Violenza di Genere e la ritrattazione della Vittima

Violenza di Genere e la ritrattazione della Vittima
Mercoledi 27 Novembre 2024

L’abitudine è la più infame delle malattie, perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portare le catene a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L'abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente e cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d'averla addosso ogni gesto s'è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci..." Oriana Fallaci,Un uomo (Milano, Rizzoli 1979).

L'art. 572 c.p. punisce chiunque,fuori dei casi indicati nell'art.571 c.p.,maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione,istruzione,cura,vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.

Nell’Ordinamento giuridico italiano non è rinvenibile un reato di violenza domestica con le caratteristiche indicate dalla normativa sovrannazionale.

La norma è l’unica sull’argomento ed é collocata all’interno del codice penale dedicato ai delitti contro la famiglia,nel capo “dei delitti contro l’assistenza familiare”.

Esso viene pacificamente qualificato come un reato abituale a condotta plurima, in quanto per la sua consumazione è richiesta una reiterazione nel tempo di condotte omogene.

Spesso,nella sua applicazione,si pone il problema della distinzione tra il reato di maltrattamenti e quello di cui all’art. 612 bis c.p. che punisce gli “atti persecutori”.

La giurisprudenza di merito ritiene che sia configurabile il delitto dell’’art. 572 c.p. nel caso in cui la condotta del maltrattante, connotata dalla vessazione e sudditanza di un coniuge o convivente,sia iniziata durante il matrimonio o convivenza stabile ed in conseguenza, le condotte successive rispetto all’allontanamento dalla abitazione familiare, possano configurarsi come la prosecuzione di condotte prevaricatrici abitualmente commesse.

Sul punto,la Suprema Corte ha ritenuto che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori nel caso in cui, nonostante l’avvenuta cessazione della convivenza,la relazione tra i soggetti rimanga connotata da vincoli solidaristici.

In caso contrario,è configurabile il reato di atti persecutori qualora non sussista alcuna solidarietà nei rapporti tra l’imputato e la persona offesa,ovvero vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli della famiglia o della convivenza abituale(v.Cass.Pen.Sez. V, sent.26 maggio 2021, n. 20861).

Occorre,tuttavia, sottolineare che alla luce dell’aumento del fenomeno della violenza in ambito familiare e domestico e dei numerosi atti internazionali emanati, il Legislatore Italiano ha modificato la normativa sostanziale e processuale vigente apportando significativi interventi anche per l’art 572 c.p.,il cui contenuto è ravvisabile nella sentenza della Cass.Pen.SS.UU. n.10959 del 29/01/2016,in cui la Corte afferma sulla delicata questione che “l'espressione delitti commessi con violenza alla persona", adoperata dal legislatore in sede di conversione del D.L. n. 93 del 2013, rinvia ad una fattispecie molto più ampia rispetto a quella del reato di maltrattamenti in famiglia originariamente previsto, e deve pertanto essere intesa in senso estensivo, comprensiva di tutte le violenze di genere e quindi anche di quella che non si estrinsechi in atti di violenza fisica ma riguardi anche la violenza psicologica, emotiva o che si realizzi soltanto con le minacce.L'intervento legislativo in questione ha infatti inteso rafforzare i poteri della vittima del reato potenziando il regime dei diritti e delle facoltà che l'ordinamento riserva alla persona offesa, in adempimento anche degli obblighi internazionali derivanti dalla ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza alle donne e dalla Direttiva 2012/29 UE”.

In effetti, il Legislatore ha apportato una prima modifica della norma citata con la L.172 del 2012, che ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale del 25/10/2007 (c.d. Convenzione di Lanzarote) al fine di perseguire con maggiore efficacia le condotte che destano un note vole allarme sociale e che generano una posizione di debolezza della vittima.

In particolare, con l’art 4 della nuova Legge sono stati aggiunti,tra i soggetti passivi del reato ,anche i conviventi e sono state inasprite le pene previste.

