Anche il Tribunale di Bergamo si è pronunciato a favore del diritto all’iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale.
Venerdi 17 Gennaio 2020 |
Riporta la data del 14.01.2020 il primo provvedimento d’urgenza emesso dal Tribunale di Bergamo in favore di un cittadino Camerunense, richiedente protezione internazionale in Italia, che ordina al Comune di Boltiere l’immediata iscrizione anagrafica, accogliendo totalmente la richiesta di emissione del relativo provvedimento d’urgenza presentata nelle forme del ricorso ex art. 700 c.p.c.
La dott.ssa Sara De Magistris del Tribunale di Bergamo, infatti, ci ha ricordato che in materia di iscrizione anagrafica il Comune ha un potere di accertamento ma non anche un potere discrezionale di valutazione. In altri termini, l’iscrizione anagrafica è un atto dovuto del Comune richiesto dove sussista il fatto della presenza abituale del richiedente sul territorio comunale.
Si tratta, prosegue il Tribunale di Bergamo, di un diritto di rilevanza costituzionale considerando che alla residenza anagrafica è normalmente ricollegata anche la possibilità di esercitare concretamente molti diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, diritti come quelli contemplati dagli art. 13 e ss. Cost.: che, secondo l’interpretazione consolidata della Corte costituzionale, non spettano soltanto ai “cittadini”, ai quali sono in alcun casi testualmente riferiti, ma a tutti gli individui.
Ne discende che il diniego all’iscrizione anagrafica opposto dai Comuni non possa in alcun modo essere giustificato dal disposto dell’art. 4, co. 1bis, del d. lgs. 142/2015 inserito dall’ art. 13 D.L. 113/18 conv. in L.132/18 secondo il quale: “il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223 e dell’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286”.
Infatti è di tutta evidenza che un interpretazione costituzionalmente orientata dell’anzidetta norma del decreto sicurezza non possa che esaurirsi
) da un lato, nella esclusione dell’automatismo tra la semplice comunicazione del responsabile del Centro di accoglienza circa la domanda di protezione internazionale del soggetto accolto e la sua iscrizione anagrafica presso il comune dove si trova la struttura,
) e dall’altro, nella possibilità di applicare la disciplina generale dell’iscrizione anagrafica dettata per i cittadini e per gli altri stranieri anche in caso di richiedente asilo.
La contestuale abrogazione dell’art. 5bis d.lgs. 142/2015, che prevedeva il suddetto automatismo, del resto, conferma tale conclusione.
Per giungere ad una tale valutazione, ed emanare il richiesto provvedimento d’urgenza, il Tribunale di Bergamo, fra l’altro, non ha mancato di richiamare la disposizione contenuta nell’art. 6, co. 7 T.U. Immigrazione, secondo la quale “le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani, con le modalità previste dal regolamento di attuazione” escludendo, anche in considerazione del fatto che è lo stesso art. 4, co. 1bis cit. a richiamare espressamente l’art 6 co 7 cit., un’abrogazione tacita di tale norma in assenza dell’incompatibilità tra norma precedente e norma successiva che la stessa postula.
Diversamente argomentando si porrebbe necessariamente una questione di illegittimità costituzionale per violazione da parte della norma in questione (quanto meno) del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.: non soltanto a fini dell’iscrizione anagrafica sarebbe ingiustificatamente discriminato il richiedente asilo regolarmente soggiornante rispetto al cittadino italiano ma lo sarebbe anche il primo rispetto agli altri stranieri titolari di altri permessi di soggiorno, per i quali l’eventuale definitività del titolo di soggiorno non muta la situazione di fatto dell’esistenza sul territorio nazionale.
Quanto alla sussistenza del periculum in mora, tale da giustificare l’emissione del richiesto provvedimento ex art 700 cpc, il Tribunale di Bergamo afferma che il diniego di iscrizione nei registri anagrafici della popolazione residente rischia di pregiudicare irreparabilmente l’effettivo godimento di diritti fondamentali della persona, anche di rango costituzionale e sovranazionale, il cui concreto esercizio è proprio collegato alla residenza anagrafica.
