Il compenso unico per l'attività difensiva a favore di più parti

Avv. Anna Campilii.
Il compenso unico per l'attività difensiva a favore di più parti
Giovedi 27 Giugno 2024

La difesa di più parti, aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, frutta al legale un compenso unico, con la possibilità che il Giudice disponga un aumento discrezionale ex DM n. 55/2014 art. 4 c. 2 (confermato dal DM 147/2022).

Ma il compenso unico di fonte regolamentare produce risultati paradossali e va disapplicato per plurime violazioni di legge. Esso dev'essere quanto meno considerato indivisibile per sua natura ex art. 1316 cc e quindi fonte di solidarietà attiva ex art. 1317 cc., che consente di azionarlo per intero anche ad iniziativa di un solo legittimato.

 Il DM. del Ministero Giustizia n. 55/2014, art. 4, c. 2 (praticamente confermato dal DM. n. 147/2022)  recita: "Quando in una causa l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell'avvenuta riunione e nel caso in cui l'avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti". Per regola consolidata -anche in base alle analoghe norme previgenti- la difesa di più parti, aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, frutta dunque al legale un compenso unico, con la  possibilità che il Giudice disponga un aumento nelle percentuali indicate in modo discrezionale (“può”: la facoltatività e non  l'obbligatorietà dell'aumento è stato ribadito  da Cass. n. 6005/2020).  Il compenso unico viene di solito considerato divisibile, in quanto la solidarietà attiva non si presume.  

Ma il compenso unico produce risultati paradossali, non solo in caso di disapplicazione della maggiorazione, ma anche nel caso che la maggiorazione venga accordata, com’è accaduto nel caso deciso con ordinanza  Cass. 29651/2018, la quale attribuisce ad un avvocato di Taranto 1/33 del compenso unico pari ad euro 540,49 per due gradi di giudizio (d’appello e di cassazione) svolti a Roma, quindi euro 270 per grado incluse le trasferte e le domiciliazioni, che è un compenso inesistente rispetto a qualsiasi parametro.  Ancora più paradossale è la sentenza penale del Tribunale di Parma n. 809/2010, che ha liquidato € 25.000 per lo scaglione da 101 a 1.000 parti civili, pari ad € 25 per ciascuna parte  ed  € 30.000  per oltre 1.000 parti, quindi ad es. per lo scaglione di 3.000 parti civili  ha liquidato € 10 pro capite. Sarebbe risibile pensare che le spese siano state attribuite ai singoli danneggiati in via non solidale, dato che un risparmiatore singolo capitato nello scaglione dei  1.000 avrebbe percepito € 25, uno capitato nello scaglione dei 3.000 avrebbe ottenuto un “lauto” onorario di ben 10 euro.  Il compenso unico riduce a somme inferiori a qualsiasi parametro il compenso per le molteplici attività individuali necessarie: consultazioni dei singoli clienti, valutazione di fattibilità della causa, preventivo di spesa, acquisizione ed esame dei singoli documenti, redazione della procura, redazione deposito e discussione degli scritti difensivi, disamina degli scritti e dei documenti avversari, informazioni periodiche circa l’andamento del processo, redazione ed acquisizione delle procure,  produzione dei documenti individuali, esame distinto di ciascuna posizione e redazione degli scritti difensivi comuni. 

Si ritiene dunque che il compenso unico previsto dal DM n. 55/2014, art. 4, c. 2, avente natura regolamentare, debba essere disapplicato per plurime violazioni di legge: legge costituzionale art. 3 per irrazionalità e per disuguaglianza, art. 36  per diniego della retribuzione adeguata  e art.  111 per violazione del giusto processo; art. 6 Convenzione EDU; art. 2233 cc. e legge professionale forense n. 247/2012 art. 3 comma 2, secondo cui “La professione forense deve essere esercitata con […] dignità, decoro, diligenza e competenza”. In  particolare, la violazione dell’art. 111 Cost. e dell' art. 6 CEDU deriva dal fatto che non è giusto il processo che costringe i danneggiati a ritagliare dal risarcimento loro spettante le spese giudiziali sostenute per ottenerlo, oppure attribuisce loro compensi da elemosina, in violazione di qualsiasi tariffa  e che discrimina le parti in ragione del loro numero. La violazione dell’art. 36 Cost.  concernente il giusto compenso – che dovrebbe essere riconosciuto a tutti i lavoratori, ivi inclusi quelli autonomi- ricorre quando, come fa l’ordinanza  Cass. 29651/2018, il compenso da elemosina di 270 euro a grado  viene ritenuto singolarmente vincolante per l’avvocato anche nei confronti del proprio cliente, sicché non vengono penalizzati i clienti, ma  gli avvocati, togliendo loro qualsiasi dignità e qualsiasi incentivo a concentrare le cause.

