Doping e ricettazione.

Di Claudio Cobiani.
Doping e ricettazione.

L’anabolizzante usato da un culturista, è l’occasione, per fare il punto sullo stato della giurisprudenza, in merito alla natura del profitto, con riferimento al reato di cui all’art. 648 c.p.

Giovedi 13 Ottobre 2016

Veniamo ai fatti. Il Tribunale Monocratico di Torino assolve gli imputati dal delitto di ricettazione di farmaci anabolizzanti di cui all’art. 9 comma 7 della Legge 376/00, ricompresi nelle classi indicate nella legge citata, perché il fatto non costituisce reato: il risultato probatorio degli elementi di prova emersi nelle indagini aveva accertato che non si fosse trattato di vendita a terzi o comunque di cessione a terzi, ma di un uso meramente personale da parte degli imputati, allo scopo di migliorare l’estetica del proprio fisico.

Il Tribunale, nell’assolvere gli imputati dai fatti ascritti, aveva escluso la sussistenza del profitto, in quanto si trattava di un uso al di fuori delle competizioni sportive (Tribunale di Torino sentenza n°1909/2014).

In buona sostanza, il Tribunale di primo grado aveva aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato, non può consistere in una mera utilità negativa, che si verifica ogni qual volta l’agente agisca allo scopo di commettere un azione esclusivamente in danno a se stesso (Cass. sez. 2^ sentenza del 19/12/2012 n° 843; Cass. sez. 2^ sentenza n° 28410 del 12.6.2013).

Dunque secondo l’orientamento a cui aderiva il Tribunale di Torino, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, il dolo specifico del fine di profitto, necessario per integrare la condotta delittuosa in esame, non può consistere in una mera utilità fantastica o immaginaria, se pure in danno a se stesso; diversamente sarebbero da ricondurre alla nozione di utilità negativa, anche il suicidio o altri atti lesivi della propria integrità psico fisica, a meno che le predette lesioni non siano strumentali ad altri fini ( per esempio il migliore risultato sul piano agonistico).

La sentenza è stata impugnata dal pubblico ministero per saltum, davanti alla 2^ sezione della Corte di Cassazione, la quale con la sentenza n° 15680 del 14/4/2016, ha deciso di annullare con rinvio alla Corte di Appello di Torino la sentenza emessa dal Tribunale citato, aderendo, questa volta al filone giurisprudenziale di legittimità, fondato sulla risalente decisione n° 3087 del 29.11.2015 delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo il quale, il reato di commercio di sostanze dopanti, attraverso canali diversi dalle farmacie e dai dispensari autorizzati ( art. 9 comma 7 L. 376/2000), può concorrere con il reato di ricettazione in conseguenza della diversa struttura della fattispecie e della non omogeneità del bene giuridico protetto, poiché il reato di cui all’art 648 c.p. è posto a tutela di un interesse patrimoniale, mentre il reato di cui all’art. 9 comma 7 Legge 376/2000, è finalizzato alla tutela della salute di coloro che partecipano alle manifestazioni sportive.

Tuttavia la sentenza n° 15680/2016 è andata oltre, configurando tale ipotesi delittuosa, anche nel caso in cui non si tratti di manifestazioni sportive.

L’assunto si base su una diversa valutazione della nozione di profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione anche se non ha natura patrimoniale: secondo questo diverso orientamento, il patrimonio del soggetto agente si incrementa di un bene, ogni qual volta ne trae vantaggio, e quindi è in sé idoneo a soddisfare un bisogno umano, sia esso di natura economico o spirituale.

Ai fini della configurabilità della fattispecie delittuosa di cui all’art. 648 c.p., è irrilevante il movente, ossia la causa psichica che ha indotto ad agire l’agente, valutabile ai soli fini del trattamento sanzionatorio.

E’ appena il caso di precisare che la nozione di profitto, fondata, su una utilità positiva del profitto, secondo l’interpretazione della giurisprudenza maggioritaria, rende punibile la ricettazione di sostanze dopanti, anche nel caso in cui il soggetto attivo acquisti da canali illegali sostanze dopanti per farne un uso personale, al di fuori delle manifestazioni sportive.

Superfluo osservare che è punibile di per sé, la condotta di chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricomprese nelle classi di cui all’art. 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie e dai dispensari ( art. 9 comma 7 della legge 14/1272000 n. 376).

Avv. Claudio Cobiani

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