Si segnala una interessante sentenza della Corte di Cassazione del 24 gennaio 2017 n. 1792, nella quale la Suprema Corte si pronuncia in tema di diritto del professionista al compenso su incarico conferito tramite email.
L'ingegnere G.P. otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di una società per l'importo di 8.500,00, a titolo di compenso per le prestazioni professionali di consulenza ed assistenza necessari al fine di ottenere la certificazione ISO 9001/2000 ed un finanziamento regionale per investimenti in attività produttiva.
La società proponeva opposizione negando l'affidamento dell'incarico.
All'esito dell'istruttoria, il Tribunale accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, condannando l'attore al pagamento delle spese di lite.
Il professionista proponeva appello avverso la sentenza di prmo grado, lamentando che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto l'assenza di uno specifico incarico, poiché lo stesso, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti, era comunque desumibile dalle prove testimoniali e documentali: in particolare faceva riferimento ad una mail, a lui diretta, dalla quale emergeva la conferma dell' "ordine".
Il ricorrente evidenziava inoltre che i finanziamenti conseguenti alla certificazione ISO erano stati ottenuti grazie alla sua attività preparatoria.
La Corte di Appello rigettava l'impugnazione; il soccombente quindi ricorre in Cassazione, che accoglie il ricorso con le seguenti motivazioni:
il rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso;
la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, può essere data dall'attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni, mentre compete al giudice valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita;
potendo la prova dell'incarico discendere pure da presunzioni, il giudice, nel ricostruire i fatti, deve formare il proprio convincimento attraverso due momenti valutativi: il primo, di tipo analitico, volto a selezionare gli elementi che presentino una efficacia probatoria, almeno potenziale; il secondo, di tipo sintetico, volto a valutare tutti gli elemnti probatori raccolti, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva;
nel caso di specie, il professionista ha prodotto due documenti, un fax e una email: in riferimento a quest'ultima, peraltro, la Corte di Appello non ha argomentato adeguatamente le ragioni per le quali essa sarebbe priva di valenza dimostrativa dell'incarico professionale;
inoltre, aggiunge la Corte, non rileva la circostanza che il professionista non abbia prodotto il parere dell'associazione professionale ex art. 2233 c.c: per gli Ermellini, la omessa allegazione del suddetto parere da parte del professionista non è di impedimento alla determinazione del suo compenso, qualora il giudice a sua volta ha omesso di provvedere alla acquisizione dello stesso.