Questa ordinanza aggiunge all’ assurdità di fonte normativa del compenso unico la tesi di fonte giurisprudenziale che si tratti di un’obbligazione divisibile, che cioè non dà luogo alla solidarietà attiva e costringe l’avvocato – ad esempio nell’ipotesi dei tremila rappresentati-  a recuperare l’onorario producendo tremila procure (oltre quelle degli eredi nel frattempo sopraggiunti), mentre se l’obbligazione fosse considerata indivisibile  e quindi solidale, basterebbe agire in nome di un solo cliente. Inoltre accade spesso che non esista neppure un titolo esecutivo per le singole parti, quando esse  non vengano singolarmente nominate nel dispositivo della sentenza, con il risultato che la condanna diventa inutiliter data, nel senso   che esse non hanno un titolo esecutivo e non possono neppure agire in separato giudizio, dato che le spese devono essere liquidate nel processo al quale si riferiscono. Conseguenze assurde della divisibilità si verificano anche sul piano fiscale giacché, nell’esempio delle tremila parti rappresentate, il legale dovrebbe fare tremila fatture  più iva e cassa forense in aggiunta ai 10 euro di compenso risultante dalla divisione pro capite (ammesso che la quota sia uguale per ciascuno a prescindere dal diverso valore delle singole domande e ammesso che non debbano essere calcolate le quote ereditarie della quota capitaria). Invece, si ritiene che il compenso unico debba essere considerato  indivisibile, come sembra più logico e coerente con la sua denominazione, in modo che il legale possa agire esecutivamente con il mandato di un solo cliente creditore in solidarietà attiva (di solito nominato nel dispositivo come capogruppo) ed emettere una sola fattura ad uno qualsiasi dei clienti, facendola pagare per intero al soccombente. La questione dovrebbe essere (o essere stata) esaminata dal CNF a tutela di tutti i gli avvocati, che però sembrano tristemente rassegnati a lavorare gratis e all’esercizio del solo “ius murmurandi”. Per contenere i danni del compenso unico, occorre almeno che esso sia considerato indivisibile per sua natura ex art. 1316 cc.  secondo cui “L’obbligazione è indivisibile quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti”.  L’obbligazione indivisibile è automaticamente fonte di solidarietà attiva a norma dell’art. 1317 c.c. , secondo cui  “Le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle norme relative alle obbligazioni solidali in quanto applicabili” e possono essere azionate per intero ad iniziativa di un solo legittimato, anziché radicare tante esecuzioni quante sono le parti vincitrici ed emettere altrettante fatture di pochi euro ciascuna (si ripete: di 10 euro ciascuna nel caso dei 3.000 piccoli risparmiatori).

In sintesi, è vero che la solidarietà attiva non si presume, ma in caso di obbligazione non divisibile, la solidarietà  è imposta per sua natura dall’art. 1317 cc.  Di recente la  Corte di cassazione  ha  pronunciano numerose condanne dei debitori a pagare il compenso unico a favore di una molteplicità di  parti vincitrici in solidarietà attiva”.  Ciò significa che, in contrasto non dichiarato con la citata ord. n. 29651/2018, si sta affermando la tesi della condanna unica dei vincitori “in solidarietà attiva”,  evidentemente  fondata sulla indivisibilità del compenso unico e sulla conseguente applicazione dell’art. 1317 cc.  

A titolo esemplificativo, si segnalano le seguenti decisioni della Corte di cassazione che -inter aliahanno disposto la condanna al pagamento delle spese in favore dei vincitori in via di solidarietà attiva: Sent. n. 14210/2022 ed ordinanze nn. 5433/24; 7875/24; 22556/23; 22604/23; 28369/23; 7279/23; 1650/22; 20279/22. Il fatto che alcune sentenze, nel liquidare il compenso unico, non abbiano affermato esplicitamente la solidarietà attiva non significa che l’abbiano negata e, nel silenzio del titolo esecutivo, non può essere disapplicato l’art. 1317 cc. che  è  una specifica disposizione di legge da applicare  nel caso concreto, di tenore letterale indubbio e di valore anche sistematico, dato che  consente di applicare alle cause con pluralità di parti la medesima disciplina dettata dall’art. 840-novies Cpc  per il regolamento delle spese dei “procedimenti collettivi”  (nome italiano della class action”), secondo cui il soccombente deve pagare il compenso -liquidato a scaglioni progressivi- direttamente al rappresentante comune degli aderenti, il quale promuove anche l’esecuzione forzata collettiva (art. 840-terdecies Cpc). L’affinità tra la class action  e la causa con molteplicità di parti, anche questa gestita da un unico legale e anche questa retribuita con un compenso unico, rende possibile l’apprezzamento sistematico del principio secondo cui l’onorario unico è indivisibile e può essere reclamato con una sola procura dal legale mandatario della pluralità di parti.   In sintesi, la ratio dichiarata  per giustificare il compenso unico è stata individuata in quella di fare carico al soccombente solo delle spese nella misura della più concentrata attività difensiva.

Ma questo riguardo riservato al soccombente realizza i brocardi italici “Chi ha subito i danni se li tenga”  e “Mal comune, mezzo gaudio”.  Si vuole infatti far pagare al danneggiante  un solo onorario, al massimo  discrezionalmente aumentato di sei volte quando le parti sono fino a trenta e nessuna maggiorazione oltre le  trenta. In tal modo, si incoraggiano i danneggianti ad estendere la platea dei danneggiati per raggiungere la gratuità del giudizio e, correlativamente, si induce la folla dei danneggiati a non intraprendere giudizi, le cui spese resteranno a loro carico, oppure a carico degli avvocati, nel caso che il compenso unico si ritenga divisibile e vincolante anche nei rapporti tra avvocato e singoli clienti.   

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