Corte di Giustizia Europea: normativa italiana in materia di assegni familiari e principio di parità di trattamento.

Corte di Giustizia Europea: normativa italiana in materia di assegni familiari e principio di parità di trattamento.
Mercoledi 20 Gennaio 2021

“Uno Stato membro non può rifiutare o ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al soggiornante di lungo periodo per il motivo che i suoi familiari o taluni di essi risiedono non nel suo territorio, bensì in un Paese terzo, quando invece accorda tale beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedono”.

Con due distinte sentenze del 25 novembre 2020 ( C-302/2019 e C-303/2019 ), la Corte di Giustizia UE ha statuito che la normativa italiana che riconosce l'assegno familiare per i figli residenti all'estero di un cittadino italiano ma non di un cittadino extracomunitario con permesso di soggiorno nei confronti dei propri familiari residenti all'estero, vìola il principio di parità di trattamento ed in particolare la direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

La questione giuridica trae origine dalla lettura della Legge n. 158/88, norma istitutiva dell'assegno per il nucleo familiare, la quale non prevede, per il cittadino italiano, né il vincolo della convivenza né quello della residenza in Italia, ai fini della erogazione degli assegni al nucleo familiare. Al contrario è previsto il vincolo della residenza nel territorio italiano per il figlio di stranieri (art., 2 comma 6 L. n. 158/88.).

La prima causa (C-302/2019), trae origine dal ricorso avanzato da un cittadino senegalese residente in Italia, inizialmente titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato e, successivamente, di un permesso unico di lavoro, avverso il rigetto della domanda per l'ottenimento dell'assegno per il nucleo familiare relativamente ai periodi nei quali la moglie e i figli risiedevano nello Sri Lanka. In questo caso, la difesa richiama la Direttiva 2003/109/CE ed in particolare l'art. 11 par. 1 lett. d), il quale dispone che “il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale”.

La seconda causa (C-303/2029), riguarda il ricorso di un cittadino del Pakistan, residente in Italia dal 2010 e titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata. Anche a quest'ultimo, l'Inps aveva negato l'assegno per il periodo, corrispondente a circa tre anni, nel quale il nucleo familiare aveva soggiornato nel paese d'origine. In questo caso, viene in rilievo la Direttiva 2011/98, relativa alla procedura di domanda per il rilascio di un permesso unico ed in particolare l'art. 12 par. 1 lett. e) il quale prevede che “i lavoratori dei Paesi terzi beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale definiti nel Regolamento n. 883/2004.

La Cassazione ha sollevato questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia, chiedendo se debba considerarsi contrario ai diritti UE, l'articolo 2 comma 6 che esclude dal nucleo familiare dello straniero tutti i componenti che non risiedono in Italia, salvo che lo Stato di origine del titolare del permesso di soggiorno preveda un trattamento di reciprocità per gli italiani. Più nel particolare, ha chiesto come debbano interpretarsi, nella causa C-302/2019, l'art. 12 par. 1 lett. e) direttiva 2011/98 e, nella causa C-303/19, l'art. 11 par. 1, lett. d) direttiva 2003/109.

La Corte di Giustizia, in via preliminare, afferma che il diritto dell'UE non limita affatto la scelta degli Stati membri di organizzare i loro regimi di sicurezza sociale, in ordine alle condizioni per la corresponsione delle prestazioni e dell'importo e del periodo di riconoscimento delle stesse. Tuttavia, nell'esercizio di tale facoltà, sono tenuti a conformarsi alla normativa comunitaria e, sulla base di quanto prescritto dalla Direttiva 2011/98, in materia di sicurezza sociale, devono assicurare e favorire la parità di trattamento dei cittadini terzi che siano stati ammessi nel proprio territorio per finalità lavorative. La Corte di Giustizia riconosce che , entrambe le Direttive richiamate, “mirano a creare condizioni uniformi minime nell'Unione; a riconoscere che i cittadini di Paesi terzi contribuiscono all'economia dell'Unione con il loro lavoro e i loro versamenti contributivi di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di Paesi terzi derivante dall'eventuale sfruttamento di questi ultimi”.

Alla luce di queste considerazioni, sia l'omesso versamento dell'assegno per il nucleo familiare, sia la riduzione dell'importo dello stesso, risultano contrari al diritto alla parità di trattamento.

Sulla base di questi presupposti, la Corte di Giustizia dichiara che “è contraria al diritto dell'Unione, la normativa italiana che rifiuta o riduce una prestazione di sicurezza sociale al cittadino extra Ue, titolare di un permesso unico o soggiornante di lungo periodo, per il fatto che i suoi familiari risiedono in un Paese terzo, mentre la stessa prestazione è accordata ai cittadini italiani indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedono”.

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