Tuttavia,la novella ha lasciato del tutto inalterati sia la natura abituale del delitto, sia la sua struttura,come è stato affermato dalla Suprema Corte sull’argomento,poiché “Le novità introdotte hanno riguardato essenzialmente la previsione di un complessivo inaspri mento del trattamento sanzionatorio e l'estensione della tutela nei confronti di persone "comunque conviventi",in una prospettiva diretta a valorizzare l'incidenza della relazione intersoggettiva nell'ambito della fattispecie, e, per altro verso, ad allargare anche ad un rapporto di mera "convivenza" la rilevanza del rapporto "familiare", ferme restando le altre relazioni di tipo non propriamente familiare,la cui elencazione è rimasta immu tata” (Cass.Pen. sez. VI, sentenza 03.07.2013 n. 28603).

Successivamente la stessa norma ha subito ulteriori modifiche ad opera dell’art.9, Legge n.69/2019 comma 2(c.d. Codice Rosso),in base al quale

  • al primo comma, è stata modificata la cornice edittale, con la previsione di un aumento della pena “da due a sei anni di reclusione” a “da tre a sette anni di reclusione”;

  • al secondo comma è stata inserita una circostanza aggravante ad effetto speciale. Infatti, è stato previsto che “La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”. Tale circostanza aggravante è stata naturalmente eliminata dall’art. 61, n. 11-quinquies, c.p.;

  • all’ultimo comma è stato previsto che “Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

In seguito,la Legge 24 novembre 2023, n. 168,recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, sebbene non abbia apportato alcuna modifica alla disciplina del reato,ha comunque inciso sulla stessa poiché,nel recepire la normativa sovrannazionale,ha consentito di rafforzare le procedure e gli strumenti di tutela nei confronti delle vittime di violenza e domestica,in modo da consentire una corretta valutazione del rischio di mortalità, di recidiva e di reiterazione del reato..

Per tale ragione è stata introdotta la c.d. “vigilanza dinamica” dall’art.3.1 comma ma del del D.L.83/2013 conv.nella Legge n. 119/2013(Particolari tutele per le vittime di violenza domestica” che ha stabilito che : 

“1. L'organo di polizia che procede a seguito di denuncia o querela per fatti riconducibili ai delitti di cui all'articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale commessi in ambito di violenza domestica, qualora dai primi accertamenti emergano concreti e rilevanti elementi di pericolo di reiterazione della condotta, ne dà comunicazione al prefetto che, sulla base delle valutazioni espresse nelle riunioni di coordinamento di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, convertito, con modi ficazioni, dalla legge 2 luglio 2002, n. 133, può adottare misure di “vigilanza dinamica”, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa.”

Infine, ha trovato applicazione al reato l’arresto in “flagranza differita” di cui all’art. 282-bis c.p.p.,introdotto dalla Legge n.168/2023,come illustrato sulle pagine di questa Rivista dallo stesso Autore.

La norma, in particolare,prevede che: “Nei casi di cui agli articoli 387 bis, 572 e 612 bis del codice penale, si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga in equivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto”.

Inoltre la stessa Legge,all’art 11,comma 1,ha introdotto i commi 2-bis, 2-ter, 2-quater, 2-quinquies e 2-sexies all’art.384 bis c.p.p.,che disciplinano la facoltà del pubblico ministero di disporre, con decreto motivato,nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti contemplati dalla norma, tra i quali anche l’art. 572 c.p., l'allontanamento urgente dalla casa familiare,con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa-

Da ultimo, la stessa legge n. 168/2013, ha introdotto l’art. 362 bis c.p.p.Misure urgenti di protezione della persona offesa" che disciplina la possibilità per il pubblico ministero di valutare,dopo avere effettuato le indagini ritenute necessarie,se sussistano i presupposti per l’applicazone di una misura cautelare,in relazione a reati di violenza di genere o domestica,contemplati dalla stessa norma e commessi in danno del coniuge, anche separato o divorziato, della parte dell'unione civile o del convivente o di persona che è legata o è stata legata da relazione affettiva ovvero di prossimi congiunti.