D’altronde, non appare idoneo ad escludere un simile periculum in mora il fatto che l’art. 5 d.lgs. 142/2015, nel testo risultante dalla riformulazione operata dal D.L. 113/2018 cit., preveda, al co. 3, che l’accesso ai servizi è assicurato nel luogo del domicilio comunicato alla Questura all’atto della domanda di protezione internazionale: invero, l’accesso ai servizi previsti dal suddetto decreto e a quelli comunque erogati sul territorio non esaurisce le possibili espressioni dei diritti individuali per il cui concreto esercizio rileva la residenza, residuandone di altre la cui compressione a causa del rifiuto di iscrizione anagrafica ne negherebbe ugualmente e irreparabilmente la realizzazione.
Non può che condividere, chi scrive, con l’esaustiva ricostruzione adoperata dalla dott.ssa De Magistris: del resto la violazione del diritto al lavoro lamentata dal ricorrente non si sostanzia tanto in termini di preclusione all’accesso ai servizi pubblici quanto in termini di possibilità di ottenere una regolare assunzione (la circostanza era stata, infatti, documentalmente provata dal ricorrente).
La presente recentissima e ben argomentata pronuncia del Tribunale di Bergamo si aggiunge alle altre diverse pronunce die Tribunali Italiani (1), che ormai formano l’orientamento prevalente sul punto, che riconoscono il diritto del richiedente asilo alla iscrizione anagrafica: tutte hanno affermato una interpretazione dell’art. 13 DL 113/18 secondo la quale l’affermazione ivi contenuta – in ragione di cui il permesso di soggiorno per richiesta asilo “non costituisce titolo” per l’iscrizione anagrafica - avrebbe soltanto l’effetto di far venire meno il “regime speciale” introdotto dall’art. 8 DL. 17.2.17 n.13 conv. in L. 13.4.17 n. 46 (per il quale i richiedenti asilo venivano iscritti all’anagrafe sulla base della dichiarazione del titolare della struttura ospitante) e riportare il richiedente al regime ordinario: quello cioè della verifica della dimora abituale, come previsto anche per il cittadino italiano, al quale lo straniero regolarmente soggiornante è parificato ai sensi dell’art. 6, comma 7 TU immigrazione.
Vi sono, poi, quattro Tribunali2 (fra cui il Tribunale di Milano) che hanno invece ritenuto che la norma effettivamente precluda l’iscrizione, ma che tale divieto sia in contrasto con numerose norme costituzionali e in primo luogo con l’art. 3 della Costituzione italiana, richiamato anche dal Tribunale di Bergamo, così rimettendo la questione alla Corte Costituzionale affinchè si pronunci sulla legittimità costituzionale dell’art. 13 DL 113/2018 e nel frattempo – in alcuni casi – emettendo il provvedimento d’urgenza richiesto.
Per quanto noto, ad oggi i provvedimenti che hanno invece totalmente rigettato le domande dei richiedenti sono solamente tre (due del Tribunale di Trento e una del Tribunale di Torino).
In sostanza, si può concludere nel senso di affermare l’ormai prevalente orientamento giurisprudenziale che riconosce, al di la della fondatezza o meno della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 DL 113/2018, il diritto del richiedente protezione internazionale all’iscrizione anagrafica nelle liste del Comune presso cui dimora.
Ne discende che, laddove l’operato dei comuni non dovesse uniformarsi al tale orientamento, si renderanno necessarie continue richieste di interventi correttivi da parte della Giurisprudenza attraverso l’emissione di provvedimenti che ordinino all’amministrazione di provvedere alle iscrizioni.
A Bergamo, per ora, la giurisprudenza ha risposto favorevolmente, e valorizzato il rispetto dei diritti fondamentali del migrante.
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1) Tribunale di Firenze, ordinanza del 18 marzo 2019; Tribunale di Bologna, ordinanza del 2 maggio 2019; Tribunale di Genova, ordinanza del 20 maggio 2019; Tribunale di Prato, ordinanza del 28 maggio 2019; Tribunale di Lecce, ordinanza del 4 luglio 2019; Tribunale di Cagliari, ordinanza del 31 luglio 2019; Tribunale di Parma, ordinanza del 2 agosto 2019; Tribunale di Bologna, ordinanza del 23 settembre 2019; Tribunale di Bologna, ordinanza del 23 settembre 2019; Tribunale di Catania, ordinanza del 1 novembre 2019; Tribunale di Roma, ordinanza del 25 novembre 2019; Tribunale di Lecce, ordinanza del 6 dicembre 2019 e Tribunale di Firenze, ordinanza del 7 dicembre 2019.