Nel liquidare i compensi spettanti all’avvocato, il giudice deve tener conto dell’importo oggetto della domanda giudiziale o dell’importo effettivo della lite?
La questione è stata affrontata di recente dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7627/2019, pubblicata il 18 marzo scorso.
Secondo i Giudici della Suprema Corte, i compensi possono essere liquidati tenendo conto del valore effettivo del decisum e non di quello della domanda giudiziale, in quanto, il Giudice deve verificare l’effettiva attività svolta dall’avvocato e quindi stabilire se la somma indicata nella domanda giudiziale possa costituire o meno un parametro idoneo ai fini della determinazione della liquidazione dei compensi spettanti al suddetto professionista.
IL CASO: La vicenda approdata all’esame della Corte di Cassazione trae origine da un’ordinanza emessa dal Tribunale ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 150/2011 con la quale veniva riconosciuta ad un avvocato una somma inferiore rispetto a quella richiesta a titolo di compensi professionali per l’attività svolta in favore di un comune. La suddetta ordinanza veniva impugnata in Cassazione dal professionista, il quale deduceva, fra l’altro, l’erroneità del provvedimento impugnato nella parte in cui il Tribunale aveva determinato il compenso professionale tenendo conto del valore del decisum e non del disputatum.
LA DECISIONE: Gli Ermellini hanno ritenuto corretta la decisione del Tribunale sul punto e nel rigettare il motivo del ricorso hanno evidenziato che “ nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Pertanto, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata”