La pratica del tatuaggio è un fenomeno diffuso che ha indotto le Forze Armate ad adottare una regolamentazione specifica al fine di prevenire situazioni capaci di influire sul decoro dell'uniforme e sull'immagine della stessa Forza Armata.
Segni esteriori quali i tatuaggi, oltre a poter incidere sulla cura e l’aspetto esterno del militare sono anche potenzialmente idonei ad ingenerare un senso di diffidenza o discredito da parte dì chi, per le più disparate motivazioni, disapprovi tale pratica.
Sabato 4 Dicembre 2021 |
La presenza di un tatuaggio può influire in modo significativo sia in sede concorsuale per l’immissione in servizio, determinando l’esclusione per inidoneità dalle procedure selettive, sia nel corso dell’impiego comportando gravi conseguenze sul piano disciplinare.
In linea generale la giurisprudenza ha chiarito che “non c’è dubbio che un tatuaggio costituisca un’alterazione acquisita della cute. La questione consiste nel vedere se, in concreto, esso rappresenti una di quelle imperfezioni e infermità che - secondo la normativa di settore, a partire dall’art. 582, comma 1, lettera u), del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 - sono causa di non idoneità al servizio militare. (...) Nella variegata platea dei precedenti il Consiglio ha ritenuto che la presenza di un tatuaggio sia di per sé un elemento neutro, nella considerazione del quale occorre riconoscere rilievo particolare al fatto della visibilità: quando questa manchi, l’alterazione cutanea non può porre in discussione il decoro dell’Amministrazione e neppure, non costituendo fattore di riconoscimento, è suscettibile di mettere in pericolo l’incolumità o la vita dell’interessato. Pertanto, quando la visibilità non venga obiettivamente riscontrata e il tatuaggio, per le sue intrinseche caratteristiche, non costituisca fattore deturpante, né sia indice di personalità abnorme o deviante, la sua riscontrata presenza non costituisce legittima causa di esclusione dalla procedura selettiva (in ultimo Tar Lazio, 22 ottobre 2021, n. 10873).
Più segnatamente, è consolidato l’orientamento che ritiene individuabili due distinte fattispecie, rilevanti ai fini della dichiarazione di non idoneità.
La prima si identifica nella presenza di "tatuaggi sulle parti del corpo non coperte dall'uniforme", senza che assumano alcuna rilevanza la collocazione, la natura o il contenuto del tatuaggio; la seconda riguarda la presenza di tatuaggi che, anche se collocati in parti del corpo non coperte dall'uniforme, "per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme".
Il giudizio sulla liceità dei tatuaggi è di competenza della Commissione concorsuale in sede di selezione.
Una valida classificazione dei criteri di definizione della liceità dei tatuaggi può ricavarsi dalle definizioni contenute in una direttiva di Forza Armata sulla regolamentazione dell'applicazione di tatuaggi secondo la quale “I tatuaggi osceni sono da considerarsi quelli che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore, la decenza, il decoro e la convenienza ovvero risultino ripugnanti e volgari. In tale categoria, sono da annoverarsi i tatuaggi con incitamenti lussuriosi e contenuti libidinosi o amorali. I tatuaggi con riferimenti sessuali sono quelli che oltre ad avere contenuti lussuriosi, libidinosi o amorali, tendono a discriminare gli individui sulla base delle tendenze sessuali. I tatuaggi razzisti o di discriminazione religiosa sono da considerarsi quelli che tendono ad esaltare una razza o una religione ovvero esprimono discredito o intolleranza verso persone in base alla razza, all'etnia, all’origine nazionale, al sesso o alla religione professata. I tatuaggi che possono portare discredito alla Istituzioni dallo Stato ed atta Forze Armate comprendono una vasta casistica. Oltre a quelli palesemente in opposizione alla Costituzione o alle leggi dello Stato italiano vi sono i tatuaggi che fanno riferimento ovvero identificano l'appartenenza a gruppi politici, ad associazioni criminali o a delinquere, incitano alla violenza e all'odio ovvero alla negazione dei diritti individuali o ancora sono in opposizione ai principi cui si ispira la Repubblica Italiana.”
Ciò posto, la distinzione fra le due fattispecie rilevanti come sopra delineate influisce profondamente sia sulla natura dell'accertamento richiesto all'Amministrazione, sia sul potere esercitato dall’Amministrazione stessa in sede di accertamento dei requisiti di idoneità.
