Con la sentenza n. 21543/2016 la Corte di Cassazione affronta la questione di chi sia legittimato al compenso nel caso in cui il mandato alle liti sia conferito al parente, praticante dello studio.
Mercoledi 9 Novembre 2016 |
Nel caso in esame, un cliente proponeva opposizione al decreto emesso dal giudice di pace col quale gli era stato ingiunto di pagare all'avvocato, titolare dello studio, la somma di Euro 1.346,25, quale corrispettivo di prestazioni professionali; alla base dell'opposizione deduceva l'inesistenza del rapporto professionale, avendo egli incaricato non detto avvocato ma il proprio nipote, che all'epoca esercitava la pratica forense presso l'avvocato medesimo.
Il giudice di pace accoglieva l'opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, compensando le spese.
Il Tribunale, quale giudice di appello, rigettava l'appello incidentale proposto dal legale, che veniva condannato alle spese anche del primo grado di giudizio, non ravvisando gli estremi per compensarle.
Nel merito, il giudice di appello osservava che “assente un mandato scritto, non erano emersi altri elementi idonei a confermare il conferimento anche solo verbale dell'incarico all'avvocato, essendo per contro incontestabile che il cliente avesse avuto contatti diretti solo con il proprio nipote, abilitato allo svolgimento della richiesta attività stragiudiziale”.
Il legale propone ricorso per Cassazione, deducendo tra l'altro il vizio d'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso.
In particolare, il Tribunale non aveva centrato il nucleo della controversia, il quale era individuabile "nell'esistenza del mandato alle liti dalla consegna dei documenti, direttamente o per il tramite del proprio nipote, al ricorrente sino al momento in cui il cliente esplicitamente ha revocato i mandati conferiti allo Studio scrivente".
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, osserva che
l'unico fatto controverso e decisivo è costituito dal conferimento o meno dell'incarico professionale;
il giudice d'appello ha motivato in maniera sufficiente lì dove ha escluso che ve ne fosse prova (del conferimento dell'incarico) tanto scritta quanto indiziaria e per fatti concludenti;
la motivazione del ricorrente è generica, apodittica,e sostanzialmente priva di concludenza, dal momento che il ricorrente non arriva mai a spiegare in virtù di quale specifico elemento di fatto, non considerato dal Tribunale, e in forza di quale ragione logico-giuridica la circostanza che il cliente avesse consegnato dei documenti al proprio nipote praticante legale, varrebbe a dimostrare la volontà di lui di incaricare dei relativi affari stragiudiziali anche o unicamente l'avvocato, sol perchè titolare dello studio professionale.
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