Il coniuge assegnatario della casa coniugale in sede di separazione, al fine di mantenere il suo diritto dopo il giudizio di divorzio in presenza di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, ha l’onere di riproporre la domanda nel suddetto giudizio, pena la decadenza.
Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10204/2019, pubblicata l’11 aprile scorso.
IL CASO: nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte, il Tribunale in sede di divorzio confermava tutto quanto statuito con la sentenza di separazione, ivi compreso il diritto dell’ex moglie all’assegnazione della casa familiare.
Sull’appello promosso dall’ex marito, la Corte territoriale, ritenendo necessario che l’ex moglie reiterasse la domanda di assegnazione anche in sede di divorzio, revocava il suddetto diritto, anche perché la richiesta di revoca era stata formulata dall’ex marito, mentre nessuna domanda di conferma era stata formulata dall’ex moglie.
LA DECISIONE: la Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul ricorso dall’ex moglie avverso la sentenza della Corte di Appello, nel ritenere corretta la decisione impugnata, ha rigettato il ricorso affermando il principio secondo il quale, è necessario che la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di giudizio di divorzio anche da parte di chi risulti già assegnatario della stessa come da statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il giudice provvedervi officiosamente proprio in relazione alla diversa connotazione della posizione giuridica, soprattutto in termini di autodeterminazione individuale, che caratterizza il figlio maggiorenne, ancorchè non autosufficiente, rispetto al minore.
Secondo gli Ermellini:
quanto previsto dall’articolo 6, comma 6 della legge n. 898/1970 (legge sul divorzio) e dall’articolo 337 sexies c.p.c. sul criterio da seguire nell’assegnazione della casa coniugale è stato integrato dalla giurisprudenza di legittimità che ha ancorato il godimento della casa familiare esclusivamente al regime di affidamento e collocamento dei figli minori;
entrambe le suddette norme non contengono indicazioni utili tale da far ritenere che la statuizione sull'assegnazione della casa familiare debba essere fondata sulla formulazione di una domanda, in ossequio al principio dispositivo, o possa essere adottata anche officiosamente in funzione del rilievo pubblicistico dei diritti in gioco;
in presenza di figli minori, ai sensi del secondo comma dell’articolo 337 ter codice civile, comma 2, il giudice deve adottare i relativi provvedimenti con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale degli stessi e l’assegnazione della casa familiare ne costituisce una componente essenziale. Pertanto, il giudice, ove sia identificabile un immobile destinato al nucleo familiare e si ponga, concretamente, la questione dell'assegnazione in funzione dell'interesse dei minori è tenuto a sollevare officiosamente la questione relativa al provvedimento da adottare;
in presenza di figli maggiorenni, l’articolo 337 septies c.c., riguardante "disposizioni a favore dei figli maggiorenni" prevede che il giudice "possa" disporre, valutate le circostanze, in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico. Pertanto, l'esercizio del diritto è condizionato alla proposizione di una domanda, da parte di uno dei genitori verso l'altro o, in via concorrente, del figlio stesso, in quanto con il raggiungimento della maggiore età, l'obbligo di mantenimento dei figli non costituisce più un effetto automatico conseguente al vincolo di genitorialità, ma risulta condizionato all'accertamento della peculiare condizione di non indipendenza economica degli stessi dettata dall'impegno verso il raggiungimento di un preciso obiettivo professionale, ben potendo l'inesistenza di tale condizione fattuale essere fatta valere in giudizio dal genitore che si oppone al versamento dell'assegno.
con il raggiungimento della maggiore età viene meno l’esigenza di preservare la continuità dell'habitat domestico in funzione dell'equilibrato sviluppo psico-fisico del minore ed, infine, anche dalla verifica della coabitazione con uno dei genitori.