Incombe sul fisco l’onere di provare che i prelevamenti effettuati dal professionista dal suo conto corrente sono destinati ad investimenti per la sua attività produttiva di redditi.
Questo è quanto confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14087/2017 del 7 giugno 2017.
Lunedi 19 Giugno 2017 |
IL CASO: L’Agenzia delle Entrate a seguito di una verifica eseguita sulle movimentazioni bancarie di un commercialista, esercente anche l’attività di amministratore di condominio, notificava a quest’ultimo un avviso di accertamento di un maggior valore della produzione ed un maggior volume di affari ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, in quanto lo stesso non aveva giustificato alcuni prelievi e versamenti eseguiti sul proprio conto corrente. Il suddetto avviso veniva impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che rigettava il ricorso.
La sentenza di primo grado veniva impugnata dal professionista innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, la quale accoglieva parzialmente il gravame rideterminando in diminuzione l’importo dei maggiori ricavi accertati dall’Agenzia delle Entrate. Anche la sentenza di Appello veniva impugnata dal contribuente in Cassazione sulla scorta di quattro motivi.
LA DECISIONE: La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha osservato che:
1. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 24 settembre 2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, D.P.R. N. 600 del 1973, introdotta dalla legge n. 311 del 2004, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale fosse ;
2. In virtù dell’intervento della Corte Costituzione è venuta definitivamente meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività da parte del lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale che la suddetta norma prevedeva e l’onere di fornire la prova che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal libero professionista o dal lavoratore autonomo per acquisti diretti alla produzione del reddito conseguendone dei ricavi viene spostato sull’Amministrazione Finanziaria.
Alla luce delle suddette considerazioni, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto fondato il primo motivo del ricorso, anche se per ragioni pregiudiziali diverse da quelle prospettate dal ricorrente, e pertanto hanno accolto il suddetto motivo, assorbito il secondo, rigettato gli altri e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione, la quale dovrà accertare se l’Agenzia delle Entrate abbia o meno dimostrato che le somme prelevate dal professionista sui propri conti correnti erano o meno destinate ad un investimento relativo alla attività professionale produttivo di reddito, in quanto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 228/2014 ha eliminato in modo definitivo la presunzione prevista dall’art. 32 del D.P.R. N. 600/73 sui prelevamenti bancari. L’onere di provare che i movimenti bancari del professionista rappresentano ricavi non dichiarati incombe sul Fisco.
Pertanto, in definitiva, con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha confermato il principio già espresso in altre sentenze successive alla decisione della Corte Costituzionale, secondo il quale in sede di accertamento del reddito professionale fondato su movimentazioni bancarie, i prelevamenti non giustificati non possono essere considerati automaticamente come elementi presuntivi di costi produttivi di compensi non dichiarati, come invece può succedere per i ricavi derivanti dalle attività d’impresa in quanto quest’ultima è caratterizzata dalla necessità di continui investimenti.