La I° Sez. Pen. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26776 del 28 giugno 2016 si pronuncia su un particolare caso di molestie telefoniche da parte di un coniuge nei confronti dell'altro.
Mercoledi 13 Luglio 2016 |
Nel caso in esame, il Tribunale condannava la sig.ra S.R. alla pena di Euro 300 di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile (l'ex marito) per il reato di cui all'art. 660 cod. pen., "perchè, per petulanza con telefonate ed SMS continue ed anche notturne, recava molestia al coniuge separato M.M.".
Il procedimento era scaturito dalla denuncia dell'ex marito, il quale aveva riferito di aver ricevuto per più di un mese telefonate ripetute e messaggi disturbanti da parte della moglie separata, nonostante avesse cambiato più volte numero di telefono”.
Per il Tribunale le telefonate ed i messaggi, avente tutti, tranne uno, per oggetto il rapporto con i figli, dimostravano che il mezzo telefonico era stato utilizzato non per uno scopo normale di comunicazione, ma per esercitare un indebito disturbo al ricevente.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, la quale deduce, tra l'altro, violazione di legge in relazione agli artt. 660 - 42 cod. pen. e la illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione della condotta ed all'elemento soggettivo: infatti il fine della donna non era quello di arrecare disturbo, ma di ricercare un contatto con il marito separato nell'interesse dei figli.
Peraltro l'ex marito era stato condannato per il reato di cui all'art. 570 cod. pen., l'imputata era stata sfrattata per morosità ed aveva difficoltà a gestire i figli.
La Suprema Corte, nel ritenere fondato il ricorso, ha modo di specificare i presupposti del reato contestato:
a) ai fini della sussistenza del reato è necessario che il comportamento sia connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone "o per altro biasimevole motivo";
b) ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in questione, inoltre, è sufficiente la coscienza e volontarietà della condotta che sia oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone: volontà della condotta e la sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà.
Per la Suprema Corte, la sentenza impugnata omette ogni accertamento sul dolo specifico, anzi contiene riferimenti fattuali che dovevano portare ad escluderlo:
il giudice ha riconosciuto che le ragioni dell'imputata a ricercare il contatto con il marito separato riguardavano problematiche con i figli e ragioni economiche connesse al mancato pagamento della somma versata in sede di separazione personale;
se quindi le telefonate e gli sms vertevano "su questioni non futili e di rilevante interesse per i figli", per la Corte è illogico definirle petulanti e fonti di disturbo, come se fosse giustificabile il comportamento del genitore, che per sottrarsi agli obblighi a suo carico (economici e di assistenza), rifiuti ogni colloquio con il coniuge separato;
pertanto, nel comportamento posto in essere dalla ricorrente non è evidenziabile un fine di petulanza, nè tantomeno biasimevole motivo; esito: annullamento della sentenza senza rinvio perchè il fatto non sussiste.