Com’è noto, con i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 15 gennaio 2016 sono stati depenalizzati una serie di reati minori, mediante due modelli alternativi: con il primo provvedimento alcune fattispecie già di rilevanza penale sono state trasformate nell’inedita figura di “illecito civile”; con il secondo si è operata una vera e propria abrogazione del reato.
Con l’entrata in vigore di tale disciplina si sono posti una serie di problemi in ordine alla sorte non solo dei procedimenti ancora in corso, ancorchè relativi a fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della nuova disciplina, ma anche con riferimento a quelli già definiti, con particolare riferimento alla sorte delle statuizioni civili eventualmente già adottate nel corso del procedimento.
I maggiori problemi applicativi, come prevedibile, si sono posti con riferimento alle nuove figure di illecito civile, ed avevano trovato soluzioni contrastanti in giurisprudenza.
Con il decreto legislativo 7/2016 si è scelto di togliere rilevanza penale ad una serie di fattispecie delittuose caratterizzate dal fatto di incidere unicamente su interessi provato e di essere perseguibili a querela di parte (as es. l’ingiuria o il danneggiamento), attribuendo alla parte offesa la facoltà di rivolgersi al Giudice civile per ottenere non solo il risarcimento del danno patito , ma altresì l’irrogazione a carico dell’autore del fatto di una sanzione civile, predeterminata dalla legge. Apposita norma, l’art. 12, ha previsto (correttamente) l’applicazione retroattiva della disciplina introdotta anche ai fatti commessi in precedenza, salva l’ipotesi di intervenuto giudicato, mediante la revoca della sentenza o del decreto: “1. Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. 2. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non e' previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell'esecuzione provvede con l'osservanza delle disposizioni dell'articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale”.
E non avrebbe potuto essere diversamente, tenuto conto del principio di favor rei che permea il nostro ordinamento e del disposto dell’art. 2 co. 2 c.p.: “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali”.
I problemi interpretativi sono tuttavia sorti con riferimento alle ipotesi in cui nel corso del procedimento fossero state adottate statuizioni civili in favore del danneggiato costituitosi nel processo penale: che sorte hanno tali statuizioni nel procedimento di impugnazione? E qual è la loro sorte in caso di revoca della sentenza o del decreto contenente statuizioni civili?
La normativa, infatti, nulla prevede, a differenza del “gemello” decreto legislativo n. 8/2016, che all’art. 9 comma 3 espressamente prevede per le ipotesi di depenalizzazione con trasformazione dell’illecito penale in amministrativo: “se l'azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell'articolo 129 del codice di procedura penale, sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.
Dopo un’approfondita analisi della normativa e della giurisprudenza, anche costituzionale, rilevante ai fini della soluzione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che, in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’ impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. In tal caso, ad avviso della Corte (che richiama a sostegno della decisione anche la Corte Costituzionale, sent. n. 12 del 2016), non vi è alcuna ingiustificata lesione dei diritti della parte offesa né disparità di trattamento, atteso che di regola l’azione per il risarcimento dei danni deve essere esperita innanzi al Giudice civile e che tale facoltà rimane impregiudicata. Il codice di rito àncora infatti il potere del Giudice dell’impugnazione di decidere sulle statuizioni civili solo in caso di condanna dell’imputato (art. 538 c.p.p.), salva l’ipotesi di cui all’art. 578 c.p.p., in cui il Giudice decide agli effetti civili in caso di dichiarazione di estinzione del reato per amnistia o prescrizione.
Conseguentemente, ad avviso della Corte in caso di sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’ esecuzione, revoca, con la stessa formula, il provvedimento, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, ferma restando la facoltà della parte offesa di adire il Giudice civile per il risarcimento del danno e l’irrogazione delle sanzioni civili.