglio 2024

La Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art.2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151.,nel testo modificato dall’ art. 2, comma 21, della Legge di conversione n. 94/2009, sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.,

Secondo la Corte delle Leggi,deve ritenersi illegittima l’automatica esclusione dei parenti delle persone sottoposte a misure di prevenzione dai benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, atteso che «I benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata non possono essere negati in ogni caso ai parenti e agli affini entro il quarto grado di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per alcune tipologie di reato”

La disposizione censurata dalla sentenza,negava i benefici previsti dalla normativa in vigore (legge 20 ottobre 1990, n. 302), per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata “a chi fosse parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui allarticolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale”.

Con la decisione,la Consulta ha ritenuto illegittima la norma citata del D.L.151/2008 recante Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina,inserita dalla legge di conver sione 28 novembre 2008, n.186, e successivamente modificata dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ,limitata mente alle parole “parente o affine entro il quarto grado”.

La norma escludeva i benefici previsti per i superstiti delle vittime a chi sia «coniuge,c onvivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale».

Sulla questione,la Corte d’Appello di Napoli aveva ritenuto irragionevole e lesiva del diritto di difesa la condizione ostativa assoluta,con esclusivo riguardo alla posizione dei parenti e degli affini fino al quarto grado.

Ad avviso della Corte rimettente, l’indicata preclusione risultava irragionevole,in quanto perneata su una massima d’esperienza che potrebbe essere agevolmente contraddetta e, per altro verso,rischierebbe di pregiudicare proprio coloro che coraggiosamente si siano dissociati dalle famiglie d’origine e, per questo, abbiano perso un congiunto, anche con siderando che la finalità di evitare che le risorse pubbliche siano distolte a vantaggio di persone legate alla criminalità organizzata sarebbe già soddisfatta con il requisito dell’estraneità a tali ambienti.

Secondo il Giudice a quo, la norma,come formulata,risultava in contrasto con l’ art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza,dato che la rigida previsione dettata dalla legge, peraltro applicabile solo ai superstiti e non al soggetto direttamente danneggiato, implicherebbe una vera e propria discriminazione fondata esclusivamente sull’origine familiare.

Infine, nel precludere ogni prova contraria, la disposizione censurata risultava lesiva anche del diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost.

Nell’accogliere la questione sollevata,la Consulta ha osservato che la condizione ostativa riferita a parenti e affini, nella sua rigidità, travalica la finalità di procedere a una verifica rigorosa dell’estraneità dei beneficiari al contesto criminale.

In effetti,secondo la Corte, “nell’introdurre una presunzione assoluta, la disposizione censurata non si fonda su una massima d’esperienza attendibile: proprio l’ampiezza del vincolo di parentela e di affinità considerato dalla legge consente di «ipotizzare in modo agevole che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, possa non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale”.

Il meccanismo presuntivo si rivela,inoltre, irragionevole,in quanto «pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l’isolamento e perdite dolorose», e si risolve in «uno stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita».

La disposizione si pone in contrasto anche con il diritto di azione e di difesa, tutelato dall’art. 24 Cost., in quanto impedisce «di dimostrare al soggetto interessato, con tutte le garanzie del giusto processo, di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda», in un giudizio «che coinvolge le vite dei singoli e gli stessi valori fondamentali della convivenza civile.

La Corte ha,quindi,stabilito che è imprescindibile “un’attenta valutazione di meritevolezza dei beneficiari.

In tale contesto, «i vincoli di parentela o di affinità richiedono un vaglio ancor più incisivo sull’assenza di ogni contatto con ambienti delinquenziali, sulla scelta di recidere i legami con la famiglia di appartenenza, su quell’estraneità che presuppone, in termini più netti e radicali, una condotta di vita incompatibile con le logiche e le gerarchie di valori invalse nel mondo criminale”. La Corte,nell’adottare la decisione,ha preso le mosse dalla ricognizione del quadro normativo,in base al quale il Legislatore, con la L. 20 ottobre 1990, n. 302 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata), ha riconosciuto un’elargizione, oggi determinata nell’ammontare complessivo di euro 200.000,00 (art. 4), ai superstiti di chi perda la vita per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico o di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni mafiose.

L’importo è stato così ridefinito, per gli eventi successivi al primo gennaio 2003, dall’ art. 2, comma 1,del D.L. 28 novembre 2003, n. 337 (Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero),convertito, con modificazioni, nella L. 24 dicembre 2003, n. 369.

I beneficiari delle provvidenze previste sono i «componenti la famiglia»( art. 4, c. 1, L.302/1990) e, di seguito, i fratelli e le sorelle conviventi a carico, i «soggetti non parenti né affini, né legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento» e i «conviventi more uxorio» ( art. 4, comma 2, della Legge).

Il coniuge di cittadinanza italiana o il convivente more uxorio e i parenti a carico entro il secondo grado di cittadinanza italiana possono optare per un assegno vitalizio personale, non reversibile, di ammontare diversamente graduato in ragione del numero dei bene ficiari ( art. 5 della Legge).