Tale valutazione deve essere effettuata senza alcun indugio e comunque entro trenta giorni dall'iscrizione del nominativo del responsabile nel registro delle notizie di reato e il Giudice deve provvedere sulla richiesta avanzata dal P.M entro venti giorni dal deposito dell'istanza cautelare presso la cancelleria.(Per una più completa analisi della normativa,cfr,E.Salemi,Maltrattamenti contro familiari e conviventi,in Altalex, Ottobre 2024).

Purtroppo,nonostante l’inasprimento delle pene e l’introduzione di nuove misure interdittive,i reati di violenza domestica sono divenute molto allarmanti,poiché vedono coinvolte per l’81,56% delle donne e il 18,44% degli uomini, dati che confermano che la violenza contro le donne è divenuto un fenomeno inarrestabile(!!).

Così definito il reato,un problema molto rilevante da affrontare è quello della ritrattazione della Vittima di Genere.

  • La ritrattazione della Vittima

Spesso le donne che denunciano abusi vengono indotte ad affermare che si erano inventate tutto e,pertanto,l’Autorità Giudiziaria è costretta a compiere “un passo indietro”, in seguito al ripensamento della parte offesa che può derivare da ragioni di dipendenza dal partner,oppure da una “riconciliazione” avvenuta con lo stesso o da preoccupazioni dovute alla sorte dei figli minori o alla carenza di un reddito da lavoro.

Sulla delicata questione,va,innanzi tutto,ricordato che l’art.55 della Convenzione di Istanbul prevede che “I Giudici accertino se le indagini e i procedimenti penali per i reati stabiliti ai sensi degli articoli da 35 a 39 della Convenzione non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima quando il reato è stato commesso in parte o in totalità sul loro territorio, e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l’accusa o ritirare la denuncia”.

La ragione della norma è quella di garantire che possa instaurarsi un procedimento penale senza che,necessariamente,vi sia una segnalazione o denuncia da parte della vittima.

La procedibilità ex officio consente, infatti, che le condotte offensive indicate dall’articolo citato diventino in ogni caso oggetto di accertamento,a prescindere dall’apporto dato dalle vittime alle indagini e, pertanto, senza gravare la vittima dell’onere di darvi impulso; inoltre,la norma stabilisce che l’accertamento giudiziario,una volta avviato su iniziativa della vittima, debba proseguire anche se la stessa, in seguito ritratti o ritiri le proprie accuse.

Finora la giurisprudenza ha sottovalutato la complessa questione,ma,proprio alla luce della norma innanzi citata,la Corte di Cassazione, in una recente sentenza,ha sancito che “Nel delitto di violenza domestica le mancate denunce, i ridimensionamenti, i supposti riappacificamenti,le ritrattazioni della persona offesa, così come le remissioni di querela, anziché costituire elementi per escludere il reato e la sua reiterazione, possono essere addirittura sintomatici del contrario ovverosia dell'esposizione della vittima alla prosecuzione o all'aggravamento della relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie e condiziona menti, a maggior ragione quando si sia al cospetto di una persona offesa che, in assenza di adeguate forme di protezione, rischia di essere vittima certa delle ritorsioni dell'imputato.”(v.Cass.Pen,Sez. VI, sentenza 19 febbraio 2024 n. 7289).

Infatti,tali elementi possono essere ritenuti sintomatici che la vittima sia esposta alla prosecuzione o all'aggravamento della relazione maltrattante attraverso minacce, ricatti, intimidazioni, rappresaglie e condizionamenti come narrano le cronache quotidiane (v.ex multtis G-Siviero, Il problema della ritrattazione nei casi di violenza di genere,Il Post.it, Novembre 2024)

La sentenza della Suprema Corte risulta, pertanto,innovativa sul tema anche perché ha confermato la condanna decisa dalla Corte di appello di Messina nei confronti di un uomo per maltrattamenti ai danni della convivente poiché l’imputato aveva presentato ricorso sostenendo l’erroneità della decisione poiché la Corte di Appello si era basata sulle dichiarazioni della donna che erano state,in seguito,ritrattate.

