1. La sua funzione
L’istituto in questione è previsto dall’art. 2118 c.c. tramite la seguente formulazione:
«Recesso dal contratto a tempo indeterminato.
1.Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti [dalle norme corporative] (i), dagli usi o secondo equità.
2.In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
3.La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro».
Lunedi 6 Dicembre 2021 |
Per la migliore e più agevole comprensione, da parte del lettore, di quanto andremo dicendo in prosieguo, va detto che le due parti del rapporto di lavoro – dibattendosi della risoluzione del medesimo - vengono convenzionalmente designate come “recedente” (per indicare la parte che ha assunto l’iniziativa di por fine al rapporto in atto) e come “receduto”, (la parte che ne ha subito l’iniziativa). In caso di risoluzione per licenziamento il “recedente” è il datore di lavoro e il “receduto” è il lavoratore. In caso di dimissioni del prestatore, il “recedente” è il lavoratore e il “receduto” è il datore di lavoro.
Ciò premesso, va altresì evidenziato come la previsione, da parte del legislatore dell’epoca, dell’istituto del preavviso rispondeva (e tutt’oggi risponde, con consenso unanime in dottrina e giurisprudenza) all’esigenza di attenuare i pregiudizi discendenti dal recesso immediato disposto dal cd. recedente, mediante:
a) il conferimento al lavoratore di uno spazio temporale di protrazione del rapporto (stabilito nei contratti collettivi), utile alla ricerca di una nuova occupazione, nel caso in cui il recedente sia il datore di lavoro che abbia assunto l’iniziativa risolutoria (cd. licenziamento); spazio temporale (cd. preavviso lavorabile) sostituibile da una monetizzazione indennitaria (cd. indennità sostitutiva del preavviso) da parte del datore recedente nel caso in cui quest’ultimo non intenda accordare al cd. receduto (lavoratore) la possibilità di prestare in servizio il preavviso;
b) il conferimento al datore di lavoro di un analogo spazio di protrazione del rapporto, utile per la ricerca di un sostituto, nel caso in cui sia l’iniziativa risolutoria (cd. dimissioni) sia stata intrapresa dal lavoratore in veste di soggetto recedente; protrazione anch’essa sostituibile, da parte del dimissionario intenzionato a cessare immediatamente il rapporto, con il pagamento a controparte della cd. indennità sostitutiva del preavviso non lavorato, quindi con una monetizzazione a beneficio della parte datoriale (cd. receduta).
Tale configurazione evidenzia, inequivocabilmente, come l’istituto del preavviso sia posto ad esclusivo vantaggio della parte che subisce l’iniziativa di recesso (il lavoratore, in caso di licenziamento, il datore in caso di dimissioni attivate dal prestatore). Nessuna rilevanza giuridica appare essere stata conferita dall’art. 2118 c.c. ad un eventuale interesse del recedente, cioè di colui che abbia assunto l’iniziativa di ricusare la controparte; interesse che:
- nel caso del lavoratore dimissionario, può verosimilmente essere quello di voler effettuare in servizio il preavviso per sottrarsi al pagamento, a favore dell’azienda, dell’importo dell’indennità sostitutiva del preavviso;
- nel caso dell’azienda che licenzia, può essere verosimilmente quello di pretendere, dal lavoratore licenziato con preavviso, che egli lo effettui in forma cd. lavorata, parimenti per sottrarsi alla corresponsione, a favore del lavoratore, dell’importo dell’indennità sostitutiva del preavviso.
In entrambi i casi, la parte cd. receduta è titolare di un diritto di credito nei confronti della parte recedente – consistente nel diritto a beneficiare, in un caso, della “offerta” del preavviso lavorato da parte del dimissionario (da esso effettuata, come già detto, per sottrarsi al pagamento dell’indennità sostitutiva); nell’altro caso, della “richiesta” del preavviso lavorato rivolta dall’azienda al licenziato, parimenti per risparmiare, come già detto, l’esborso dell’indennità sostitutiva del preavviso. Offerta e richiesta – in un caso e nell’altro - che non possono legittimamente convertirsi in “pretesa” da parte del recedente (lavoratore o datore, a seconda dei casi), giacché entrambe liberamente rinunziabili dalla parte cd. receduta in veste di creditrice, senza che la stessa debba soggiacere, peraltro, a penale o indennizzo alcuno (in forma di indennità sostitutiva del ricusato preavviso lavorato).
