La vicenda processuale cui è scaturita la pronuncia oggi in esame necessita di una breve premessa: il complesso condominiale convenuto era originariamente nato dall’unione di sei edifici che, oltre quarant’anni prima, avevano stipulato tra loro una convenzione secondo cui venivano assoggettati a servitù di uso comune a vantaggio di tutti gli edifici coinvolti - tra le altre parti – in particolare la centrale termica, il deposito del carburante nonché i condotti del riscaldamento insistenti sull’appezzamento comune, beni per i quali le spese di manutenzione e gestione erano state convenzionalmente ripartite tra gli edifici contraenti secondo le quote millesimali proporzionali ai rispettivi volumi.
Ciò premesso, veniva quindi impugnata, da parte di un gruppo di condomini, la delibera che imputava la spesa di riparazione della tubazione interrata del riscaldamento solo a una parte dei condomini che ne chiedeva quindi l’annullamento perché in contrasto con l’esaminata convenzione: in altre parole la doglianza riguardava il fatto che la spesa per la riparazione non fosse stata suddivisa secondo quanto stabilito nella quarantennale convenzione che gli stessi attori qualificavano come regolamento contrattuale condominiale; si costituiva il Condominio osservando che alla detta stipulazione non si sarebbe potuto attribuire il ruolo di regolamento contrattuale e che quindi le spese, come decretato nella delibera impugnata, erano state correttamente ripartite secondo i dettami dell’art. 1123, terzo comma, c.c.
Il Giudice, pur non ritenendo di dover qualificare la convenzione come da richiesta attorea, ha comunque statuito l’accoglimento della domanda poiché, pur non esistendo all’epoca della convenzione un complesso condominiale e dunque la stessa non potendosi ritenere regolamento contrattuale, quest’ultima istituendo diritti di servitù reciproci sulle aree e sui beni in favore dei contraenti, ha, di fatto, dato vita ad un contratto da cui sono scaturiti diritti e obblighi ragionevolmente commisurati alla cubatura degli edifici che successivamente si sono poi trasferiti, pro quota, in capo agli assegnatari dei singoli appartamenti posti negli edifici stessi; del resto la convenzione stessa, al suo interno, impegna espressamente i suoi sottoscrittori a richiamare, nei singoli atti di trasferimento, l’intesa in modo che ogni futuro avente causa ne osservi gli obblighi al contempo fruendone dei diritti: proprio da detta trascrizione derivano, appunto, in capo ai proprietari quei più significativi diritti di godimento.
Ad ogni modo, il contenuto precettivo dell’intesa è anche per ciò solo operante per effetto della sua applicazione consuetudinaria nel tempo, circostanza peraltro confermata in causa anche dallo stesso Condominio: ai sensi e per gli effetti dell’art. 2727 c.c., l’esistenza di un’articolata e precisa regolamentazione dell’uso e delle spese relative ai beni comuni, impone di ritenere che la stessa intesa abbia sempre regolato la materia che ne costituisce l’oggetto e che anche in futuro lo farà anche se in contrasto con successive delibere assembleari di segno opposto; nel caso di specie, infatti, la materia per cui si ripartiva la spesa era specificatamente regolata dalla convenzione e quindi l’assemblea non avrebbe potuto disporre di poteri dispositivi in merito: da ciò la dichiarazione giudiziale di nullità della delibera per avere avuto la stessa un oggetto giuridicamente impossibile per i condomini.