Con la sentenza sopra citata le Sezioni Unite sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale formatosi all’interno della stessa Corte in merito alla nullità degli atti conseguente alle menzioni urbanistiche contenute all’interno degli stessi.
L’idea che si propone chi scrive è quella di fare un sunto della sentenza al fine di agevolare sé stesso, e chi avrà voglia di leggerlo, a conoscerne il contenuto.
Gli artt. 17 e 40 della legge 47/1985 (il cui contenuto è stato praticamente ripetuto dall’art. 46 del TU 380 /2001) hanno introdotto nel sistema la sanzione della nullità ("sono nulli e non possono essere stipulati") degli atti tra vivi di trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali - relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione fosse iniziata dopo l'entrata in vigore della legge - che non contenessero, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della concessione ad edificare (art. 17) o del condono edilizio o della domanda di condono edilizio con gli estremi dei prescritti versamenti (art. 40); hanno inoltre previsto la possibilità di conferma dell’atto nullo, anche unilaterale, nel caso in cui la mancata indicazione non fosse dipesa dall’inesistenza della concessione al tempo della stipula. In merito all’interpretazione di tali norme si sono formati diversi orientamenti:
Teoria cosiddetta “formale” L’orientamento più risalente, che privilegia un'interpretazione letterale della norma, ritiene che gli artt. 17 e 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, comminano la nullità degli atti tra vivi con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili nel caso in cui tali atti non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell'immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria, mentre non prendono in considerazione l'ipotesi della irregolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, ossia della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione; tale conformità, pertanto, rileva sul piano dell'adempimento del venditore ma non su quello della validità dell'atto di trasferimento. L'indicazione nell'atto degli estremi dello strumento concessorio costituisce una tutela per l'acquirente, il quale tramite tale indicazione viene messo in condizione di controllare la conformità dell'immobile alle risultanze dalla concessione edilizia o della concessione in sanatoria; solo la mancanza di tale indicazione (e non anche la difformità dell'immobile) comporta, quindi, la nullità del negozio, giacché impedisce il controllo all'acquirente (cfr. sentt. nn. 14025/1999, 814 7/2000, 5068/01, 5898/2004, 26970/05; si veda anche, per l'affermazione dell'irrilevanza della non veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l'inizio dell'opera in data anteriore al 2 settembre 1967, sent. n. 16876 /13). Si tratta di nullità assoluta che può essere fatta valere da chiunque e prescinde dallo stato di buona o mala fede dell’acquirente ed è riconducibile all’ultimo comma dell’art. 1418 c.c. (nullità formale e non virtuale - “Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”).
Le dichiarazioni prescritte costituiscono requisito formale del contratto e la loro assenza comporta la nullità formale del contratto a prescindere dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto: l’irregolarità non rileva per sé ma solo in quanto preclude la conferma dell’atto e simmetricamente la regolarità del bene non rileva in sé ma solo in quanto consente la conferma dell’atto.
Teoria cosiddetta “sostanziale” Con la sentenza 23591/2013 si è affermato che il contratto avente ad oggetto un bene irregolare da un punto di vista edilizio è affetto da nullità sostanziale. Il ragionamento adottato dai giudici si fonda sulla rilevata incongruità di un sistema che sanzioni la nullità per motivi meramente formali di atti relativi a immobili regolari urbanisticamente e consenta invece il valido trasferimento di immobili non regolari. La sentenza ha evidenziato che la lettera dell’art. 40 della legge 47/1985 “nonostante la non perfetta formulazione” consente di affermare l’esistenza di un principio generale di nullità (di carattere sostanziale) per gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica; a questa nullità sostanziale se ne aggiunge un’altra di carattere formale per gli atti relativi agli immobili in regola e derivante dalla mancata menzione e solo quest’ultima nullità sarebbe confermabile ai sensi del terzo comma. Secondo questa ricostruzione dal tenore letterale dell'art. 40, comma 2, I. n. 47/1985 sarebbe possibile desumere, come detto, la previsione di due differenti ipotesi di nullità: 1) di carattere sostanziale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica"; 2) di carattere formale, che colpisce "gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi" (i virgolettati sono tratti da Cass. 23591/13, pagina 14, primo capoverso). Detto orientamento è stato ripreso da altre sentenze. Incidentalmente si evidenzia che nelle citate sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 si è altresì affermato il principio che detta nullità «sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa» pur precisando che questa seconda affermazione non ha trovato seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità.