Per essere più chiari - in questa tematica infida ove le ripetizioni possono essere ritenersi tutt’altro che superflue - il lavoratore licenziato, con richiesta aziendale di effettuare il preavviso in servizio, può cessare immediatamente il rapporto senza dover corrispondere all’azienda la cd. indennità sostitutiva del preavviso non lavorato; ugualmente il datore di lavoro, al quale il lavoratore dimissionario abbia offerto/richiesto di prestare in servizio il preavviso, può risolvere con immediatezza il rapporto, senza dover corrispondere alcuna indennità sostitutiva al dimissionario.
2. Le statuizioni della recente Cass., sez. lav., n. 27934 del 13/10/2021, implicanti l’esame preliminare delle due storiche concezioni dell’efficacia del preavviso (reale e obbligatoria)
Con questa decisione, la Suprema corte ha rettificato sia la sentenza di 1° grado che quella della Corte d’appello (di Torino), che avevano, entrambe, accolto la richiesta avanzata da un dirigente dimessosi dall’azienda datrice di lavoro, alla quale aveva offerto/preteso la prosecuzione del rapporto tramite il cd. preavviso lavorato, dalla cui effettuazione l’azienda l’aveva prontamente dispensato. Dalle due giurisdizioni (1 e 2 grado), il dimissionario aveva ottenuto l’accoglimento del decreto ingiuntivo tramite cui, a fronte della dispensa aziendale dal preavviso lavorato, aveva richiesto (e temporaneamente gli era stato giudizialmente riconosciuto) il diritto alla cd. indennità sostitutiva a carico dell’azienda. Il suddetto riconoscimento era avvenuto per effetto dell’accoglimento, in sede giudiziaria, dell’invocata concezione della cd. “efficacia reale” del preavviso, secondo la quale l’interesse del prestatore (sia dimissionario che licenziato, in fattispecie dimissionario) ad effettuarlo in forma lavorata era stato asserito prioritario e non alternativo alla monetizzazione (tramite l’indennità sostitutiva); pertanto, un’eventuale dispensa poteva solo discendere dal consenso delle parti, in carenza del quale (come nel caso specifico) sorgeva a suo favore il diritto all’indennizzo, cioè alla cd. indennità sostitutiva.
La Cassazione, per giungere alla decisione finale, ha dovuto preliminarmente prendere posizione sulle due teorie (dottrinali e giurisprudenziali) che si erano, da tempo, fronteggiate in ordine alla natura del preavviso, evidenziando la preferenza verso quella più recentemente affermatasi, consistente nel riconoscere al preavviso un’efficacia meramente obbligatoria, e non già un’efficacia cd. reale, locuzione tramite cui veniva conferito al preavviso lavorabile un ruolo prioritario e inderogabile - e, non già alternativo alla indennità sostitutiva - tale da non consentire al cd. recedente di risolvere unilateralmente il rapporto, che - anche in presenza di immediata estromissione del lavoratore dall’azienda – giuridicamente sarebbe proseguito (con tutte le connesse obbligazioni tra le parti) per tutto l’arco di durata del preavviso, venendo meno solo alla sua scadenza.
3. La tesi dell’efficacia cd. obbligatoria del preavviso
Questa concezione, a differenza della precedente (a cd. efficacia reale), pone sullo stesso livello paritario sia il preavviso lavorabile sia l’indennità sostitutiva, pertanto discrezionalmente utilizzabili - in maniera alternativa - da entrambe le parti contraenti per por fine, con immediatezza, al rapporto di lavoro in atto.
Venne sostenuta inizialmente da Cass. 19 gennaio 2004 n. 741, poi proseguita con approfondimenti logico-testuali da Cass. 21 maggio 2007, n. 11740 (rel. Vidiri), giungendo alla conclusione per cui: «Non occorre il consenso di entrambe le parti per impedire la prosecuzione del rapporto sino alla scadenza del termine di preavviso, potendosi pervenire a tale risultato anche unilateralmente, e cioè da parte del solo recedente.
Il preavviso costituisce una obbligazione alternativa in capo alla parte recedente perché questa - nel rispetto della lettera e della ratio dell'art. 2118 c. c. - può, nell'esercizio di un diritto potestativo, recedere dal rapporto con effetti immediati dietro l'obbligo verso la parte receduta di una "indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso", o può acconsentire, allorquando ne abbia interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso».
