Cercare di parlare di religione, libertà religiosa e fede religiosa in campo giuridico può sembrare un cosetta da poco. Questo perché, colui che non ha intenzione di approfondire l’argomento si limita alla lettura dell’art. 19 della Costituzione che recita così: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto purchè non si tratti di riti contrari al buon costume”; o alle norme che compongono il Libro Primo – Delle Persone e della Famiglia- del codice civile (artt. 79-230 bis).
Ma così non è per il vero viaggiatore del diritto, per colui che pur non praticando e “masticando” poco di religione vuole capire di più.
Sotto il profilo soggettivo la libertà di religione consiste nel diritto, attribuito a tutti di professare liberamente la propria fede religiosa ma appare anche opportuno precisare che nella stessa libertà va fatta rientrare anche quella di non essere costretti a seguire e professare un fede religiosa, esercitando un culto e farne una propaganda. (Libertà di religione in negativo).
Ora, provando ad esaminare il titolo del nostro articolo e cioè quale peso possa avere la fede religiosa dei genitori sui figli minori in sede di separazione è utile riprendere una recente sentenza della Corte di Cassazione, affermando un princìpio chiaro e cioè quello che l’interesse dei minori, in sede di separazione, viene prima dei diritti religiosi dei genitori, (Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 24 maggio 2018 n. 12954).
Il fatto che ha portato il giudice di legittimità a pronunciarsi in tal senso è conseguenza della vicenda dell’affidamento condiviso della figlia minore di due genitori, in regime di convivenza more uxorio, che decidono di separarsi. Nei giorni in cui la bambina è affidata al padre, divenuto testimone di Geova dopo la separazione, la porta con sé presso la sala del Tempio dei Testimoni di Geova. A tale situazione risponde, però la madre, contraria a che la sua bimba partecipi a queste riunioni, ottenendo dal Tribunale di Livorno un provvedimento che vieti alla figlia tale frequentazione. Anche la Corte d’Appello di Firenze conferma il provvedimento emesso dal Tribunale di primo grado sulla base di questi presupposti:
a) disagio della minore a partecipare agli incontri settimanali presso il Tempio dei Testimoni di Geova;
b) le modalità con le quali il padre voleva coinvolgere la minore potevano pregiudicare lo sviluppo emotivo della minore, impedendole tra l’altro di partecipare alle manifestazione del culto cattolico.
Tale decisione viene confermata dalla Corte di Cassazione che, nel respingere il ricorso proposto dal papà, riconosce: “il criterio fondamentale cui il giudice deve attenersi nel fissare le modalità dell’affidamento dei figli minori in caso di conflitto genitoriale è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata…anche con l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti di libertà individuale dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica e lo sviluppo” (passaggio sentenza Corte di Cassazione n. 12954/2018). Pertanto, il papà viene “sgridato” dalla Suprema Corte perchè non ha saputo bene argomentare, in sede di reclamo, le sue doglianze sulla violazione dei princìpi enunciati nella Costituzione e dalla CEDU in materia di libertà religiosa. Ed ancora, lo stesso si è soffermato troppo sulla contestazione rivolta all’accertamento peritale svolto dallo psicologo nominato dal Tribunale e quindi “il ricorrente (il papà) si è limitato a sostenere che la corte del merito avrebbe errato nell’aderire alle conclusioni della c.t.u. ma ha omesso di indicare…..quale sia, e quando sia stato da lui dedotto e dimostrato , il fatto decisivo non esaminato dal giudice, che ove considerato, sarebbe valso a smentire le risultanze dell’indagine ed a determinare un diverso esito della controversia” (cfr., passaggio sentenza Corte di Cassazione n. 12954/2018).
In parole povere il papà si è limitato a criticare la mancanza di professionalità della psicologa incaricata dell’accertamento peritale e la mancanza di test necessari a verificare se lo stesso c.t.u. avesse esercitato pressioni sulla minore. Non c’è ombra di dubbio che l’argomento affrontato dalla Suprema Corte è un argomento spinoso, che abbisogna di delicatezza ma anche di fermezza. Qui viene trattato non solo la complessità dell’orientamento religioso ma anche quale sia l’esatta educazione da dare ad un figlio minorenne che sappiamo essere compito difficile.
Ma non solo. E’ lecito pensare che ogni genitore possa essere libero nella formazione ed educazione del proprio figlio ma che laddove si palesa un evidente contrasto tra i genitori ecco che subentra in soccorso il Tribunale. Il tutto sempre nel superiore interesse del minore. Questo perché il genitore non può imporre al minore la sua religione, il suo credo se questo lo può danneggiare sia nella crescita che nel suo sviluppo emotivo. Inoltre, il minore, raggiunta una capacità matura di discernimento autonomo, che avviene intorno ai 12 anni circa, potrà fare liberamente le sue scelte anche religiose; fino a pochi anni fa la giurisprudenza in materia di affidamento dei figli tendeva a privilegiare il genitore di fede cattolica ma una volta sviluppata l’idea della libertà di ciascun genitore di indirizzare il proprio figlio verso la propria religione, si è escluso che l’elemento religioso potesse configurarsi come un criterio di scelta in sede di affidamento.
La sentenza della Cassazione citata nel nostro articolo ci fa comunque capire come e quanto si è evoluta la famiglia e l’attenzione all’interesse psico-fisico del minore. Infatti, il passaggio dalla famiglia patriarcale a quella nucleare odierna e aggiungerei multietnica, ha segnato senza dubbio la trasformazione dei rapporti intrafamiliari tra i vari componenti. Con la nascita del diritto di famiglia abbiamo assistito ad un nuovo assetto giuridico dei rapporti tra i coniugi e tra i coniugi e la prole, nonché ad un nuovo modo di intendere la convivenza familiare che fino a qualche decennio fa non era configurabile.
A questo punto, però, è meglio fermarsi perché molto si potrebbe ancora scrivere e “parlare” e lo faccio con questo passaggio della sentenza della Corte Suprema, ut supra, : “….il ricorrente- premesso che la carta costituzionale delinea una società pluralista in tema di scelte religiose e che tra i diritti/doveri che discendono dal diritto di libertà di religione vi è anche quello di educare i figli nella propria sede, puché ciò avvenga nel rispetto delle proprie inclinazioni n, lasciandoli liberi di scegliere se e in cosa credere….”.
Art. 19 della Costituzione Sentenza Corte Cassazione n.12954/2018 Codice Civile arrt.79-230 bis
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