Il diritto al silenzio dell'imputato e dell'indagato: la decisione della Consulta

Il diritto al silenzio dell'imputato e dell'indagato: la decisione della Consulta

Chi è sottoposto a indagini o è imputato in un processo penale deve essere sempre espressamente avvertito del diritto di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali.

Martedi 13 Giugno 2023

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 111 del 6 aprile 2023, depositata lo scorso 5 giugno, ha esteso il cd diritto al silenzio anche alle domande sulle qualità personali dell'imputato, diritto che opera ogniqualvolta l’autorità che procede in relazione alla commissione di un reato “ponga alla persona sospettata o imputata di averlo commesso domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possano essere successivamente utilizzate contro di lei nell’ambito del procedimento o del processo penale, e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta”.

La vicenda si origina dal processo a carico di un soggetto (imputato anche per il delitto di cui all'art. 374-bis c.p1., ) che aveva dichiarato al personale della Questura, in sede di identificazione, elezione di domicilio e nomina del difensore nell'ambito di un procedimento penale, di non aver mai subito condanne, senza essere avvertito, previamente, della facoltà di non rispondere. Successivamente ai controlli effettuali dal personale preposto, emergeva che, contrariamente a quanto dichiarato, aveva già subìto due condanne definitive.

Ad avviso del giudice rimettente, nel caso di specie, si configura il più grave delitto di cui all'art. 495 c.p2., articolo che, tuttavia, si porrebbe in contrasto con gli artt., 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui si applica anche alle false dichiarazioni ( rese dalla persona sottoposta alle indagini o dall'imputato nell'ambito di un procedimento penale) rispetto ai precedenti penali e alle circostanze di cui al richiamato art. 21 norme att. c.p.p. che spesso hanno rilevanza ai fini della valutazione delle accuse o sono addirittura elementi costitutivi del reato ed assumono rilevanza anche ai fini della eventuale contestazione della recidiva e nella concessione dei benefici.

Per il rimettente, dunque, anche in queste circostanze opererebbe il diritto al silenzio, che è parte del diritto di difesa riconosciuto tanto dall'art. 24 Cost., quanto dagli artt., 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell' art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato in seno alle Nazioni Unite.

La Corte ha ritenuto fondate le questioni sollevate, ritenendo costituzionalmente illegittima la disciplina vigente ed evidenziando che il diritto al silenzio opera ogni qualvolta l'autorità procedente "ponga alla persona sospettata o imputata di averlo commesso domande su circostanze che, pur non attenendo direttamente al fatto di reato, possano essere successivamente utilizzate contro di lei nell'ambito del procedimento o del processo penale, e siano comunque suscettibili di avere un impatto sulla condanna o sulla sanzione che le potrebbe essere inflitta".

In particolare: ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 6 comma terzo c.p.p., “nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagini o all'imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all'art. 213 delle Norme di attuazione del codice di procedura penale”e altresì dell’art. 495 comma primo c.p., “nella parte in cui non esclude la punibilità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate nell’art. 21 norme att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni”.

Ha, infine, osservato che la Costituzione e la normativa internazionale garantiscono che si possa imporre ad un soggetto sospettato di aver commesso un reato il dovere di indicare le proprie generalità all'autorità procedente ma non anche di fornire ulteriori informazioni personali, non essendovi in capo all'indagato o all'imputato alcun obbligo di collaborazione con le indagini ed il procedimento a proprio carico.

L'indagato e l'imputato devono essere espressamente avvertiti della facoltà di non rispondere e, di conseguenza, come nel caso che ha originato la pronuncia, escludere la punibilità laddove un soggetto risponda il falso, non essendo stato previamente avvertito della predetta facoltà.

Note:

1 “False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale”

2 “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri: Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.La reclusione non è inferiore a due anni:1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome”.

3 “Quando procede a norma dell’articolo 66 del codice, il giudice o il pubblico ministero invita l’imputato o la persona sottoposta alle indagini a dichiarare se ha un soprannome o uno pseudonimo, se ha beni patrimoniali e quali sono le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale. Lo invita inoltre a dichiarare se è sottoposto ad altri processi penali, se ha riportato condanne nello Stato o all’estero e, quando ne è il caso, se esercita o ha esercitato uffici o servizi pubblici o servizi di pubblica necessità e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche”.

Allegato:

Corte Costituzionale sentenza 111 2023

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