Questa decisione proseguì così argomentando: «invero è innegabile che l'art. 2118 c.c. è formulato ("Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando il preavviso...") nel senso di riconoscere in maniera inequivocabile sia al datore di lavoro che al lavoratore il diritto di recedere dal contratto dando il preavviso, ed ancora nel senso di regolare in maniera inequivocabile ed esaustiva tutte le conseguenze della mancanza del preavviso ("In mancanza di preavviso, il ricorrente è tenuto verso l'altra parte ad una indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso"), impedendo così un interpretazione del dato normativo che porti ad ammettere che il rapporto di lavoro continui durante il periodo di preavviso allorquando il datore di lavoro abbia estromesso il lavoratore esternando la sua volontà di recedere dal rapporto lavorativo. (…) Anche a non volere considerare l'interpretazione letterale della norma - da tutti reputata come elemento favorevole alla tesi della efficacia obbligatoria del preavviso - come di per sé capace di accreditare la suddetta efficacia in base al brocardo in claris non fit interpretatio (…) sussistono ragioni di ordine logico-sistematico che portano ad escludere la portata reale dell'istituto scrutinato (…), se si volesse riconoscere efficacia reale al preavviso, imponendo una continuazione del rapporto lavorativo in ogni caso di recesso (e specificatamente anche nelle ipotesi di assenza di una comune volontà in tali sensi), si finirebbe per legittimare una soluzione incompatibile con l'assetto ordinamentale dell'epoca della codificazione, che si caratterizzava - stante la mancanza di una articolato sistema di garanzia in termini di tutela (obbligatoria o reale) del posto di lavoro - per un generale riconoscimento del principio del recesso ad nutum. La norma scrutinata - la cui lettura non può, è necessario ribadirlo, prescindere dal contesto temporale in cui è stata emanata - si collegava quindi ad un sistema in cui era ancora evidente l'intento del legislatore di garantire la libertà dell'individuo da vincoli di soggezione a durata indeterminata ed in cui si riscontrava - come è stato pure evidenziato - una logica simmetrica tra la costituzione e la cessazione del rapporto di lavoro, nel comune segno della libera determinazione ad opera della volontà delle parti».
4. La tesi dell’efficacia reale del preavviso, aggiornata in senso restrittivo
Le considerazioni sopra riferite sono, invero, del tutto convincenti e condivisibili, salvo il fatto che – nell’intento di contestare l’opposta concezione - non tengono conto della riconfigurazione (ridimensionata e riduttiva), alla quale i successivi, residuali, sostenitori, hanno sottoposto l’originaria (ii) teoria della cd. efficacia reale del preavviso, invero connotata da un eccesso di favor operari. Riconfigurazione che ha implicato il riconoscimento della legittima risolubilità del rapporto, con immediatezza, ad iniziativa unilaterale del recedente, cioè anche di una sola delle parti e non previo consenso di entrambe.
Pertanto, nel convenire con i sostenitori della concezione dell’efficacia reale del preavviso sul fatto che - a seguito dell’intimazione di licenziamento da parte del datore recedente - il rapporto si risolve con immediatezza, anche senza il consenso del lavoratore receduto, i sostenitori della ridimensionata configurazione della teoria della cd. efficacia reale hanno fatto rilevare – nel caso in cui non sia stata accordata al receduto la possibilità di effettuare il preavviso in forma lavorata - che l’indennità sostitutiva del preavviso a lui spettante non deve essere calcolata prendendo a parametro la retribuzione dell’ultima delle mensilità maturate all’atto del recesso, giacché così facendo si liquida solo una forma di indennizzo per così dire “statico”, che potrebbe risultare insufficiente. Si sostie, infatti che - – in applicazione della lettera del comma 2, dell’art. 2118 c.c., secondo cui il recedente è tenuto a corrispondere “un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso” se lavorato – la suddetta indennità va, invece, calcolata tenendo conto, ai soli fini retributivi, delle migliorie di carattere economico virtualmente maturate entro il termine finale del preavviso lavorabile, ma non lavorato (cd. preavviso virtuale). Migliorie sopravvenute nell’arco di decorso del cd. preavviso virtuale, che possono consistere, di norma, esclusivamente in uno scatto biennale di anzianità o in un incremento tabellare, in caso di rinnovo contrattuale intercorso entro il termine del preavviso lavorabile, ma non lavorato.
