L’onere della prova dell’esistenza di un contratto incombe su chi vuol far valere un credito e, in sua assenza, sussiste la condanna ex art. 96 u.c. c.p.c.
Nota alla sentenza del Tribunale di Milano n. 8777/2017 del 22.8.17
Sabato 26 Agosto 2017 |
Uno studio dentistico proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti da una società di pubblicità che affermava di aver avuto dallo stesso un incarico per effettuare la pubblicità della propria attività su una rivista; a base della richiesta d’ingiunzione venivano prodotte tre fatture, peraltro non del tutto conformi alla legge.
Durante il giudizio di opposizione emergeva che: a) non esisteva un contratto scritto; b) non vi era prova dell’invio di bozze fra le parti riguardo al testo definitivo da pubblicare; c) l’incarico sarebbe stato preso da un soggetto terzo; d) le informazioni pubblicitarie non erano del tutto conformi alla realtà.
Il Giudice, su richiesta dell’opposta di provare il contratto per testimoni, ha applicato l’art. 2721 c.c. rigettando quindi l’istanza e, applicando il combinato disposto degli articoli 1218 e 2697 c.c., non ha ritenuto soddisfatto l’onere della prova dell’esistenza del presunto debito a carico dell’opponente.
Viceversa, sussistendo la circostanza dell’abuso del processo di cui all’art. 96 u.c. c.p.c., poiché l’opposta, pur rimasta integralmente soccombente, ha agito con dolo o quantomeno colpa grave (Cassazione n. 7409/2016) nel contempo intralciando gli altri utenti del sistema giudiziario (cfr. Atti dell’Osservatorio Nazionale di Giurisprudenza di Roma del 20.5.17, Cassazione n. 21570/2012, Cassazione n. 2584/2016, Cassazione n. 3376/2016), il Tribunale ha condannato la società di pubblicità, oltre alla rifusione delle spese legali, anche al pagamento di una somma sanzionatoria.