Nel primo caso, al momento dell'esame da parte della Commissione per l'accertamento dei requisiti psico-fisici, la mera presenza di un tatuaggio su una parte del corpo non coperta da tutti i tipi di uniforme utilizzabili nell’ambito del servizio giustificherà il giudizio di non idoneità. In tal caso, infatti, la giurisprudenza formatasi in materia ha chiarito che “l'amministrazione non è titolare di alcuna discrezionalità, non dovendo procedere ad alcuna valutazione, dovendo bensì solo prendere atto degli esiti di un mero accertamento tecnico, ossia della copertura o meno del tatuaggio da parte delle divise” (ex multis Cons. di Stato, 30 giugno 2021, 4925). Si tratta, in questa evenienza, di un mero accertamento tecnico al quale consegue l’esercizio del potere amministrativo totalmente vincolato e, quindi, resta esclusa ogni valutazione in merito ad un eventuale nocumento all'immagine dell'Amministrazione o al decoro della divisa.
Nel secondo caso, invece, ove i tatuaggi "per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme", l'Amministrazione è tenuta a valutare, e conseguentemente a motivare, la "rilevanza" dell'alterazione della cute e l'idoneità di essa a compromettere il decoro della persona e dell'uniforme ai fini dell'esclusione dal concorso per la presenza di un tatuaggio. Quindi il tatuaggio può diventare causa di esclusione – anche se non collocato in parti visibili del corpo - ove sia considerato deturpante per sede e natura, ovvero indice di personalità abnorme in virtù di quanto da esso rappresentato. In questa ipotesi, quindi, l'esclusione rappresenta una misura adottata all'esito di una valutazione che, in quanto esercizio di discrezionalità tecnica (che indubbiamente reca in sé un certo grado di soggettività del valutatore) è sottoposta ai soli limiti rappresentati dalla sussistenza dei vizi di difetto di motivazione, ovvero di eccesso di potere per manifesta illogicità, e non è sindacabile dal giudice amministrativo.
Per la giurisprudenza maggioritaria, inoltre, non ha rilevanza il fatto che il processo di rimozione del tatuaggio sia in atto poiché l'accertamento dei requisiti fisici (che deve essere riferito al momento della scadenza del termine di presentazione della domanda di una procedura selettiva e, di conseguenza, al momento della visita per l'idoneità psico-fisica) deve necessariamente avvenire nei tempi della selezione concorsuale per non violare la par condicio tra i concorrenti. Spetta all'interessato, quindi, dimostrare che al momento dell'accertamento svolto dall'Amministrazione, fosse già ultimata la procedura di rimozione e, conseguentemente, fosse in toto eliminata la percepibilità visiva del tatuaggio.
Tanto chiarito in relazione alle possibili implicazioni in sede concorsuale, occorre comprendere quali siano le conseguenze per il militare già in servizio che decida di applicarsi volontariamente tatuaggi di grandi dimensioni e visibili indossando l’uniforme.
La questione è stata oggetto di una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (1592/2021) che, pur escludendo la possibilità di applicare in via analogica le disposizioni sul reclutamento, ha analizzato la rilevanza disciplinare dell’applicazione di tatuaggi su parti visibili del corpo da parte del personale in servizio ed anche il carattere proporzionale o meno della sanzione espulsiva irrogata.
In relazione al primo aspetto il Collegio ha ritenuto legittima l’irrogazione di una sanzione disciplinare considerando, tra l’altro, che la previsione di una norma specifica in materia di reclutamento, che sanziona la presenza di tatuaggi con l’inidoneità del candidato, pur in assenza di analoga disposizione per i militari in servizio, “rafforza il convincimento della loro [dei tatuaggi] rilevanza disciplinare, non potendo essere ritenuta ammissibile per chi è già in servizio, in primis per motivi di pura razionalità logica, una pratica che costituisce presupposto (in negativo) per l’arruolamento”.
Ciò posto, in merito alla valutazione della sussistenza del necessario rapporto di proporzionalità tra la condotta illecita e la sanzione disciplinare ai sensi dell’art. 1355 C.O.M., lo stesso Collegio ha rilevato che “se la presenza di tatuaggi costituisce causa di inidoneità per l’arruolamento, a fortiori può determinare l’impossibilità di prosecuzione del rapporto lavorativo, causando la rimozione del grado” laddove i tatuaggi siano lesivi del decoro dell’uniforme o della dignità della condizione del militare qualora esprimano, per dimensioni e contenuto, “sentimenti, intenzioni o messaggi incompatibili con il giuramento prestato o con il rapporto fiduciario intercorrente con l’Amministrazione”.
Anche in tale fattispecie, peraltro, assume rilievo la natura ampiamente discrezionale della valutazione dell’Amministrazione “circa l’opportunità del singolo tatuaggio, la lesività del suo contenuto per il decoro e il prestigio dell’Arma o comunque la sua incompatibilità con il giuramento, così come di natura discrezionale è l’ulteriore attività di graduazione della sanzione, e quindi di determinazione della punizione in maniera proporzionale all’offesa”, e ciò determina “una limitazione del sindacato giurisdizionale alle sole ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento”.