Durante il processo d’Appello,tuttavia,i Giudici avevano ritenuto inattendibile proprio la ritrattazione,im base allo «stato di soggezione» della donna e elencando le «riscontrate e convergenti prove» che confermavano la reiterazione dei maltrattamenti nei suoi confronti,confortate dalle testimonianze della Polizia negli atti redatti durante i loro interventi per violenza domestica nella casa dove enrambi vivevano,nonché le testimonianze dei vicini di casa,quelle dell’ex marito della donna,che le aveva offerto un rifugio, e un referto medico delle lesioni subite dalla stessa.

Tali acquisizioni,nonostante la ritrattazione,confermavano quanto denunciato e che la violenza effettivamente era avvenuta ed,in conseguenza,la Suprema Corte ne ha confermato la piena legittimità stabilendo un orientamento a cui i Giudici di merito dovrebbero sempre tener conto nelle decisioni emanate in avvenire..

L’importante decisione della Cassazione consente, quindi, di riconoscere ritrattazioni e ridimensionamenti non più come l’espressione di volubilità e inattendibilità intrinseca delle persone offese, ma come un esito possibile, se non addirittura certo, dovuto alle modalità «insidiose, circolari e manipolatorie in cui può svilupparsi la violenza domestica», come afferma la Siviero nell’articolo citato.

La decisione,in definitiva,trova fondamento proprio nell’articolo 55 della Convenzione di Istanbul che. come ricordato,vale a garantire l’apertura del procedimento penale e impone che,essa non debba “dipendere interamente” da segnalazioni o denunce da parte della vittima.

La procedibilità ex officio,infatti,permette che le offese elencate dall’articolo 55 divengano comunque oggetto di accertamento e che,a prescindere dall’apporto dato dalle vittime alle indagini,i responsabili siano assicurati alla giustizia e puniti..

La ratio sottesa alla norma mira,inoltre,a consentire che le investigazioni possano essere avviate, senza che le persone offese siano necessariamente gravate dell’onere di darvi impulso.

In realtà anche il Codice di Rito italiano si occupa della ritrattazione.

L’art. 500, comma 4, stabilisce che quando sussistano elementi concreti per ritenere «che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia,offerta o promessa di denaro o di altra utilità» affinché non deponga o deponga il falso,«le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testi mone sono acquisite al fascicolo del dibattimento».

Inoltre,“se un Giudice, durante il processo, si trova davanti una donna vittima di violenza che sta ritrattando e ritiene che ci siano elementi concreti e obiettivi, anche di natura logica, che possano far pensare che su di lei siano state fatte pressioni e intimida zioni di vario grado», allora «quel Giudice può ritenere fondate solo le originarie dichia razioni della donna e inattendibile la sua ritrattazione».

Tuttavia,va rilevato che,in taluni casi,il Giudice penale applichi una misura cautelare al padre per atti violenti all’interno della famiglia e che il Giudice civile disponga l’affidamento condiviso dei figli come pure che in sede civile vengano disposte consulenze tecniche che richiedono incontri tra le parti pur in presenza di misure cautelari protettive oppure che le madri debbano accompagnare i figli per le visite dai padri colpiti da una misura cautelare, dal momento che il Giudice civile ignora la vicenda penale.

Anche tali circostanze possono causare un ripensamento della denunciante ed una conseguente ritrattazione in aula delle accuse formulate nei confronti del partner, generando una serie di conseguenze.

