Niente assegno di mantenimento per l'ex che rifiuta concrete proposte di lavoro

Niente assegno di mantenimento per l'ex che rifiuta concrete proposte di lavoro

Con l'ordinanza n. 20866 del 21 luglio 2021 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge separato che non lavora.

Mercoledi 28 Luglio 2021

Il caso: Il Tribunale di Roma, nell'ambito di un procedimento di separazione dei coniugi Tizio e Caia rigettava le reciproche domande di addebito, affidava la figlia minore a entrambi i genitori, con residenza prevalente presso la madre e poneva a a carico di Tizio l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di mantenimento di € 800 per la moglie e € 900 per la figlia minore.

La Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, in considerazione della giovane età di Caia (35 anni), del titolo professionale che la donna aveva (ortottista) e dell'attività professionale svolta prima della nascita della figlia, riteneva che il suo stato di disoccupazione non fosse incolpevole, non avendo la stessa provato di essersi attivata in qualche modo per la ricerca di un lavoro, e, di conseguenza, riduceva l'assegno di mantenimento già posto a carico di Tizio in una misura indicata in 400 euro.

Caia ricorre in Cassazione, lamentando, come terzo motivo, che:

- la Corte d'appello aveva ridotto l'assegno di mantenimento in una misura inidonea a garantire la conservazione non solo del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma anche di un minimo vitale,valorizzando a tal fine l'attitudine al lavoro della moglie in termini meramente ipotetici e senza riscontrare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita;

- era, invece, necessario che fosse acquisita la prova del fatto che la donna avesse rifiutato, senza giustificato motivo, prospettive o proposte di lavoro concrete, prova che doveva essere fornita non dalla parte richiedente l'assegno, ma dal coniuge onerato della sua corresponsione;

Gli Ermellini, nel ritenere infondata la censura, in merito ai presupposti dell'assegno di mantenimento ricordano i seguenti principi:

a) in tema di separazione fra coniugi l'attitudine al proficuo lavoro dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tener conto non solo dei redditi in denaro, ma anche di ogni utilità o capacità suscettibile di valutazione economica;

b) l'attitudine al lavoro però assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche;

c) il suddetto principio non può essere amplificato fino al punto di ritenere che una concreta attitudine al lavoro, capace di trovare un positivo riscontro sul mercato, possa rimanere non sfruttata a causa dell'inerzia dello stesso richiedente l'assegno, con il risultato di addossare l'onere del suo mantenimento sul coniuge separato e occupato, in quanto un simile contegno inattivo si pone in contrasto con il reale contenuto del dovere di assistenza coniugale, comunque persistente in caso di separazione fino allo scioglimento del matrimonio;

d) grava sulla parte che richiede il riconoscimento dell' assegno dimostrare l'esistenza di una condizione personale, patrimoniale e reddituale che giustifichi la richiesta del beneficio e il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;

e) parimenti rimane a carico del richiedente l'assegno di mantenimento il compito di dimostrare di essersi concretamente attivato e proposto sul mercato del lavoro per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle proprie attitudini e mettere così a frutto le capacità professionali possedute.

Da tali considerazioni discende il seguente principio di diritto: il riconoscimento dell'assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall'art. 156 cod. civ., essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò chel'istante sia in grado, secondo il canone dell'«ordinaria diligenza», di procurarsi da solo.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 20866 2021

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