Con la sentenza n. 834/2019 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della distinzione tra mutatio libelli ed emendatio libelli, individuando i casi in cui ricorre l'uno o l'altro istituto.
Giovedi 24 Gennaio 2019 |
Il caso: nell'ambito di una controversia tra un lavoratore di una società N. e due società subappaltatrici, la Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il ricorso; nel rito la Corte distrettuale rilevava che il gravame proposto avverso tale decisione presentava profili di inammissibilità, in quanto:
- in primo grado era stata chiesta genericamente la condanna in solido delle società ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;
- in appello era stata prospettata una ben diversa ripartizione dell'attività lavorativa nell'ambito di due appalti, corredata dalla richiesta di accertamento del distinto svolgimento di attività in favore di ciascuna delle società e di una correlata diversa quantificazione dei crediti vantati nei confronti di ciascuna di esse;
- per la Corte quindi si era in presenza di una mutatio libelli essendo stata formulata una domanda nuova, fondata su fatti costitutivi radicalmente diversi e confliggenti con la prospettazione formulata in primo grado.
Il lavoratore ricorre in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 437 c.c: la Corte territoriale avrebbe errato nel ravvisare una inammissibile mutatio libelli al cospetto di una mera rinnovata diversa ripartizione del medesimo quantum debeatur: infatti la causa petendi, era rimasta immutata, così come il petitum, integrato dalle retribuzioni non percepite.
La Suprema Corte, nell''accogliere il motivo di impugnazione, chiarisce in merito alla distinzione tra i due istituti:
a) si ha "mutatio libelli" quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un "petitum" diverso e più ampio oppure una "causa petendi" fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte;
b) si ha, invece, semplice "emendatio" quando si incida sulla "causa petendi", in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul "petitum", nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere;
c) peraltro, la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova "causa petendi" in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto, non dà luogo ad una domanda nuova, come tale inammissibile in appello;
d) sulla base dei suddetti principi, nella fattispecie in esame il lavoratore ha semplicemente enunciato un criterio di interna divisione del credito vantato nei confronti delle società convenute senza apportare alcuna modifica all'originario petitum;
e) in particolare, il ricorrente in grado di appello, senza immutare i fatti costitutivi del diritto azionato nè le situazioni giuridiche prospettate in atto introduttivo, ha indicato lo stesso petitum formulato in prime cure limitandosi a prospettarne una mera ripartizione interna fra i diversi condebitori solidali.
Cassazione civile Sez. lavoro Sentenza n. 834 del 15/01/2019