  • Le conseguenze della ritrattazione

Sta di fatto che,in molti casi di violenza di genere,sebbene le donne che l’hanno subita abbiano avviato un percorso giudiziario,molto spesso le stesse decidono di ritrattare, di ridimensionare le proprie dichiarazioni iniziali o di rinunciare alla denuncia sporta contro l’autore del reato coniuge o convivente.

Le conseguenze delle ritrattazioni,nella maggior parte dei casi,pregiudicano l’esito del giudizio portando all’assoluzione dell’autore del reato,ma arrivano anche a tradursi in denunce per calunnia contro le donne stesse che hanno subìto violenza e che hanno accusato il proprio partner pur sapendolo innocente.

Le ritrattazioni possono avere anche ricadute sulla loro incolumità pur a fronte di un possibile e concreto pericolo di continuare a subire maltrattamenti, e sulla loro credibilità anche in caso di nuove denunce in futuro, perché nella grandissima parte dei casi le condotte violente persistono.

Vi sono,inoltre,pesanti ricadute sulla capacità genitoriale verso i figli poiché la ritratta zone delle accuse si trasforma nell’oggetto del giudizio e porta a ritenere che la stessa denunciante non sia attendibile,meritevole di protezione come madre e,in questo modo,la espone a nuovi abusi.

Su tale questione si è espressa chiaramente,come innanzi ricordato,la Convenzione che l’Italia ha ratificato nel 2013 e che costituisce anche il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto di un fenomeno riconosciuto come strutturale e per il quale tale documento,sulla eventuale ritrattazione,impone «che i procedimenti penali legati a tali reati vadano perseguiti a prescindere dal fatto che le vittime ritrattino o ritirino la denuncia».

Occorre,tuttavia, sottolineare che,nella violenza maschile contro le donne ci sono delle costanti:non è emergenziale, è un reato trasversale a etnie, classi sociali o religioni che a differenza di altri non sta diminuendo e avviene nella grandissima parte dei casi in conte sti affettivi e ad opera di persone conosciute ma,sopratutto,segue dinamiche precise che hanno un andamento ciclico,in base a quanto sostenuto sull’argomento dalla psicologa statunitense Lenore Walker,un base alle ricerche ed alle testimonianze delle persone maltrattate con le quali aveva lavorato.

Il ciclo della violenza, come afferma la Walker, si compone di varie fasi.

La prima è quella dell’“accumulo di tensione”, quando avvengono una serie di eventi, scenate di gelosia, discussioni, insulti e violenza verbale o psicologica,che sono interpre tati da parte di chi li subisce come sporadici e gestibili, ma tali da generare paura e mettere in crisi la propria identità e le proprie capacità. Via via le condotte violente aumentano, diventano sempre più gravi e culminano nella fase dell’aggressione che spesso è anche di natura fisica.

È la fase più breve del ciclo e anche quella di maggiore pericolosità per la vittima, che tende a isolarsi e non reagisce temendo l’incremento della violenza stessa, certa che passerà.

In seguito l’aggressore si ferma e ha inizio la fase di riconciliazione,quella della cosiddetta “luna di miele” durante la quale l’aggressore si scusa, promette che quanto accaduto non si ripeterà più servendosi di tecniche manipolatorie affinché la relazione continui, soprattutto utilizzando i figli come arma di ricatto,

Sono, pertanto, tecniche che generano nella vittima un senso di colpa e la convinzione che da lì in poi le cose cambieranno.

Tuttavia, in seguito,il ciclo intimidatorio ricomincia in una spirale continua in cui l'autostima e la consapevolezza di sé di chi subisce violenza risultano sempre più compromesse, fino ad ammalarsi anche gravemente o a compiere atti di autolesionismo oppure a scatenare le proprie frustrazioni in danno del partner sino all’omicidio,come spesso narrano i gravi fatti di cronaca accaduti in questi ultimi anni.