Come evidenziato dalla Corte, “le elargizioni e l’assegno vitalizio attuano la solidarietà della Repubblica per le persone colpite negli affetti più cari da episodi di mafia o terrorismo”, come chiaramente emerge ai criteri di attribuzione, che sono svincolati «dalle condizioni economiche e dall’età del soggetto leso o dei soggetti beneficiari e dal diritto al risarcimento del danno agli stessi spettante nei confronti dei responsabili dei fatti delittuosi» ( art. 10, comma 1,L. n. 302/1990).

Ciò posto, la Corte ha chiarito che “spetta alla discrezionalità del Legislatore il compito di individuare criteri selettivi appropriati, al fine di salvaguardare un impiego oculato delle risorse pubbliche, nel rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, pietra angolare di quel patto tra lo Stato e i cittadini che le misure di sostegno intervengono a rinsaldare”.

Il Legislatore, quindi, nella delimitazione dei beneficiari, ben può enucleare presunzioni assolute di indegnità, a precise condizioni: che esse “siano corroborate da massime d’esperienza plausibili e rispecchino l’id quod plerumque accidit”.cosa che non si verifica per la disposizione censurata.

Infatti, se la scelta legislativa di prescrivere le verifiche più approfondite nell’attribuzione delle provvidenze si correla a una finalità legittima e trae origine dalla considerazione che, nei circuiti criminali e nelle famiglie che attorno ad essi gravitano, sono capillari i legami di mutuo sostegno,di connivenza o di tacita condivisione, tuttavia essa “è per seguita (…) con mezzi sproporzionati”, sotto un duplice profilo.

In primo luogo, la legge già prescrive requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza; l’ art. 1, comma 2, lett. b),L. n. 302/1990 contempla infatti il presupposto della totale estraneità della vittima diretta agli ambienti criminali, mentre il successivo art. 9-bis - introdotto dall’art. 1, comma 259, della L. 23 dicembre 1996, n. 662 - precisa che le condizioni di estraneità alla commissione degli atti terroristici o criminali e agli ambienti delinquenziali «sono richieste, per la concessione dei benefici previsti dalla presente legge, nei confronti di tutti i soggetti destinatari» e, dunque, non soltanto delle vittime dirette.

A ciò si aggiunge la previsione dell’ art. 2-quinquies, comma 1, lett. b), del D.L. n. 151/2008, come convertito, secondo cui il riconoscimento delle provvidenze ai superstiti è subordinato alla condizione che «il beneficiario risulti essere del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, ovvero risulti, al tempo dell’evento, già dissociato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava».

Di conseguenza, ha sottolineato la Corte, è “immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale, estraneità che postula la prova – che grava sul richiedente - di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose.

In altri termini “l’esigenza di indirizzare la solidarietà dello Stato verso le persone meritevoli è già assicurata in modo efficace dalla prescrizione di una penetrante verifica giudiziale delle condizioni tipizzate dalla legge e dal rigoroso onere probatorio imposto al beneficiario”.

In secondo luogo, ad avviso della Corte la censurata presunzione “è viziata da un’irragionevolezza intrinseca”.

Anzitutto, la legge “conferisce rilievo a rapporti di parentela e di affinità fino al quarto grado, che includono una vasta categoria di persone e si caratterizzano per una diversa, talvolta più tenue, intensità del vincolo familiare”; si tratta, dunque, di una presunzione che non ha un solido fondamento empirico, in quanto “la latitudine del meccanismo presuntivo consente di ipotizzare in modo agevole che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, possa non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale”.

Inoltre, nella sua assolutezza, la condizione ostativa “pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l’isolamento e perdite dolorose”, e, quindi, “si configura come uno stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita”.

Infine, impedendo di dimostrare al soggetto interessato di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda, la censurata presunzione assoluta vìola anche il diritto di agire e difendersi in giudizio, sancito dall’ art. 24 Cost.

Per queste ragioni, la Corte ha dichiarato l incostituzionalità dell’ art. 2-quinquies, comma 1, lett. a), del D.L. n. 151/2008, come convertito, nel testo modificato dall’art. 2, comma 21, della L. n. 94/2009, limitatamente alle parole «parente o affine entro il quadro grado».

Allla luce dell’esame dei dati normativi sin qui operato,si può affermare che la Consulta ha emanato una sentenza che può considerarsi più adeguata alla casistica recente sia sul piano della tutela dei beneficiari sia in termini di ristoro economico dei danni subiti dalle vittime del terrorismo benché le provvidenze previste per il cd “praetium doloris”,ossia il “denaro del pianto” di romana memoria,non potranno mai asciugare a sufficienza le lacrime dei superstiti né con le elargizioni né con i vitalizi se non si interverrà per garantire una civile convivenza.

Allegato:

Corte Costituzionale sentenza 122 2024

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