Le coltivazioni domestiche di piante da sostanze stupefacenti non sono tutte uguali e le Sezioni Unite penali con la sentenza n. 12348/2020 intervengono per cercare di dirimere annosi contrasti in tema di configurabilità del reato di coltivazione casalinga di piante da stupefacenti.
La vicenda giudiziaria di un cittadino campano intento a coltivare due piantine di marijuana e detenere 11 grammi e 25 dosi della medesima sostanza drogante, si è conclusa con l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione finalizzato a dirimere le diverse posizioni interpretative assunte negli anni in merito alla coltivazione domestica di piante da stupefacente.
E’ noto che il Dpr 309/1990 ha generato, sin da subito, perplessità e dubbi ermeneutici sotto molteplici aspetti; uno di questi attiene alla c.d. “coltivazione domestica” e alla configurabilità del reato di coltivazione di piante da stupefacente all’interno della propria abitazione in ipotesi di modesti quantitativi apparentemente destinati all’uso personale.
Il quesito di diritto posto alle Sezioni Unite è così sintetizzabile: Se sia o no ammissibile coltivare piante, dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, nella propria abitazione per un uso esclusivamente personale e non naturalmente ai fini di spaccio.
E’ bene premettere che la questione ha interessato più volte la Corte di Cassazione, i giudici di merito ed anche la Corte Costituzionale, per via di quei contrasti interpretativi dovuti evidentemente al difetto di tassatività del Dpr 309/1990 che non esclude formalmente dal novero delle sanzioni penali alcun tipo di coltivazione di piante da stupefacente.
Si sono registrati contrasti giurisprudenziali e diversi orientamenti ermeneutici, per come riportato nella motivazionale della sentenza in commento.
Da una parte chi ritiene che per la configurabilità del reato di coltivazione di piante da stupefacente non sia sufficiente che la pianta appartenga ad una specie botanica vietata, occorrendo verificare anche se l’attività di coltivazione risulti idonea in concreto ad offendere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, ossia la salute individuale e pubblica e l’interesse dello Stato a non far circolare lo stupefacente.
Dall’altra, chi ritiene che per la configurabilità del reato di coltivazione sia bastevole la natura della pianta e la sua attitudine a completare la maturazione, risultando del tutto indifferente la quantità di principio attivo ricavabile al momento dell’accertamento.
Risulta evidente come il primo dei due filoni interpretativi del concetto di coltivazione ricalchi il principio di “offensività”, per il quale integra il reato solo la condotta idonea a ledere o porre in pericolo l’interesse che la norma penale mira a proteggere. Viceversa, il secondo filone interpretativo guarda al principio di “tipicità” della condotta, che risulterà idonea a integrare il reato laddove conterrà in sé tutte le caratteristiche siccome descritte dalla norma incriminatrice.
La soluzione delle Sezioni Unite.
La Corte di Cassazione, nella sua massima composizione, opta per una soluzione ermeneutica di sintesi tra i due filoni interpretativi sopra richiamati.
Per i giudici di Piazza Cavour il reato di coltivazione di stupefacente è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
La decisione in commento ribadisce che “tipicità” e “offensività” operano su piani valutativi distinti e separati e rappresentano le direttrici sulle quali dovrà muoversi la valutazione del giudice.
Il primo dei due presupposti sarà soddisfatto se la pianta rinvenuta nella disponibilità del soggetto rientri in una delle specie botaniche contemplate dalla normativa in tema di stupefacenti e se la pianta, per le modalità di coltivazione, risulti idonea a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente: una pianta gestita in maniera inadeguata dovrebbe, quindi, far escludere la rilevanza penale della condotta di chi la detiene.
Per le Sezioni Unite in commento nella nozione giuridica di “coltivazione” penalmente rilevante rientra la sola coltivazione tecnico-agraria, implicitamente richiamata dagli artt. 27 e ss DPR 309/1990, di apprezzabili dimensioni, sostenuta da scopi commerciali, protratta con tecniche e pratiche adeguate, e per sua natura in grado di creare “nuove e non predeterminabili disponibilità di stupefacenti”.
Viceversa, non rientra nell’ambito del penalmente rilevante la “coltivazione” domestica, capace di generare prevedibilmente una modestissima quantità di stupefacente per scopo di consumo personale.
Perché la coltivazione possa qualificarsi come domestica, occorre accertare la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore.
Spetterà dunque al giudice di merito effettuare tutte le verifiche del caso concreto e ciò dovrà fare tenendo conto di ogni aspetto della condotta che dovrà giudicare.
Sotto il profilo della ”offensività”, muovendo dal presupposto della rilevanza penale della sola coltivazione tecnico – agraria, la decisione in commento individua nella sola salute individuale o collettiva il bene giuridico tutelato. Ritengono le Sezioni unite che, quale reato di pericolo presunto, la punibilità della coltivazione prescinde dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza.
In ossequio al principio della offensività concreta, se la coltivazione è giunta al suo stadio finale, la punibilità è esclusa dall’assenza di offensività laddove la pianta non ha prodotto sostanza idonea a produrre effetto drogate; al contrario, se la coltivazione delle piante non è ancora giunta allo stadio finale, la punibilità può essere esclusa dalla inadeguatezza della modalità di coltivazione.
Conclusivamente.
La punibilità della condotta di coltivazione di piante da stupefacente è esclusa o dalla classificazione “domestica” o dalla incapacità delle piante già maturate di produrre sostanza drogante o, infine, dalla inadeguatezza delle modalità di coltivazione che fanno ragionevolmente ritenere che le piante non ancora mature non saranno in grado di produrre principio attivo con effetto stupefacente.