La legge Cirinnà (n. 76/2016) ha introdotto e regolamenta in Italia le unioni civili, cioè quelle unioni che si costituiscono tra due persone maggiorenni dello stesso sesso, con una dichiarazione effettuata di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Non è invece stato più introdotto, come era invece previsto nel testo iniziale della proposta di legge, la possibilità per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner. (c.d. stepchild adoption).
Tuttavia in molti altri Paesi ciò è possibile, e attualmente, in fattispecie di riconoscimento di situazioni preesistenti giunte all’attenzione dei Giudici di merito e della Corte di Cassazione, è stata data copertura giuridica, dalla giurisprudenza, ad una relazione di genitorialità sociale di fatto già istauratasi da diversi anni, pur in esplicita e voluta (politica) assenza di specifiche norme di legge. (Cfr. Cass. sentenza n. 12962 del 2016 e ordinanza n. 14007/2018) Attualmente, di fatto, numerosi iniziano ad essere i nuclei familiari formati da persone dello stesso sesso, molti dei quali vedono anche la presenza di figli minori.
Ma vediamo cosa si prevede, in caso di crisi di queste famiglie, e cosa ancora in presenza di figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti.
Dall’esame delle norme, prescindendo dalle cause automatiche di scioglimento, cioè la morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell’unione previste dal comma 22, riteniamo di dover esaminare quelle a domanda di una o di entrambe le parti (commi 23, 24 e ss.).
Affinchè l’unione civile venga meno, le parti dovranno avere manifestato, anche disgiuntamente, la loro volontà di scioglimento all’ufficiale dello stato civile. Decorsi tre mesi, potrà essere proposta domanda giudiziale di divorzio avanti il tribunale competente ovvero la procedura di negoziazione assistita da un avvocato per parte, o l’accordo di fronte all’ufficiale dello stato civile, solo in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti (commi 24-25).
Anche uno solo dei partner dell’unione civile può ottenere la pronuncia di scioglimento, tuttavia dovrà avere preventivamente informato l’altro/a a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno. Infine veniamo al procedimento, del tutto analogo al divorzio delle coppie matrimoniali, visto l’espresso richiamo della legge a specifiche norme della relativa disciplina legislativa.
Le unioni civili non prevedono alcun obbligo di fedeltà, mentre prevedono quelli di assistenza morale e materiale e di coabitazione. Il partner più debole economicamente potrà veder tutelato il proprio diritto alimentare, ipotesi residuale e minore rispetto al diritto al mantenimento, ed ottenere l’assegnazione della casa familiare. Non è prevista la separazione, ma si giunge direttamente al divorzio, consensuale o giudiziale, introdotto con le medesime forme delle coppie matrimoniali ed allo stesso giudice competente territorialmente.
In presenza di figli, tuttavia, nessuna norma potrebbe impedire, pena l’incostituzionalità, a soggetti minori o maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti una piena tutela, quantomeno da un punto di vista economico. Qualche problema e evidenti differenze si presentano, in tutta evidenza, nel caso in cui vi sia stata adozione dei figli dell’altro o meno.
Nel primo caso, non pare possa porsi in dubbio il pieno diritto dei minori a vedere tutelato il proprio diritto alla bigenitorialità, ed a mantenere in ogni caso rapporti con entrambi, ma il buon senso dovrebbe consentire ai minori il diritto di mantenere rapporti sani ed equilibrati anche con l’altra figura, pure in assenza di adozione, alla stregua di quanto avviene, o dovrebbe avvenire, nelle coppie di fatto che si sciolgono dopo un lasso di tempo considerevole. La situazione, tuttavia, è in continuo divenire; in assenza di espresse previsioni normative, attualmente non calendarizzate, il vuoto sarà indubbiamente colmato dalle interpretazioni costituzionalmente orientate, se non creative, delle Corti che si troveranno loro malgrado a dover dare risposta alle domande di giustizia che saranno loro poste.