Le decisioni o le non decisioni che vengono prese dalle donne vittime di violenza vanno, dunque,comprese all’interno di questo contesto,come affermano i Magistrati impegnati su queste tematiche,secondo i quali «spesso la donna ritratta, che ritira la querela che ha presentato al momento dell’aggressione o che ritiene di essersi confusa volendo credere all’autore della violenza che le assicura che cambierà». e questo fatto «costituisce ormai massima di esperienza, riconosciuta dalla Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio della precedente legislatura, oltre che dalla Convenzione di Istanbul e da ultimo dalla Direttiva del maggio 2024 dell’Unione europea sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica».

Una della ragioni per cui le donne smentiscono le loro stesse parole è,dunque,legata a una delle fasi del ciclo della violenza.

La seconda ragione è la paura di portare avanti un procedimento penale che possa ritorcersi contro le donne stesse che l’hanno avviato,atteso che «La presenza di minori all’interno di questa dinamica o il fatto di trovarsi nel mezzo di una separazione in cui in gioco c’è l’affidamento dei figli agisce esattamente nella direzione della paura, piuttosto che in quella contraria. Le donne che denunciano durante la separazione sono viste con sospetto innanzitutto dal loro contesto familiare e sociale, che le isola perché le ritiene delle “cattive madri” che con la denuncia hanno rotto l’unità familiare e ostacolato il rapporto dei figli con il loro padre. La paura può dipendere anche dalle condizioni di isolamento in cui la donna che per anni ha subito violenza è stata costretta o dalla dipendenza economica che le è stata imposta dall’autore del reato».

Una terza ragione della ritrattazione è la mancata protezione delle donne che subiscono violenza, come sostengono almeno cinque sentenze che la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha emesso contro l’Italia tra il 2017 e il 2022 in base alle quali la ritrattazione e il ridimensionamento delle accuse rivolte possono derivare proprio dalla mancanza di un'efficace e immediata protezione delle vittime, di una fattiva e competente difesa tecnica, dal non essere seguite da Centri antiviolenza specializzati (CAV) e, in generale, dal pericolo di essere colpevolizzate !!.

In base a tali considerazioni,secondo gli stessi Magistrati,«Se non c’è un’immediata messa in sicurezza, anche con provvedimenti cautelari, e l’autore prosegue condotte minacciose e ricattatorie che vengono banalizzate da istituzioni non formate sulla valutazione del rischio di prosecuzione del reato – che ha precisi criteri studiati a livello internazionale – le vittime di violenza ovviamente ritrattano” come avviene per le vittime delle Mafie”!!

Inoltre la norma della Convenzione viene, spesso, applicata nei reati che hanno a che fare con la criminalità organizzata ma di rado per i casi di violenza domestica.

Spesso,infatti,la ritrattazione viene dunque ottenuta dall’imputato proprio attraverso nuove condotte di violenza, o di avvicinamento tramite parenti o amici ed essa è indotta e agevolata anche dal fatto che, di regola e salvo lo stato cautelare dell’imputato, il dibattimento si celebra a notevole distanza di tempo dal fatto.

In un report del 2022 del CSM si afferma che “non sia un caso che spesso l’imputato di reati legati alla violenza di genere scelga il rito dibattimentale anzi ché quello abbre-viato,evidentemente confidando nel ripensamento della donna».

Nel report si precisa che in questi casi«avrebbe dunque particolare rilievo la celerità della trattazione»,che dovrebbe riguardare «non solo la fase delle indagini ma anche le fasi successive, in quanto il fattore tempo incide pesantemente sulla tenuta della persona offesa».

  • La formazione degli operatori

Come segnalato,nel 2022,dalla Procura Generale della Corte di Cassazione in un documento definito come “Orientamenti in materia di violenza di genere”, a fronte dell’incremento delle ritrattazioni sussiste la necessità che la vittima “sia accompagnata da un per corso che la sostenga per l’intero procedimento, che quest’ultimo sia privo di stereo tipi,che sia più celere, che tenga conto delle norme sovranazionali e delle fonti internazio- nali che illustrano con precisione cos’è la violenza di genere”.

