La funzione restitutoria del giudizio di rinvio ex articolo 622 c.p.p., con trasferimento della competenza funzionale dal giudice penale a quello civile competente e la non vincolatività del principio di diritto enunciato dalla sentenza penale rescindente.
IL CASO
Con l'ordinanza in commento la Suprema Corte ha esaminato il ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo in tema di malpractice sanitaria, concernente la vicenda di una sfortunata giovane donna deceduta a soli 29 anni, resa in sede di giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. dalla Cassazione penale (la sentenza della Corte di merito palermitana è stata pubblicata con la nota “Responsabilità medica e natura del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p.” su Studio Andreani ed è consultabile al link https://news.avvocatoandreani.it/articoli/responsabilita-medica-natura-del-giudizio-rinvio-art-622-cpp-106525.html).
La paziente, eseguita una Tac al cranio con referto e corretta diagnosi di “idrocefalo triventricolare” non veniva sottoposta ad immediato tempestivo intervento chirurgico, ma sottoposta ad una inutile RM e a un blando se non controindicato trattamento farmacologico (somministrazione di oppiacei) con tattica attendista che comportava con il passare delle ore (dalla mattina al tardo pomeriggio) solo un peggioramento ed un precipitare delle sue condizioni, cosicché la giovane non riusciva più a respirare autonomamente e veniva intubata, per poi essere operata per ben tre volte, ma del tutto tardivamente, con conseguente exitus.
La sentenza della Corte d’Appello di Palermo (nonostante l’assoluzione del medico in sede penale) aveva accolto la domanda risarcitoria dei prossimi congiunti della vittima affermando, sulla base della natura e dell’autonomia del giudizio civile in sede di rinvio (rispetto al giudizio penale a monte), la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento omissivo del medico e l’evento morte, sostenendo che, se la paziente fosse stata operata e quindi stabilizzata ben prima dello scompenso e del coma irreversibile, avrebbe avuto (rispetto all’intervento eseguito a distanza di molte ore, nel tardo pomeriggio) serie ed apprezzabili possibilità di salvarsi, secondo il criterio causale, ormai sposato dal Supremo Collegio in tema di malpractice sanitaria, della "prevalenza relativa della probabilità".
La causalità, infatti, deve rispondere al criterio di "certezza probabilistica" e non può essere ancorata esclusivamente a dati quantitativi, ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica, cfr. Cass. 768/2016).
La ragionevole probabilità non va intesa quindi in senso statistico (probabilità quantitativa o pascaliana), ma logico (probabilità logica o baconiana), ossia considerando tutte le circostanze del caso a mani (Cass. 3390/2015; Cass. 4024/2018).
La soluzione prospettata è che il criterio probabilistico è certamente relativo, per cui non configura alcuna violazione di legge l’assunto del Giudice di merito secondo cui, ove fosse stato tenuto il comportamento corretto, vi sarebbe stata una maggiore probabilità, rispetto al comportamento omissivo attendista, che la paziente si sarebbe salvata.
Ed infatti l’indagine causale svolta dalla Corte d’Appello di Palermo con l’impugnata sentenza è stata volta proprio ad accertare se la somministrazione di una adeguata terapia farmacologica e l’esecuzione dell’intervento volto a ridurre la pressione endocranica, nell’immediatezza del ricovero della paziente in ospedale, e comunque quando ancora i fenomeni di impegno transitorio erano chiaramente reversibili (stante la condizione della paziente all’atto del suo arrivo al pronto soccorso, vigile, collaborante), avrebbero in termini probabilistici potuto scongiurare l’exitus, secondo il criterio baconiano che tenga conto delle contingenze significative del caso concreto.
LA DECISIONE
La premessa dirimente della decisione del Supremo Collegio qui in commento è che nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. il giudice civile riacquista i pieni poteri in termini probatori e di giudizio, non essendo in alcun modo vincolato dagli esiti (assoluzione del medico) del processo penale e pertanto:
ha facoltà di utilizzare in autonomia il materiale probatorio proveniente dal processo penale formatosi nel contraddittorio delle parti, da utilizzare come prova atipica in maniera del tutto svincolata da quel processo e dai suoi esiti;
ha piena libertà nella ricostruzione dei fatti e nella loro valutazione ed è tenuto ad applicare il canone di giudizio civilistico del più probabile che non (rispetto a quello tipico del processo penale dell'oltre ogni ragionevole dubbio), con conseguente irrilevanza sul piano processuale delle eventuali contrarie indicazioni contenute nella sentenza penale di rinvio.
La sentenza di rinvio della Cassazione ha quindi funzione restitutoria, cioè di trasferire la competenza funzionale dal giudice penale a quello civile competente, essendo il quid disputandum diverso da quello oggetto del procedimento penale, poiché se il fatto è comune tra i due giudizi, l'oggetto del giudizio è ben differente, poiché in questa sede rileva non già la sussistenza o meno del reato, bensì dell’illecito civilistico.
Ne consegue la non vincolatività del principio di diritto enunciato dalla sentenza penale rescindente.
Pertanto, nel caso di specie, è ben vero che la sentenza della Corte d'appello palermitana non si è fondata e non si è uniformata alle considerazioni svolte dalla Cassazione penale ma ciò proprio, legittimamente, in ragione della assoluta autonomia dei due giudizi.
La Suprema Corte (Presidente Relatore Dott.ssa LINA RUBINO) ha così messo finalmente la parola fine a questa estenuante vicenda giudiziaria, rigettando i ricorsi (riuniti) proposti dalla struttura sanitaria e dal medico perché entrambi inammissibili e comunque infondati.
Ad avviso del Giudice di legittimità, inoltre, non è possibile, di fronte ad un motivato apprezzamento delle prove perspicuamente selezionate e valutate dalla Corte di merito, censurare il libero apprezzamento della sussistenza del nesso causale da parte del Giudice civile.
Ed invero solo apparentemente l’azienda sanitaria ed il medico denunciano la violazione di norme di diritto, mentre in effetti criticano gli esiti di quella valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, che è una valutazione autonoma e motivata e conduce, alla stregua dei criteri civilistici per la valutazione della responsabilità, ad affermare la sussistenza di una colpa omissiva del medico e della struttura sanitaria.
E gli aspetti del giudizio interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova attengono al libero convincimento del giudice.
Infatti, la valutazione delle risultanze delle prove e la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 15 gennaio – 1 marzo 2021, n. 5560, Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011).
In definitiva i ricorrenti sotto l'apparente deduzione del vizio di assenza di motivazione hanno formulato un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero dei fatti storici e delle risultanze probatorie, diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione, con conseguente inammissibilità dello stesso (Cass. Sez. Unite 34476/2019).
Del pari infondata è la censura del medico afferente la violazione dell'articolo 111 della Costituzione per non aver statuito in ordine alla chiamata in causa del primo ospedale per delibare una ripartizione di responsabilità.
Ed infatti il giudizio ex art. 622 c.p.p. in unico grado di merito dinanzi al giudice competente per valore:
è un giudizio a cognizione piena (e non un’impugnazione);
ha struttura "chiusa", quindi si svolge nei limiti processuali dell’art.394 c.p.c. e non può allargarsi a soggetti che non siano stati parte del processo penale, non essendo consentita la chiamata in causa di terzi che non abbiano partecipato al processo penale (salva l'ipotesi dell’opposizione di terzo ex art. 404 cod. proc. civ.).