Martedi 16 Febbraio 2016 |
Nell'ambito di un procedimento per divorzio, il tribunale in primo grado rigettava l'istanza della moglie di percepire dall'ex coniuge l'assegno divorzile, sull'assunto che il matrimonio aveva avuto una brevissima durata, ossia solo tre mesi.
La donna proponeva appello, deducendo che il matrimonio, che in realtà era durato 12 mesi, era fallito a causa del comportamento dell'ex marito, che si era legato sentimentalmente ad un'altra donna, dalla quale aveva avuto un figlio, e che in sede di separazione consensuale le era stato riconosciuto il mantenimento di 593 euro.
Inoltre la appellante rilevava che l'ex marito percepiva un reddito molto più alto del suo (18.000 euro mensili a fronte di 1.300 euro) e pertanto la separazione e il divorzio avevano inciso negativamente sul proprio tenore di vita, anche se di esso ne aveva usufruito per poco tempo.
La Corte di Appello rigettava l'impugnazione ritenendo che la convivenza era stata comunque brevissima, per effetto della immediata constatazione dell'impossibilità di una unione duratura, e tale quindi da non giustificare aspettative e affidamento del coniuge che ha subìto la separazione nelle sostanze dell'altro.
La donna proponeva ricorso per Cassazione, che veniva accolto dalla Suprema Corte con l'ordinanza n. 2343 del 5/02/2016, con la quale la Corte ancora una volta ribadisce la natura e la funzione dell'assegno di divorzio.
Per giurisprudenza costante l'accertamento del diritto all' assegno divorzile si articola in due fasi: 1) il giudice verifica l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso dei rapporto, 2) il giudice procede alla determinazione in concreto dell' ammontare dell'assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e dei contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché dal reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
In quest'ottica, prosegue la Corte, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno ma non anche - salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi - sul riconoscimento dell'assegno stesso, assolvendo quest'ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole.