La Terza Sezione Penale della Suprema Corte, ha riaffermato il medesimo principio di diritto enunciato in una recente informazione provvisoria delle Sezioni Unite, secondo cui :“qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l'ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla decorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificato come confisca diretta e non per equivalente”.
Con ordinanza dello scorso luglio, il Tribunale di Macerata respingeva la richiesta di riesame presentata dall'indagata avverso il decreto con il quale il Gip aveva disposto il sequestro preventivo delle somme giacenti sul conto corrente (in relazione al reato di cui all'art. 7, comma 21, del d.l. n. 4/2019, convertito dalla L. n. 26/2019) perchè profitto del reato di illegittima fruizione del reddito di cittadinanza2.
Il predetto Tribunale respingeva la tesi difensiva posta alla base della richiesta di riesame, secondo la quale non si era tenuto conto del fatto che parte della somma sottoposta a sequestro era il frutto di entrate patrimoniali diverse dal reddito di cittadinanza ed escludeva l'inconsapevolezza dell'indagata dell'obbligo di comunicare le proprie variazioni reddituali. Avverso l'ordinanza, l'indagata proponeva ricorso per cassazione e, con unico motivo, lamentava la violazione di disposizioni di legge processuale, a causa della mancanza della motivazione dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza in quanto non era stato in alcun modo considerato che le somme accreditate sulla carta postepay e sottoposte a sequestro derivano, in prevalenza, da misure a sostegno della maternità e della famiglia, in particolare a titolo di maternità e di premio nascita erogatele dall'Inps, in quanto a maggio 2021 aveva dato alla luce una bimba.
Il Tribunale, inoltre, non aveva nemmeno tenuto conto della impignorabilità dei sussidi a favore della maternità e che le somme accreditate sul proprio conto corrente derivavano da elargizioni pubbliche a sostegno dei lavoratori in difficoltà.
La Corte nel dichiararlo inammissibile, ha evidenziato, in primis, che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali, può essere esaminato solo per ciò che attiene il vizio di violazione di legge, “ non essendo consentita, in tale materia, la deduzione del vizio di motivazione per espresso dettato dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen”.
Contrariamente a quanto sostenuto dall'indagata, il Tribunale ha preso in considerazione quanto esposto nella richiesta di riesame, ritenendo del tutto irrilevante il fatto che si tratti sia di sussidi a favore della maternità che di elargizioni pubbliche a sostegno del reddito dei lavoratori in difficoltà, sottolineando che sui conti correnti della ricorrente non erano state accreditate solo queste somme ma anche redditi da lavoro.
Il richiamo è ad una decisione nella quale le Sezioni Unite, intervenendo a proposito del contrasto circa l'interpretazione della qualificazione del sequestro delle somme a credito su un conto corrente bancario, hanno disposto che “qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l'ablazione del denaro comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto fino alla decorrenza del valore del profitto medesimo e deve essere qualificato come confisca diretta e non per equivalente”.
In più, gli ermellini evidenziano che l'individuazione delle somme da assoggettare al vincolo è una questione che riguarda la fase esecutiva e, pertanto, dev'essere sottoposta al giudice competente per l'esecuzione di detto provvedimento, vale a dire al Gip che lo ha emesso, non potendo essere devoluto né al giudice del riesame che non è tenuto all'attuazione del provvedimento né alla Corte di Cassazione, al cui sindacato di legittimità sono estranei accertamenti di questo genere.
Il ricorso, pertanto, è stato considerato inammissibile, “stante il contenuto non consentito delle censure alle quali è stato affidato”.
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Note
1. “L'omessa comunicazione della variazione del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca del beneficio stesso, è punita con la reclusione da 1 a 3 anni”.
2. A tal proposito va richiamata la recente sentenza n. 5290/2019, con la quale la Cassazione ha statuito che: “ Il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente il reddito di cittadinanza, può essere disposto anche indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio”.