Con l’ordinanza n. 6978/2019, pubblicata l’11/03/2019, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito alla revocabilità o meno del fallimento nel caso in cui l’unico creditore istante deposita l’atto di desistenza dopo l’emissione della sentenza dichiarativa della procedura concorsuale, ribadendo che il suddetto deposito non ne comporta la revoca in quanto la desistenza produce i suoi effetti solo se depositata prima che intervenga la decisione del Tribunale fallimentare.
IL CASO: Nella vicenda esaminata dai Supremi Giudici della Corte di Cassazione, due creditori dopo aver depositato l’istanza di fallimento nei confronti di una società e dopo l’emissione della sentenza dichiarativa del fallimento di quest’ultima, depositavano atto di desistenza.
Avverso la sentenza del Tribunale veniva interposto reclamo da parte della società fallita, chiedendone la revoca anche in virtù del deposito della suddetta desistenza.
Il gravame veniva rigettato dalla Corte territoriale, la quale osservava che la desistenza depositata dopo la pronuncia del Tribunale non consentiva la revoca della statuizione del Tribunale, in quanto la imprescindibile iniziativa di parte volta alla dichiarazione di fallimento non implicava pure che, una volta pronunziato il fallimento, il creditore potesse disporre degli interessi dei creditori concorrenti mediante una desistenza processuale capace di sacrificare il pegno generale sui beni del fallito, il carattere della procedura e la sua universalità oggettiva e soggettiva.
LA DECISIONE: Chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla società fallita avverso la sentenza della Corte di Appello, la Corte di Cassazione lo ha rigettato evidenziando, per quanto qui interessa, che la desistenza dell’unico creditore istante successiva alla dichiarazione di fallimento non comporta la revoca della procedura concorsuale.
Infatti, hanno continuato i giudici di legittimità, “una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento questa produce effetti erga omnes (nei confronti dei creditori, delle controparti in rapporti pendenti, ecc.), la persistenza dei quali non può essere rimessa alla mera volontà del creditore istante (o comunque alle vicende del suo rapporto con il fallito), la cui necessaria funzione propulsiva della procedura fallimentare si esaurisce con la dichiarazione di fallimento”.