Venerdi 18 Dicembre 2015 |
Due sorelle convengono in giudizio la cognata, madre di due figli, per ottenere, previo accertamento dell'estinzione del contratto di comodato stipulato in data 2 ottobre 2000, il rilascio dell'immobile oggetto del contratto e il risarcimento danno per occupazione sine titolo.
Assumono le attrici che inizialmente l'immobile di cui erano comproprietarie era stato concesso in comodato al fratello e alla sua famiglia senza determinazione di durata; successivamente, con atto di transazione sottoscritto in data 6 luglio 2001, i fratelli tutti i fissavano una data di scadenza del contratto di comodato indicata in 15 anni; in data 24 agosto 2005, però, le sorelle D.C. comunicavano al fratello U. la necessità di riavere la casa, libera da persone cose, entro il 15 settembre 2005, richiesta alla quale il fratello aderiva con lettera del 30 agosto 2005.
Si costituiva in giudizio la cognata, la quale, nel mentre sottolineava che erano stati i genitori del marito a concedere in comodato l'immobile, eccepiva che la volontà di rilasciare l'immobile espressa dal marito era da ritenersi dolosa e simulata, perché traeva origine dalla loro separazione giudiziale; peraltro non sussisteva neppure il bisogno urgente imprevisto addotto dalle attrici e propose domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni derivanti dalla dolosa, simulata, risoluzione del contratto.
In primo grado il Tribunale rigetta l'istanza delle attrici, ritenendo che il contratto fosse stato funzionalmente destinato alle esigenze abitative della famiglia e le attrici non avevano dimostrato l'esistenza di un bisogno imprevisto che giustificasse la cessazione di efficacia del contratto.
In grado di appello la Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara il contratto di comodato risolto per mutuo consenso attribuendo valore alla lettera di risposta del fratello delle attrici con cui manifestava la volontà, alle sorelle, di lasciare l'immobile.
Per i giudici di appello la circostanza che si trattasse di un comodato d'immobile costituito per i bisogni della famiglia, ha determinato sull'immobile solo un vincolo di destinazione dello stesso per le esigenze familiari.; tuttavia tale vincolo non comporta alcuna titolarità di diritti e doveri nascenti dal contratto di comodato in capo agli altri membri della famiglia con la conseguenza che, in caso di risoluzione per mutuo consenso, non vi è la necessità che tale volontà sia espressa anche dagli altri membri della famiglia.
Propone ricorso per Cassazione la cognata, che lamenta che la sentenza della Corte d'Appello, nel dare rilievo alla manifestazione di mutuo consenso espressa dal marito, aveva errato in quanto tale manifestazione non poteva ritenersi valida perchè resa in fase di separazione tra i coniugi; analogamente aveva errato nel non ritenere valido il contratto di comodato stipulato per le esigenze familiari.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24618 del 3/12/2015, nell'accogliere il ricorso , ribadisce il principio che “ ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare (nella specie: dal genitore di uno dei coniugi) già formato o in via di formazione, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. Infatti, in tal caso, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso allo stesso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (e perciò non solo e non tanto a titolo personale del comodatario) idoneo a conferire all'uso - cui la cosa deve essere destinata - il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante.”
Naturalmente ex art. 1809 c.c comma 2 il comodante può chiedere la restituzione nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione.
Alla stregua di tale correttivo, non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d'un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante - che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione - consente di porre fine al comodato, ancorchè la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante (Cass. S.U. n. 20448/2014).
La Corte di Appello aveva deciso senza considerare la situazione di separazione e il vincolo di destinazione dell'immobile, ed inoltre non aveva neanche effettuato quelle valutazioni necessarie per verificare la sussistenza dell'urgente ed imprevisto bisogno delle comodanti che possano giustificare la restituzione dell'immobile.