Sarebbe, inoltre,utile che la Magistratura operi “in rete”, coinvolgendo i Centri antiviolenza per avviare un intervento più coordinato tra differenti Autorità giudiziarie, superando l’idea che diritto penale e civile in merito a un’unica vicenda familiare viaggino su due binari paralleli, come innanzi ricordato..

Infine,come sottolineano gli stessi Magistrati,manca una Formazione specifica nella Giustizia nel contrasto alla violenza contro le donne come pure tra gli Operatori del settore (assistenti sociali, psicologi, medici del pronto soccorso, pediatri, etc.)

Pertanto occorre attivare un percorso formazione specifica degli stessi “nei casi di violenza di genere,tra i più difficili anche sotto il profilo giuridico,perché richiedono la conoscenza di diversi ambiti del diritto e non solo,delle Convenzioni internazionali ma soprattutto della radice culturale e invisibile del movente” a cui vanno avviati le Forze di Polizia,gli avvocati,i Pubblici Ministeri ed i Giudici,poiché “il rischio della vittimizzazione secondaria e della ritrattazione sono dietro l’angolo,con tutte le conseguenze che comportano in termini di impunità per delitti che violano i diritti umani e normalizzazione della violenza per l’intero contesto socio-culturale di una comunità».

  • Conclusioni

La violenza di genere contro le donne, come afferma la Convenzione di Istanbul, “è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione” e per la repressione della quale gli Stati hanno precisi obblighi internazionali, quanto istituzionali..

Ma vi è poi una violenza istituzionale,che produce ma anche tollera la violenza di genere contro le donne e che assume le sue forme più gravi quando la legge espressamente prevede che possano essere compiuti atti volti al mantenimento di forme di dominazione sistematica degli uomini nei confronti delle donne.

È quello che viene definito “gender apartheid”, termine è stato coniato da attiviste per i diritti delle donne in Afghanistan per descrivere leggi come quella talebana sui vizi e le virtù,che impedisce alle donne di uscire dalle loro abitazioni a meno che non siano completamente velate e proibisce loro di cantare, parlare in contesti pubblici e studiare.

Sul piano giuridico,la Convenzione internazionale per l’eliminazione e la repressione del crimine dell'apartheid del 1973,lo definisce un crimine contro l’Umanità, caratterizzato da atti inumani aventi lo scopo di “dominare” un altro gruppo razziale e “opprimerlo sistematicamente”,quali,ad esempio,la negazione a uno o più membri del gruppo del diritto alla vita e della libertà o ancora il diniego del diritto all’istruzione, al lavoro, al movimento, alla libertà di espressione.

L’apartheid è anche incluso nello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale e che rientra nel Progetto sulla prevenzione e la repressione dei crimini contro l’Umanità, adottato nel 2019 dalla Commissione di diritto internazionale e oggetto di discussione dinanzi alla Sesta Commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu.

Nello Statuto di Roma, così come nel Progetto in esame, è sanzionata la persecuzione sulla base del Genere,laddove per persecuzione si intende la privazione seria e intenzionale di diritti fondamentali contraria al diritto internazionale in ragione dell’appartenenza a un Gruppo.

Sulle privazioni delle libertà delle Donne Afghane potrebbe pronunciarsi la Corte internazionale di giustizia per la violazione di numerose disposizioni della Convenzione Onu sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne,ratificata anche dall’Afghanistan e una tale decisione avrebbe di certo un impatto sulla definizione del crimine di gender apartheid stesso.

Ancorché non priva di ostacoli,sarebbe,tuttavia,una strada che sul piano giuridico merita di essere intrapresa.

La storia del diritto, anche del diritto internazionale, è stata (ed è) una storia di silenzi, ma è giunto il tempo di romperli,per promuovere una cultura giuridica che sia davvero attenta al Genere, come afferma lodevolmente la Prof.ssa Sara De Vido,Docente di diritto internazionale all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

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