Proprio per dirimere il contrasto giurisprudenziale si sono pronunciate il 22 marzo 2019 le Sezioni Unite con la sentenza il cui contenuto si prova qui di seguito a riassumere senza pretesa di completezza.
La sentenza evidenzia che la teoria sostanziale - per quanto mossa da intento commendevole, non può prescindere dal testo delle norme - non può essere avallata. Dal dato normativo infatti risulta che è necessario che nell’atto si dia conto della dichiarazione dell’alienante contenente gli elementi identificativi dei titoli urbanistici, mentre la sanzione di nullità e l’impossibilità della stipula sono direttamente connesse all’assenza della dichiarazione. Null’altro.
Viceversa, la ricostruzione dei fautori della teoria sostanziale trova un limite invalicabile nel testo della norma, sul punto la Corte evidenzia che “l’attività interpretativa è segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significato testuale”. La stessa sentenza che si fa portatrice della teoria sostanziale si trova costretta a giustificare la sua ricostruzione facendo leva sulla “imperfetta” formulazione della norma.
D’altronde osservano le Sezioni Unite il sistema non ha previsto l’incommerciabilità assoluta dei beni irregolari ma la nullità per il trasferimento con atto tra vivi, lasciando fuori gli atti mortis causa, i diritti reali di garanzia, le servitù e gli atti derivanti da procedure esecutive. Ne deriva che la nullità in oggetto non è quella cosiddetta virtuale del primo comma dell’art. 1418 c.c. (Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente) che presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipula di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili; ciò non può inferirsi neppure dal contenuto del terzo comma che consente la conferma con atto aggiuntivo in quanto la conferma stessa presuppone che il titolo esista al tempo dell’atto ma non implica che l’edificio oggetto del negozio ne rispecchi fedelmente il contenuto.
Parimenti la nullità non può fondarsi sul contento del secondo comma dell’art. 1418 (Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346), dato che il sistema consente come detto il trasferimento per atto mortis causa, l’attitudine a costituire oggetto di garanzie reali, servitù ecc. La soluzione cui pervengono le Sezioni Unite è quella della “nullità testuale” (terzo comma art. 1418) che costituisce una specifica declinazione della cosiddetta “nullità formale”.
La norma al primo comma sanziona con la nullità gli atti carenti della prescritta dichiarazione ma al quarto comma consente la convalida nella sola ipotesi in cui la mancata indicazione non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo. Il dettato normativo indica perciò che il titolo deve realmente esistere, che l’informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione deve essere veritiera e che la dichiarazione mendace va assimilata alla mancanza di dichiarazione.
La dichiarazione inoltre deve riferirsi proprio all’immobile oggetto del contratto: in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile il contratto deve ritenersi valido anche a prescindere dalla conformità o difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo edilizio menzionato e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro delle nullità in quanto non è previsto dalle disposizioni che la comminano alla luce anche del condivisibile principio generale secondo cui le norme che pongono limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni non possono essere interpretate in via analogica o estensiva ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste. La soluzione scelta non può essere ritenuta dissonante rispetto alla finalità di contrasto al fenomeno dell’ abusivismo edilizio in quanto per effetto della prescritta informazione l’acquirente viene posto in grado di svolgere le indagini ritenute più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene e così valutare la convenienza dell’affare anche in riferimento all’eventuale mancata rispondenza della costruzione rispetto al titolo dichiarato. La nullità del contratto è comminata per il solo caso della mancata inclusione degli estremi del titolo abilitativo mentre l’interesse dell’ordinamento ad un ordinato assetto del territorio è salvaguardato da altro tipo di sanzioni amministrative ed eventualmente nei casi più gravi dalla demolizione ed anche in caso di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione non sarà applicabile la sanzione della nullità. In conclusione, la Sentenza afferma i seguenti principi di diritto: “La nullità comminata dall’art. 46 TU 380/201 e dagli artt. 17 e 40 L 47/1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità <>, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme cha la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell’immobile” “In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
Dott. Antonio Galdiero, Notaio in Cagliari