In buona sostanza questa “riconfigurazione” - ridimensionante in senso riduttivo l’originaria teoria dell’efficacia reale - confina l’efficacia reale del preavviso in un ambito residuale di natura retributiva, afferente solo al calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso, sottraendo, - allo stesso modo della concezione cd. obbligatoria - il rapporto stesso all’esposizione o all’interferenza da parte di eventi successivi all’intimazione del licenziamento, pregiudizievoli dell’immediatezza rescissoria, eventi, invero, legittimati dall’originaria concezione della cd. efficacia reale, quali la malattia, l’infortunio, la maternità, intercorsi durante il preavviso, implicanti la sospensione ex lege del medesimo e la prosecuzione indefinita del rapporto stesso.
La “riconfigurazione” dell’originaria concezione dell’efficacia reale del preavviso la si ritrova affermata e sostenuta, tra l’altro, da Cass. 15 maggio 2007 n. 11094 (rel. De Matteis), che così argomenta: «L'orientamento che afferma l'efficacia obbligatoria del preavviso appare avere maggior fondamento testuale (ove si consideri altresì che la stessa indennità è dovuta in caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro: art. 2118, comma tre, codice civile); ma anche esso, individuando, con l'articolo 2118, secondo comma, il contenuto dell' obbligazione nel pagamento della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso, collega il contenuto dell'obbligazione al tempo del preavviso, e deve assegnare così rilevanza alle modifiche retributive intervenute nel periodo di preavviso, così pervenendo ai medesimi risultati dell'orientamento che parla di efficacia reale. La differenza tra il recesso in tronco consentito dall'articolo 2119 per giusta causa e il recesso con preavviso consentito dall'articolo 2118 non si esaurisce nell'obbligo di pagare, in questo secondo caso, una indennità sostitutiva del preavviso, ma comporta l'obbligo di preservare tutti l diritti retributivi che sarebbero maturati nel corso del periodo di preavviso, ed in questo limitato senso si deve intendere l'espressione efficacia reale. Da quanto sopra discende la rilevanza degli aumenti retributivi intervenuti nel corso del preavviso…».
Pertanto - fatta salva l’immediatezza della risoluzione del rapporto, sottratta al consenso delle parti postulato dall’originaria e più radicale teoria dell’efficacia reale del preavviso - la versione aggiornata (ed edulcorata) del preavviso ad efficacia reale, su cui ha ripiegato la posteriore giurisprudenza, prevede che - nel caso del licenziamento con corresponsione contestuale dell’indennità sostitutiva del preavviso calcolata (iii) in base alla mensilità di retribuzione fruita all’atto del recesso – l’importo già corrisposto della predetta indennità si atteggi a mero “acconto” della stessa, poiché potrebbe essere suscettibile di eventuali conguagli da parte aziendale allo scadere del termine finale del preavviso “virtuale” (in quanto non lavorato). Conguagli occasionati - come già detto - da eventuali sopravvenienze di carattere meramente economico (e non normativo), rifluenti a beneficio del lavoratore (quali la maturazione di uno scatto biennale di anzianità, e/o migliorie stipendiali discendenti da rinnovi contrattuali) che intervenissero entro il termine finale del preavviso, dalla cui prestazione il lavoratore è stato dispensato.
Solo in tal modo la predetta monetizzazione indennitaria risponderebbe alla configurazione, per così dire retributivamente “dinamica”, conferitagli dal testo inequivocabile del comma 2 dell’art. 2118 c.c. Peraltro, in linea di fatto, l’ evenienza dei suddetti conguagli, appare piuttosto rara, se non addirittura eccezionale.
5. L’opzione da parte della recente Cass., n. 27934 del 13/10/2021 per l’efficacia obbligatoria del preavviso e la motivazione resa sulla fattispecie sottopostale
Riprendendo il discorso interrotto al paragrafo 3, dopo l’illustrazione delle due concezioni sul preavviso (ad efficacia reale o obbligatoria), la Cassazione sopracitata disconosce la pretesa del dirigente dimissionario di ottenere - a fronte del diniego aziendale nei confronti dell’offerta/richiesta di effettuare il preavviso in forma lavorata – una indennità sostitutiva alternativa e compensativa, e, di conseguenza annulla il decreto ingiuntivo accolto dal Collegio d’appello.
Esprimendo adesione all’efficacia obbligatoria del preavviso, la Cassazione motiva il proprio diniego - condivisibile, a nostro avviso – nel modo seguente: «Nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale (implicante, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine), ma ha efficacia obbligatoria, con la conseguenza che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso.
