La Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 31412 del 2/12/2019 chiarisce entro quali limiti si applichino anche al condominio le disposizioni in materia di distanze.
Mercoledi 4 Dicembre 2019 |
Il caso: M.E. conveniva avanti al tribunale S.Z. esponendo di esser proprietario di un'unità abitativa sottostante all'immobile in titolarità del convenuto, il quale aveva ampliato il terrazzo annesso alla sua unità esclusiva, asportando l'ultimo tratto di un cassonetto ove erano alloggiate varie canne fumarie dell'edificio; deduceva che le nuove costruzioni non erano state autorizzate dall'assemblea, avevano determinato "un'arbitraria estensione del diritto di veduta" ed avevano modificato lo scarico dei fumi provenienti dalle canne fumarie.
Il Tribunale rigettava le domande attoree, mentre la Corte d'appello, riformando la sentenza di primo grado, stabiliva che la nuova costruzione alterava il decoro architettonico dell'edificio, ledeva i diritti di proprietà dell'appellante ai sensi dell'art. 840 c.c., e violava inoltre la distanza imposta dall'art. 905 c.c..; ordinava quindi la demolizione del terrazzo e il ripristino del vano ove erano originariamente alloggiate le canne fumarie.
S.Z. ricorre in Cassazione, rilevando, tra i vari motivi, che la Corte territoriale non poteva ritenere violato l'art. 905 c.c. senza valutare se la nuova costruzione fosse conforme ai limiti imposti dall'art. 1102 c.c..
Per la Suprema Corte il motivo è fondato; al riguardo osserva:
- in merito alla asserita violazione dell'art. 905 c.c. , la sentenza di secondo grado si è limitata ad osservare che nel condominio edilizio "non si possono costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici e simili muniti di parapetto che permettano di affacciarsi sul fondo del vicino se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere", rilevando inoltre che "ai sensi dell'art. 873 c.c. le costruzioni su fondi finitimi devono rispettare la distanza dalle costruzioni fronteggianti di mt. 3,00";
- tuttavia non è consentita l'automatica applicazione delle norme in tema di distanze (dalle vedute o tra le costruzioni), posto che tali disposizioni sono applicabili al condominio solo se compatibili con la disciplina degli artt. 1117 e ss. c.c.;
- per principio consolidato, qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall'applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario stabilire se, in qualità di condomino, abbia utilizzato le parti comuni dell'immobile nei limiti consentiti dall'art.1102 c.c.;
- in caso positivo, l'opera deve ritenersi legittima anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue: l'art. 1102 c.c. è - difatti - specificamente destinato a regolare i rapporti condominiali e quindi prevale sulle disposizioni di cui agli artt. 905 e ss. c.c.
- nel caso in esame, la Corte d'appello avrebbe dovuto verificare l'eventuale osservanza, da parte del ricorrente, dell'art. 1102 c.c. e a dar conto delle ragioni dell'eventuale superamento dei limiti imposti dalla norma, per cui, avendo omesso del tutto siffatto accertamento, è incorsa nella violazione dell'art. 905 c.c.