La Corte Costituzionale con la sentenza n. 213/2016 è intervenuta in materia di permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992 in relazione alla figura del convivente more uxorio.
Mercoledi 28 Settembre 2016 |
Una dipendente di una Azienda USL presente un ricorso nei confronti dell'Ente presso cui lavora per vedersi riconosciuto il diritto ad usufruire dei permessi di assistenza di cui all’art. 33, comma 3, della legge n.104 del 1992 a favore del proprio compagno, convivente more uxorio e portatore di handicap gravissimo e irreversibile (morbo di Parkinson) e, al contempo, per contrastare la pretesa della USL di recuperare nei suoi confronti – in tempo e in denaro – le ore di permesso di cui aveva usufruito per l’assistenza già prestata al proprio convivente nel periodo antecedente la domanda, su autorizzazione della stessa USL, poi revocata dalla Azienda, per l’assenza di legami di parentela, affinità o coniugio con l’assistito.
Infatti, la norma citata prevede che «A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente,pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti osiano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.
Il Tribunale adito, in funzione di giudice del lavoro:
con sentenza non definitiva accoglieva la domanda di accertamento negativo della ricorrente dichiarando l’insussistenza del diritto dell’Azienda ospedaliera di recuperare, attraverso importi trattenuti in busta paga ed ore di lavoro, i già usufruiti periodi di permesso ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
con ordinanza del 15 settembre 2014, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in quanto ad avviso del giudice la norma, chiara nella sua formulazione, contrasterebbe con gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione “nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza al portatore di handicap in situazione di gravità”:
a) in rif. all’art. 2 Cost., in quanto non consentirebbe alla persona affetta da handicap grave di beneficiare della piena ed effettiva assistenza nell’ambito di una formazione sociale che la stessa ha contribuito a creare e che è sede di svolgimento della propria personalità;
b) in rif. agli artt. 3 e 32 Cost, in quanto la norma introdurrebbe una irragionevole disparità di trattamento, in punto di assistenza da prestarsi attraverso i permessi retribuiti, tra il portatore di handicap inserito in una stabile famiglia di fatto e il soggetto in identiche condizioni facente parte di una famiglia fondata sul matrimonio, diversità che non trova ragione nella ratio della norma, che è quella di garantire, attraverso la previsione delle agevolazioni, la tutela della salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave (art. 32 Cost.), nonché la tutela della dignità umana e quindi dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost., beni primari non collegabili geneticamente ad un preesistente rapporto di matrimonio ovvero di parentela o affinità.
Per la Corte Costituzionale, la questione è fondata e sul punto osserva quanto segue:
il permesso mensile retribuito di cui al censurato art. 33, comma 3, è espressione dello Stato sociale, che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave: trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale;
la tutela della salute psico-fisica del disabile, costituente la finalità perseguita dalla legge n. 104 del 1992, postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno alle famiglie: in essi rientra il diritto al permesso mensile retribuito;
il diritto alla salute psico-fisica, ricomprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell’art. 2 Cost., deve intendersi «ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”;
se tale è la ratio legis della norma in esame, è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità;
l’art. 3 Cost. va qui invocato, dunque, non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente, ma per la contraddittorietà logica della esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile;
Per i motivi esposti, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), come modificato dall’art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro) nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.