Convivenza more uxorio e rimborsabilità delle spese sostenute dall'ex

Convivenza more uxorio e rimborsabilità delle spese sostenute dall'ex
Lunedi 9 Novembre 2015

Nei rapporti di convivenza more uxorio capita spesso che uno dei due conviventi sostenga delle spese ingenti per l'acquisto e/o la ristrutturazione di immobili di proprietà dell'altro o per l'acquisto di mobili e suppellettili di arredamento che poi, cessata la convivenza, rimangono nel possesso dell'ex convivente.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18632/2015 analizza la fattispecie, inquadrandola nell'ipotesi dell'arricchimento senza giusta causa.

Il sig. L. cita in giudizio la ex convivente M., chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 170.000,00, versata dal L. quale pagamento di parte del prezzo dell'immobile acquistato dalla stessa in proprietà esclusiva.

Sia in primo che in secondo grado i giudici accolgono integralmente la domanda attorea ritenendo applicabile l'art. 2041 c.c. in riferimento a prestazione all'interno di un rapporto more uxorio, travalicante i limiti di proporzionalità e adeguatezza in considerazione delle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, con conseguente esclusione della possibilità di riconduzione nell'alveo delle obbligazioni naturali scaturenti dal rapporto di convivenza.

M. propone ricorso per cassazione, contestando la decisione della Corte di appello che, tra l'altro, aveva erroneamente escluso l'esistenza di una obbligazione naturale fondata sulla convivenza more uxorio, ritenendo applicabile l'art. 2041 c.c.

In secondo luogo, la Corte di merito aveva comunque errato nel non riconoscere l'esistenza di un arricchimento minore, dal momento che l'art. 2041 c.c prevede che l'indennizzo è dovuto nei limiti dell'arricchimento.

Quanto al primo motivo di doglianza, esso è infondato in quanto per la Cassazione la Corte di merito ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità, che anche di recente ha statuito che "L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. E', pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente "more uxorio" nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza".

Alla stregua di tali principi, correttamente la Corte di merito ha ritenuto che il pagamento di Euro 170 mila da parte del L. non potesse ritenersi rientrante nell'ambito della obbligazione naturale nascente dal rapporto di convivenza, tenuto conto delle condizioni sociali delle parti e valutato la prestazione patrimoniale non proporzionata all'entità del patrimonio, tenuto conto che L. era un pensionato.

Per quanto riguarda il secondo motivo di censura, la Corte di Cassazione, pur riconoscendo che la Corte di merito non aveva esaminato tale profilo per individuare l'entità reale dell'indebito arricchimento ed ha fatto coincidere (non correttamente) quanto indebitamente percepito dalla M. con quanto versato dal L. per l'acquisto dell'appartamento in argomento, conclude per l'inammissibilità della censura: per la Corte infatti la ricorrente si limita a richiamare a supporto una serie di vicende e una serie di atti a fronte dei quali il vantaggio ammonterebbe al massimo a 80 mila Euro, quale differenza tra il valore dell'appartamento di proprietà che la stessa aveva in precedenza venduto e il valore dell'appartamento riacquistato con l'apporto dell'ex convivente, senza però offrire alla Corte alcuna possibilità di controllo ai fini della decisività della censura, anche sotto il profilo probatorio.

Testo della sentenza n. 18632/2015

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