Con l’ordinanza n. 22971/2021, pubblicata il 17 agosto 2021, la Corte di Cassazione si è nuovamente occupata della questione relativa alla legittimità o meno dell’autonoma impugnazione dell’invito bonario di pagamento del contributo unificato o all’integrazione dell’importo versato.
Giovedi 2 Settembre 2021 |
IL CASO: Un avvocato, dopo aver depositato un ricorso ex art. 700 c.p.c., riceveva dalla cancelleria l’invito al pagamento spontaneo della somma residua dovuta a titolo di contributo unificato, in quanto il ricorso comprendeva una domanda di risarcimento danni di valore maggiore rispetto a quello dichiarato nell’atto. Ritenendo l’invito illegittimo, l’avvocato proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale.
Nel costituirsi in giudizio l’amministrazione, oltre a contestare nel merito quanto dedotto dall’avvocato ricorrente, deduceva la non opponibilità dell’avviso bonario, ritenendo che lo stesso non poteva essere autonomamente impugnato, stante la tassatività dell’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992
La Commissione Tributaria Provinciale dava torto all’avvocato, rilevando fra i vari motivi che il valore della causa era “indeterminabile”, affermando, quindi, la legittimità della richiesta dell’amministrazione della giustizia.
La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale la quale, nel pronunciarsi sul gravame interposto dall’avvocato lo rigettava, accogliendo parzialmente l'appello incidentale proposto dal Ministero della Giustizia.
I giudici della Commissione Tributaria Regionale ritenevano l’avviso bonario atto non autonomamente impugnabile, evidenziando che esso "rinvia a separato e successivo provvedimento la determinazione di sanzione relativa al ritardato pagamento".
L’avvocato, originario ricorrente, rimasto soccombente in entrambi i gradi di giudizio, sottoponeva, quindi, la questione all’esame della Corte di Cassazione.
LA DECISIONE: Diversamente dai giudici tributari di merito, i giudici di legittimità hanno dato ragione all’avvocato e nell’accogliere il ricorso da quest’ultimo proposto con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di provenienza, in diversa composizione, hanno osservato che:
1. anche se l’elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, deve considerarsi tassativa, essa va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della pubblica amministrazione e sia in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge n. 448 del 2001;
2. la facoltà riconosciuta al contribuente “di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l'invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato (Cass. n. 23532/2020, n. 23469/2017, n. 3315/2016, n. 25297/2014 n. 7344/2012, n. 4513/2009);
3. rappresenta una facoltà e non un onere l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992. Pertanto, il fatto che lo stesso non venga esercitato non preclude, al contribuente, la possibilità di procedere all’impugnazione con l'atto successivo;
4. sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19. d.lgs. n. 546 del 1992, tutti gli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione "avviso di liquidazione" o "avviso di pagamento" o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l'impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono al più dar luogo ad un vizio dell'atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile (Cass. S. U. n. 16293/2007, Cass. n. 14373/2010, n. 12194/2008).