Risarcibilità del colpo di fusta: non sempre è necessaria la radiografia

A cura della Redazione.
Risarcibilità del colpo di fusta: non sempre è necessaria la radiografia
Lunedi 1 Giugno 2020

La Corte di cassazione nell'ordinanza n. 9865 del 26 maggio 2020 è tornata ad affrontare la problematica dei limiti e della metodologia di accertamento del c.d. colpo di frusta ai fini della sua risarcibilità.

Il caso: Il Tribunale di Bologna, in parziale accoglimento dell'appello proposto da F.M., liquidava il danno patrimoniale emergente relativo alle spese sostenute per cure mediche, mentre confermava la sentenza del Giudice di Pace di Bologna che, per le lesioni cagionate al M. conducente dell'auto tamponata dal veicolo condotto dal B., aveva liquidato il danno non patrimoniale limitandolo al risarcimento del solo danno biologico da inabilità temporanea, non riconoscendo alcun postumo di natura permanente né il danno morale.

Per il Tribunale:

- trova applicazione, nella specie, l'art.139, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, come modificato dall'art. 32, comma 3-ter del d.l. n. 1 del 2012, inseriti dalla legge di conversione n. 27 del 2012, nonché la disposizione del comma 3-quater del medesimo art. 32 del DL n. 1/2012 conv. in legge n. 27/2012, ove è richiesto per l'accertamento del "danno alla persona" -e dunque non soltanto per l'accertamento della lesione personale - che lo stesso sia riscontrato "visivamente" o mediante indagine clinico strumentale;

- pertanto, la conclusione del CTU secondo cui in base alla sola indagine clinica era apprezzabile un danno biologico permanente, determinato nella misura del 2-3%, esitato dal trauma distorsivo del rachide cervicale e dorsale non consentiva di liquidare alcun danno da (micro)invalidità permanente.

F.M. ricorre in Cassazione, censurando la la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto irrilevante l'accertamento clinico del danno biologico permanente, sulla scorta della interpretazione restrittiva dell'art. 139 CPA come modificato dalle disposizioni della legge n. 27/2012.

La Suprema Corte, nel ritenere fondata la doglianza, chiarisce, in tema di tecniche di indagine strumentale, quanto segue:

a) Il comma 3 quater dell'art. 32 CPA è stato abrogato dall'art. 1 comma 30, della legge 4 agosto 2017 n. 124 che ha modificato l'art. 139 CPA riformulando, per quanto interessa, il comma 2 ultima parte, come segue "In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente ";

b) la disposizione in esame - che non ha ricevuto sostanziali modifiche dalla legge di riforma del 2017- deve intendersi rivolta a prevenire accertamenti del danno biologico permanente, nel caso di lesioni di lieve entità, fondati esclusivamente sul "criterio anamnestico" e cioè sulla raccolta delle sensazioni psicofisiche riferite dal paziente, in quanto tali dipendenti da margini di apprezzamento del tutto soggettivi ed insuscettibili di alcuna obiettiva verifica medico-legale, con evidenti incertezze sulla effettiva sussistenza della menomazione;

c) appare corretto interpretare la norma in questione nel senso che essa ha reso espliciti i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), senza porre vincoli predeterminati alla efficacia probatoria della metodologia impiegata dal medico-legale, ponendo invece in rilievo la correlazione -questa sì indispensabile- tra la corretta applicazione di detti criteri metodologici di indagine e la "obiettiva certezza scientifica" del risultato dell'accertamento (ossia la "oggettiva riscontrabilità" nel soggetto leso -secondo i parametri offerti dalla scienza specialistica- di postumi invalidanti di natura permanente);

d) di conseguenza, l'esame clinico strumentale non è l'unico mezzo utilizzabile dal medico legale, salvo che ciò si correli alla natura della patologia;

Da qui discende il seguente principio di diritto: “In tema di risarcimento del danno biologico da cd. micropermanente, ai sensi dell'art.139, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, come modificato dall'art. 32, comma 3- ter, del d.l. n. 1 del 2012, inserito dalla legge di conversione n. 27 del 2012 (ed incidentalmente anche nel testo modificato dalla legge n. 124/2017), la sussistenza dell'invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto di non essere documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un mero automatismo che ne vincoli il riconoscimento ad una verifica strumentale, ferma restando la necessità che l'accertamento della sussistenza della lesione dell'integrità psico-fisica avvenga secondo criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi

Decisione: la sentenza impugnata, ritenendo vincolata la risarcibilità del danno da invalidità permanente esclusivamente al riscontro fornito da esami strumentali, non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato, e deve, pertanto, essere cassata con rinvio, dovendo accertare il Giudice di merito se dagli esami condotti dal CTU emerga il riscontro obiettivo - alla stregua della corretta applicazione dei criteri medico-legali e degli elementi clinici emersi dalla documentazione ritualmente prodotta in giudizio - di una menomazione anatomo-funzionale inemendabile, derivata eziologicamente dalla distorsione del rachide cervicale.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.9865/2020

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