Stato dell'arte dell'opposizione ad ordinanza ingiunzione nel codice della strada

Avv. Nicola Fabio de Feo.
Stato dell'arte dell'opposizione ad ordinanza ingiunzione nel codice della strada

La peculiarità del rito disegnato dall'art. 6 del D.Lgs 150/2011 per l'opposizione ad ordinanza ingiunzione (segnatamente in materia di codice della strada) ed i suoi risvolti processuali diretti, con specifico riguardo alla ripartizione dell'onus probandi ed ai vizi rilevabili d'ufficio dal giudice adito. I principali "tools".

Lunedi 30 Ottobre 2017

Le opposizioni in materia di codice della strada sono divenute sempre più complesse, e purtroppo, nella pratica giurisdizionale, vanno sempre più allontanandosi dall'alveo - composto dagli artt.22, 22bis e 23 legge 689/81 e dagli artt. da 202 a 205 del codice della strada vigente - disegnato all'origine dal legislatore. La disciplina, ormai a pieno regime, delineata dal D.Lgs 150/2011, infatti, oltre ad aver operato una non sempre armoniosa commistione tra riti e materie eterogenee, viene spesso in concreto applicata dagli organi di giustizia in modo assai restrittivo.

Vale la pena, a questo punto, soffermarsi perlomeno su due capisaldi che, ad avviso di chi scrive, costituiscono tuttora il "nòcciolo" invalicabile dell'assetto delle opposizioni in questione (ma anche, mutatis mutandis, del ricorso diretto avverso il sommario processo verbale di accertamento di infrazione al codice della strada): la ripartizione dell'onus probandi e le vicende in tema di costituzione della P.A.

Nel giudizio di opposizione (a verbale, ad ordinanza-ingiunzione ed a qualunque altro tipo di ordinanza in matera di codice della strada), il ricorrente è "attore", e l'amministrazione  resistente "convenuto", solo in senso formale: invero, come la giurisprudenza della Cassazione afferma costantemente, l'onus probandi ex art. 2967 c.c. - in presenza, ci permettiamo di aggiungere, di un ricorso non inammissibile e non manifestamente pretestuoso - incombe proprio sull'amministrazione.

Oggetto della prova deve essere il "fondamento della pretesa sanzionatoria", cioè la dimostrazione dell'esistenza dell'illecito, del suo corretto accertamento (fase, peraltro, piuttosto ben descritta negli artt.200 et 201 c.d.s. e 383-385 reg.esec.c.d.s., oltre che in numerose norme di "parte speciale", per così dire,: cioè nelle norme che prevedono i singoli illeciti), e della circostanza che il soggetto attinto sia il trasgressore e/o il coobbligato solidale.

Inoltre, spetta sempre all'amministrazione l'onere di provare la tempestività e regolarità della notificazione dell'ordinanza (o del verbale); anzi, qui siamo in presenza di un "ònere preliminare", a cui cioè parte resistente deve assolvere a prescindere dalla sua costituzione in giudizio, che è e permane sempre una mera facoltà processuale.

Infatti l'art.6 comma 8 D.Lgs 150/11 (ricalcando l'art.23 comma 2 della legge 689/81, abrogato dalla normativa appena citata) prevede che il giudice, con il provvedimento di fissazione dell'udienza, ordini - il verbo è significativo -  all'autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare "copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento, nonche' alla contestazione o notificazione della violazione".

La giurisprudenza - con un po' di inspiegabile benevolenza unilaterale - non riconnette alla violazione di quest'onere/obbligo (è oggetto di un "ordine"...) una conseguenza processuale diretta; e tuttavia, in caso di mancato deposito perlomeno un effetto  potenziale si produce.

Invero il comma 10 dell'art. 6 citato prevede la "convalida" da parte del giudice (con ordinanza) del provvedimento impugnato qualora la parte o il suo procuratore non si presentino alla prima udienza senza giustificato impedimento; ma non si può procedere in tal senso, invece, qualora l'amminsitrazione abbia omesso il deposito della documentazione suindicata. A tacer della circostanza che detta mancata prova costituisce comunque quantomeno un comportamento processuale della parte valutabile dal giudice.

Secondo aspetto: gli effetti della contumacia dell'amministrazione resistente.

La questione merita qualche considerazione.

Come nòto, l'amministrazione resistente ha due "modalità" di costituzione in giudizio:

- personalmente, o a mezzo di "propri funzionari" che siano "appositamente delegati";

- a mezzo di atto processuale (propriamente, una comparsa di costituzione e risposta o, rectius, ratione riti, una memoria difensiva di costituzione e resistenza); solo in questo secondo caso, l'atto può essere sottoscritto o dalla parte personalmente (parliamo del vertice apicale o del soggetto a cui sia stata conferita idonea delega di funzioni), o da un avvocato munito di regoalre mandato ad litem.

Dunque, nel rito in esame esistono due modalità alternative di "costituzione in giudizio": la comparizione personale (o, per l'amministrazione, a mezzo dei funzionari succitati, con l'ulteriore possibilità portata dall'ultima parte del comma 9) oppure la costituzione formale con atto: ed in questo secondo caso, nessuna deroga è prevista, sicchè andranno rispettate tutte le norme (dal conferimento del mandato/delega al deposito in cancelleria) previste dal codice di rito del lavoro, espressamente richiamato dal comma 1.

Nè, si badi, possono esistere valide forme di costituzione - o di esercizio di poteri tipici delle sole parti ritualmente costituite - differenti o alternative: e si fa qui riferimento, ad esempio, alla prassi di allegare, pur in assenza di formale costituzione, documenti differenti da quelli espressamente previsti dal comma 8; detti documenti vanno espunti e non sono utilizzabili, perchè la facoltà di produrre documentazione probatoria spetta solo alla parte del giudizio, cioè alla parte regolarmente costituita.

La contumacia dell'amministrazione, ad avviso di chi scrive - comporta un effetto processuale diretto: la sua soccombenza (che potremmo definire impropriamente "virtuale"), alla pari dell'attore che non provi il fondamento della sua pretesa.

Se il principio di ripartizione dell'onus probandi suindicato è quello corretto, questo è l'unica conseguenza possibile, perlomeno - a tutto concedere - ai sensi del comma 11 dell'articolo 6; nè ci pare abbia rilevanza alcuna la considerazione che il "verbale di accertamento" (che viene incorporato nell'ordinanza-ingiunzione, sia che rinvenga da ricorso al prefetto sia che si versi in una delle rare ipotesi nelle quali sia prevista la sua emissione in assenza di ricorso amminsitrativo) possa far fede sino a querela di falso, ovviamente limitatamente all'ambtio dell'art.2699 c.c.

Invero, oggetto del giudizio in questione è proprio l'accertamento nei suoi componenti oggttivi e soggettivi; giudizio che, applicando tout-court la regola della fede privilegiata suindicata, non avrebbe neppure ragione di esistere; vero è, invece, che il legislatore ha inteso devolvere alla cognizione giurisdizionale proprio l'esame degli elementi costituitvi della pretesa sanzionatoria.

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