Lunedi 25 Maggio 2015 |
La III° Sez. civile della Cassazione interviene in punto di responsabilità dell'avvocato con la sentenza n. 10289/2015, che prende in esame il caso della cliente, che cita in giudizio il proprio avvocato per negligente condotta professionale.
La richiesta di risarcimento danni della cliente era motivata dal fatto che il legale della sig.ra A.C., suo procuratore in una causa per il risarcimento danni da lei subiti per mancata messa in opera ed eseguito collaudo di un macchinario industriale, aveva chiamato in causa come terzo la ditta di autotrasporti che aveva effettuato il trasporto del macchinario, sebbene il diritto da tutelare fosse prevedibilmente già prescritto; infatti la terza chiamata aveva sollevato l'eccezione di prescrizione.
Avverso la sentenza di rigetto di primo grado la cliente proponeva appello e in questa sede la Corte territoriale, pur ritenendo che la prevedibilità dell'eccezione di prescrizione da parte del terzo chiamato non fosse di per sé sufficiente a ritenere colposa la chiamata in questione, ben potendo confidarsi in una defaillance della difesa avversaria o del giudice, condannava il legale al rimborso, in favore dell'attrice, della somma che questa aveva pagato alla terza chiamata, oltre alla metà della somma versata al medesimo legale a titolo di compenso.
Secondo la Corte, infatti, l'aver provveduto alla chiamata del terzo costituiva comunque una condotta colposa del professionista, in quanto “la posta in gioco era modesta e sussisteva il rischio della condanna alle spese, in caso di soccombenza, per un importo superiore alla somma oggetto della domanda.”
L'avvocato ricorre in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt 1176 e 2236 Cod. Civ. in relazione all'art. 40 Codice Deontologico e art. 2697 Cod. Civ. e contraddittoria motivazione.
In particolare il legale lamenta che la Corte territoriale, nel ritenere sussistente la colpa del professionista per aver chiamato in causa il terzo, nonostante fosse prevedibile che questi avrebbe, come poi effettivamente accaduto, proposto l'eccezione di prescrizione, non avrebbe considerato che la scelta di procedere a tale chiamata era stata concordata tra il professionista e la cliente e da questa approvata.
Tale circostanza peraltro sarebbe confermata dalla circostanza che la cliente non aveva mai dedotto la violazione, da parte del professionista, dell'art. 40 del codice deontologico, relativo all'obbligo di informazione.
Pertanto, secondo il professionista, la responsabilità era della sola cliente, con esclusione di qualsiasi colpa a carico del legale.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, afferma il seguente principio: “la responsabilità professionale dell'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media esigibile ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c.; tale violazione, ove consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l'adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire.
Peraltro – continua la Corte - l'avvocato è tenuto ad assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, non solo al dovere di informazione del cliente ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso ed è tenuto, tra l'altro, a sconsigliare il cliente dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole”.