Dalla natura obbligatoria dell’istituto in esame discende che la parte non recedente, che abbia rinunciato al preavviso, non deve nulla alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso, dal momento che alcun interesse giuridicamente qualificato è configurabile in favore della parte recedente, giacché in capo alla parte non recedente si configura un diritto di credito dalla stessa liberamente rinunziabile».
A conclusione va rimarcato che – sebbene la fattispecie di cui si è occupata la recente Cass. n. 27934/2021 non si sia prestata a far entrare il Collegio giudicante nel merito dei criteri di quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso - la reiterazione della frase tipica della concezione obbligatoria del preavviso, secondo cui: «nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti», lascerebbe intendere che, anche secondo questa decisione, l’indennità sostitutiva del preavviso vada calcolata sulla base della retribuzione (statica) percepita dal cd. receduto (il licenziato) all’atto del recesso, senza alcuna presa in considerazione delle “eventuali” migliorie retributive di cui la retribuzione avrebbe, dinamicamente, beneficiato nel corso del preavviso, se accordato in cd. forma lavorata.
Così realisticamente interpretata, l’odierna riaffermazione dell’efficacia obbligatoria del preavviso, la stessa non potrebbe sottrarsi alla censura (che facciamo nostra) dell’essere incorsa nella pretermissione dei diritti, a connotazione retributiva, del lavoratore, per il caso del licenziamento con esonero dal preavviso lavorato. Diritti retributivi salvaguardati, invece, dalla riconfigurata teoria dell’efficacia reale del preavviso - quale ragionevolmente aggiornata in senso riduttivo e meno radicale, da Cass. n. 11094/2007 (riferita al paragrafo 4) - che si è resa corretta interprete del comma 2 dell’art. 2118 c.c., laddove il legislatore ebbe a stabilire che l’importo dell’indennità sostitutiva del preavviso doveva essere «equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso», qualora lavorato. Dando vita, a tal fine, ad una finzione, consistente nella “virtuale” persistenza del rapporto di lavoro fino alla scadenza del preavviso (quantunque non lavorato), ai soli fini di una corretta quantificazione dell’indennità sostitutiva, da liquidare al cd. receduto.
Finzione idonea, pertanto, a legittimare l’inclusione - nella mensilità-parametro per il calcolo della predetta indennità - di eventuali trattamenti di natura esclusivamente retributiva, accrescitivi della retribuzione mensile, rivenienti a beneficio del cd. receduto (di norma il lavoratore licenziato), per effetto – ancora lo si ripete – dell’eventuale maturazione di non più di uno scatto biennale di anzianità o di migliorie stipendiali, derivanti da sopravvenuti rinnovi contrattuali raggiunti entro il termine di scadenza del cd. preavviso “virtuale”.
Prof. Mario Meucci - Giuslavorista
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Note:
(1) Dopo l’avvenuta abrogazione delle predette norme corporative, con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721., il riferimento deve ora intendersi effettuato ai contratti collettivi di diritto comune che le hanno sostituite.
(2) La teoria originaria è ascrivibile a Mancini F., in Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Il recesso ordinario, Milano 1962. Sostanzialmente nello stesso senso: Ghezzi G., In La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Milano 1965, 154 e ss. L’affermarsi della teoria dell’efficacia reale del preavviso, a dispetto dell’inequivocabile disposizione letterale dell’art. 2118 c.c., è spiegato brillantemente da Pera G., in La cessazione del rapporto di lavoro, in Enciclopedia Giuridica del Lavoro, diretta da G. Mazzoni – Padova 1980, vol.5, 49 e ss. - al Cap. VI, Preavviso (ed esonero unilaterale tramite indennità sostitutiva).
(3) Nell’art. 2121 c.c. il legislatore delinea le componenti minime inderogabili della mensilità di retribuzione (visto che normalmente il preavviso è strutturato da plurimi mesi) costituente parametro di base per il calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso, così disponendo: «Computo dell'indennità di mancato preavviso. L'indennità di cui all'articolo 2118 deve calcolarsi computando le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili o ai prodotti ed ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.
Se il prestatore di lavoro è retribuito in tutto o in parte con provvigioni, con premi di produzione o con partecipazioni, l'indennità suddetta è determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi tre anni di servizio o del minor tempo di servizio prestato.
Fa parte della retribuzione anche l'equivalente del vitto e dell'alloggio dovuto al prestatore di lavoro».